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“Emergenza immigrazione” e suo uso politico. Intervista ad Alessandro Dal Lago

Mentre l’ingovernabile movimento migrante continua a premere sui confini esterni ed interni all’Unione Europea, in cerca di volta in volta dell’occasione per sfondarli con la sua forza liberogena. In questa intervista con Alessandro Dal Lago, sociologo docente all’Università di Genova, interroghiamo i meccanismi funzionali alla costruzione dell'”emergenza immigrazione” alla luce delle vicende geopolitiche che sul binomio accoglienza/respingimento dei migranti stanno rimodellando i paradigmi della Fortezza Europa su nuovi canoni. 

Vorremmo partire dal discorso che ruota intorno alla costruzione ciclica della retorica dell’”emergenza immigrazione”, come elemento di strutturazione del discorso pubblico in relazione alla questione delle migrazioni. Questo dispositivo narrativo è realizzato espungendo elementi fondamentali che andrebbero tenuti nell’analisi, come il connubio tra la povertà e delle difficoltà delle condizioni di vita nei paesi di provenienza e il ruolo delle potenze militari dominanti nel determinare la storia politica e sociale di queste (basti pensare alle guerre che hanno destabilizzato Afghanistan e Iraq, piuttosto che anche in tempi più recenti l’intervento franco-inglese in Libia). Si tende poi a rappresentare una sorta di “assedio” alle frontiere dell’UE quando, ca va sans dire, la stessa UE e gli stati che ne fanno parte sono responsabili storicamente di un imperialismo che va avanti in termini neo-coloniali anche al giorno d’oggi. C’è inoltre l’assunto che descrive questo processo come una novità, nonostante sappiamo bene come in realtà almeno dalla seconda metà dell’Ottocento il processo migratorio ha assunto dimensioni globali che in percentuale in altri periodi erano anche più imponenti di quelle attuali. Come pensi che si stia modellando in questo specifico frangente storico tutto questo discorso?

Il primo dato da sottolineare è che stiamo parlando sì di una cifra enorme in ballo, ma comunque meno gigantesca – in termini relativi – di quella che sembra. Si parla di numeri di circa 150-200mila persone coinvolte in questa ultima sua fase; anche se i dati usati, come quelli emessi dalle varie organizzazioni mondiali che si occupano del tema, siano spesso molto poco attendibili. Al di là del fatto che ormai è impossibile stabilire una differenza tra profughi e migranti economici, che la retorica della differenza tra queste figure sia evidentemente saltata, la prima domanda che dobbiamo porci è: quale impatto questi numeri possono avere su un territorio abitato da 300,400 milioni di abitanti come l’UE?

La questione non è tanto numerica ovviamente, ma politica. In questo senso credo che la posizione della Germania abbia completamente mutato i termini della questione: la mossa della Merkel ha spiazzato sia destre che sinistre europee. Al di là dei vantaggi che le derivano (come ad esempio l’ingresso di ampie quote di forza lavoro destinate a finanziarne lo stato sociale in futuro), la Merkel ha abbattuto tutta l’idea tradizionale di Fortezza Europa: dimostrando che si possono accogliere 5 milioni di migranti in 10 anni, costringe tutti i paesi a rivedere la loro retorica sul tema e far slittare il paradigma da quello solito che conoscevamo e che era rimasto invariato a fino un mese fa, ovvero quello dei piagnistei e delle recriminazioni.

La Taz, giornale della sinistra moderata tedesca, faceva notare in alcuni suoi articoli come i piagnistei passati di Francia, Spagna, Italia e degli stati dell’Est Europa siano stati completamente rovesciati dalla Germania, che ha così imposto a questi Stati di prendersi le loro quote di migranti, giocando sul fatto che queste siano anche numericamente irrilevanti rispetto a quelle tedesche. I termini della questione sono allora cambiati, passando dalla retorica dell’invasione a quella della gestione e dello sfruttamento dell’immigrazione. I grandi Stati dovranno accodarsi, e la questione si sposterà sul modello di integrazione sociale ed economica di questi migranti, sulle nuove strategie che si metteranno in campo a questo fine.

