Nella serata del 15 gennaio due operai, un indonesiano e un cinese, sono rimasti uccisi nel corso degli scontri (a seguito del tentativo di occupazione di una fabbrica di nickel) a Sulawesi.
di Gianni Sartori
Gli scontri di domenica sera (15 gennaio) a Sulawesi (l’isola, chiamata Celebes in epoca coloniale, facente parte della Repubblica Indonesiana), costati la vita a due lavoratori, si sono svolti intorno e all’interno della fabbrica Gunbuster Nickel Industry (GNI), filiale locale del gruppo cinese Jiangsu Delong Nickel Industry.
In questi ultimi anni nell’isola sono state aperte sia numerose miniere per l’estrazione del nickel, sia le industrie necessarie per la trasformazione del minerale stesso. Il nickel, ricordo, è un elemento fondamentale non solo per la produzione di acciaio inossidabile, ma altrettanto per le batterie di veicoli elettrici.
Inaugurata nel 2021, la GNI produce circa 1,8 milioni di tonnellate di nickel.
La protesta dei lavoratori (in sciopero) riguardava le condizioni lavorative e le paghe, entrambe insoddisfacenti.
Quando alcuni manifestanti hanno tentato di forzare i cancelli dell’azienda (dove altri lavoratori erano rimasti a lavorare) e dato alle fiamme alcuni veicoli, la polizia, presente con centinaia di uomini, ha reagito aprendo il fuoco. Oltre ai due morti, ci sarebbero una settantina di fermati e almeno una ventina sarebbero accusati di “incendio e distruzione”.
Le autorità indonesiane hanno espresso le proprie condoglianze alle famiglie delle due vittime, rammaricandosi che “le manifestazioni siano degenerate in caos”. In quanto i disordini “non hanno colpito solo l’azienda, ma anche la comunità locale”. Anche perché al momento la produzione della GNI (dove lavora
Finora le cospicue riserve di nickel presenti a Sulawesi avevano suscitato soprattutto l’interesse cinese, alimentando le ambizioni dell’Indonesia di poter controllare in patria tutta la filiera, dall’estrazione alla trasformazione (e magari il prodotto finale). Ma recentemente anche Tesla (statunitense, tra i maggiori produttori di veicoli elettrici) avrebbe avviato trattative con il governo indonesiano in vista di possibili investimenti.
In ogni caso, per quanto modesti di fronte a ben altre tragedie planetarie, i fatti del 15 gennaio rappresentano una spia, un segnale di possibili (o meglio: probabili) scenari futuri.
Una conferma che – oltre a guerre, guerriglie, insorgenze, secessioni etc – la nuova fase dell’estrattivismo (in particolare quello legato alla produzione di veicoli elettrici) provocherà e sta già provocando conflitti sociali anche molto duri.
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