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Ecco come hanno lasciato morire Saidou

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Grida per chiedere aiuto, picchia le mani contro la porta della cella, disperato. Le dita che escono dallo spioncino. Quando il carabiniere lo fa uscire, inizia una lenta, atroce agonia: 8 minuti durante i quali l’uomo è paralizzato dal dolore, il respiro spezzato, lo sguardo moribondo. E nessun militare interviene. Lo lasciano lì, da solo, con la morte che lo sta strappando via dalla porta di ferro alla quale si aggrappa mentre a fatica si toglie i vestiti e tira fuori lo spray dalla tasca dei pantaloni, in un ultimo, inutile, tentativo di riuscire a respirare. Poi si accascia a terra, e muore.
Sono gli ultimi minuti di Saidou Gadiaga, 37 anni, senegalese, morto dopo un attacco di asma in una cella della caserma Masotti, sede del comando provinciale dei carabinieri di Brescia. È la mattina del 12 dicembre 2010. Quella sequenza di morte – sulla quale un magistrato ha indagato per un anno e poi chiesto l’archiviazione del caso – è contenuta in un video di cui Repubblica è entrata in possesso.
Le immagini, registrate da una telecamera puntata sull’atrio antistante le due camere di sicurezza, non mostrano solamente il calvario di un uomo che soffriva d’asma e che è stato abbandonato a se stesso: assieme a nuovi elementi – forse sottovalutati -, riapre, di fatto, una vicenda che da subito era sembrata controversa. A tal punto da attivare il console senegalese a Milano e interessare i vertici dello Stato africano. Raccontiamola.
È l’11 dicembre. Gadiaga viene arrestato dai carabinieri perché sprovvisto del permesso di soggiorno e già raggiunto da provvedimento di espulsione. Se lo avessero fermato tredici giorni dopo – quando anche l’Italia recepisce la normativa europea sui rimpatri che annulla il reato di inottemperanza al provvedimento di espulsione – le manette non sarebbero scattate. Ma tant’è. Su indicazione dello stesso pm Francesco Piantoni, l’immigrato non viene rinchiuso in carcere ma nella caserma di piazza Tebaldo Brusato.
Gadiaga è un paziente asmatico. I carabinieri lo sanno perché ha subito mostrato il certificato medico. Alle prime ore del mattino il senegalese ha una crisi. Lo conferma un testimone, Andrei Stabinger, bielorusso detenuto nella cella accanto. “Sono stato svegliato dal detenuto che picchiava contro la porta e chiedeva aiuto gridando. Aveva una voce come se gli mancasse il respiro. Dopo un po’ di tempo ho sentito che qualcuno apriva la porta della cella e lo straniero, uscito fuori, credo sia caduto a terra”.
Quanto tempo è trascorso tra la richiesta di aiuto e l’intervento del militare? “Penso 15-20 minuti – fa mettere a verbale il testimone – durante i quali l’uomo continuava a gridare e a picchiare le mani contro la porta”. Il video fissa la scena e i tempi. Da quando si vedono le dita di Gadiaga sporgere dallo spioncino (sono le 7.44, l’uomo sta chiedendo aiuto già da parecchi minuti) all’arrivo del carabiniere, passano due minuti e 35 secondi. Gadiaga, uscito finalmente dalla cella, cade a terra alle 7.52: otto minuti dopo essersi sporto dalla camera. Altri 120 secondi e arrivano i medici del 118. Gadiaga è già privo di conoscenza, per lui non c’è più niente da fare.
L’autopsia conferma che la morte è avvenuta a causa di “un gravissimo episodio di insufficienza respiratoria comparso in soggetto asmatico”. E attesta, inoltre, che l’uomo “era clinicamente deceduto già all’arrivo dell’autoambulanza”. La versione dei carabinieri disegna un quadro un po’ diverso. Nella relazione di servizio inviata alla Procura, e in altre comunicazioni al consolato senegalese, i militari collocano il decesso di Gadiaga in ospedale, parlano di un aneurisma, escludono ritardi e carenze nei soccorsi.
Il maresciallo che apre la porta all’immigrato viene addirittura premiato dal comandante provinciale dell’Arma. Che dice: “In un video che abbiamo consegnato alla Procura c’è la conferma della nostra umanità”. Il video, però, racconta altro. Quando esce dalla cella Gadiaga, in evidente stato confusionale, viene lasciato solo. I militari fanno notare che l’ultima uscita dalla cella – per fare pipì – dell’immigrato, risale a otto minuti prima della crisi: “Stava bene”.
In realtà l’orario delle immagini fissa quell’uscita 26 minuti prima: non otto. La testimonianza dell’altro detenuto fa il resto. “Perché i carabinieri hanno detto che Gadiaga è morto in ospedale e non in cella?”, ragiona l’avvocato Manlio Gobbi. E perché – di fronte a tanti punti oscuri – il pm ha chiesto l’archiviazione del caso? “Chiediamo nuove indagini, da subito”, aggiunge. Il consolato del Senegal, da parte sua, promette che andrà fino in fondo per chiedere che sia fatta chiarezza.