 

Ci sembra che questa situazione sia sempre più sfruttata dalle varie amministrazioni nazionali in maniera selettiva. Basti pensare alla Germania e alla sua decisione che prima richiamavi di integrare rifugiati siriani (spesso molto istruiti e scolarizzati) all’interno del suo territorio, o invece all’Ungheria che sta politicizzando la questione a fini di tenuta interna del governo Orban e di spostamento nella sua direzione dell’opinione pubblica. Sembra profilarsi però contemporaneamente anche un’altra spinta, destinata ad avere effetto anche sul dispositivo di Shengen: in questo sembrano essere emblematiche anche le parole del ministro inglese May sulla chiusura del flusso verso la Gran Bretagna soprattutto dal sudEuropa. Siamo di fronte proprio ad un cambio di paradigma su questi temi a livello complessivo?

La posizione dei paesi dell’Est (Polonia, Ungheria, Rep.Ceca) sul tema è a mio avviso marginale, a causa del minimo peso economico che questi hanno sul totale e alla loro tuttora appartenenza e dipendenza dall’economia tedesca. Inoltre il governo Orban è ormai un governo screditato all’interno della stessa UE; il problema sono le retoriche un po’ infami di questi paesi che dimenticano gli esodi polacchi dell’89 o degli ungheresi del ’56 e così via fomentando posizioni davvero inaccettabili. La Germania ad ogni modo riuscirà ad allinearli, in un contesto in cui la Commissione Europea è debole, incapace di affrontare certe situazioni di lungo periodo. La Germania sta prendendo le redini dell’egemonia europea oltre che nell’ambito finanziario anche su questi temi, imponendo il suo modello di governance nel deserto dei leader degli altri paesi europei come ad esempio l’Italia che avrebbero potuto accrescere il proprio peso politico (ma Renzi ha paura di Grillo e Salvini..).

La questione dell’Inghilterra è leggermente diversa, visto il suo status particolare all’interno dell’Unione: Londra rischia di esser esclusa da scelte politiche importanti, dopo che gli USA han di fatto sposato la linea tedesca sul tema immigrazione. Diventa evidente quel cambio di paradigma di cui sopra: declino demografico, situazione economica, paura dell’espansione cinese fanno capire come convenga anche all’UE importare forza lavoro, cosa che ha dei rischi ma significa anche la presa di coscienza che non si possa assolutamente pensare di sposare un modello inglese la cui economia produce solo prodotti finanziari all’infinito, un modello che è una bolla che rischia prima o poi di esplodere.

Non ci sono quindi, come logico, motivi umanitari dietro le mosse della Germania, ma una nuova strategia politica. E’ straordinario però come la Merkel sia stata abile nel comprendere anche un certo tipo di pulsione popolare: il 65% dei tedeschi è con lei riguardo alla linea su questa ondata migratoria, e a livello complessivo è riuscita a segnare un punto che la ripulisce in parte anche dalla gestione del caso greco che viene fatto cadere tutto su Schauble. La Germania ha un interesse pazzesco sia economico sia politico in questa nuova gestione, anche perchè le sue mosse hanno spazzato completamente via in termini di legittimità le destre xenofobe che non possono più costruirsi discorso attaccando il buonismo della “sinistra” tedesca, ma sono costretti a fare i conti con un governo chiaramente di destra come quello Merkel che comunque sta lavorando, proprio per i discorsi che facevamo prima, alla costruzione di una struttura di integrazione complessiva sul territorio per i migranti. Una integrazione che fa leva anche sul diffuso antirazzismo che si sviluppa nei territori e che molto spesso prende anche la forma della cacciata delle formazioni neonaziste quando provano a prender parola; un antirazzismo che la Merkel ha saputo leggere benissimo sussumendolo alle sue esigenze politico-economiche.

 

Parallelamente anche la distinzione tra migranti e rifugiati, tra persone che si possono eventualmente accogliere e persone che non hanno questo diritto sta sempre prendendo più piede a legittimare queste strategie selettive di inclusione. Distinguere migranti e rifugiati rafforza una narrazione tossica ma sempre più diffusa: ovvero una separazione tra buoni (i profughi da accogliere) e cattivi (i migranti economici che arrivano a contenderci le risorse disponibili e vanno perciò respinti poiché anche noi siamo già in difficoltà). Nelle nuove proposte uscite dai vertici europei si delinea tralaltro la costruzione de facto di nuovi Cie, dove appunto provvedere in maniera ancora più intensiva del passato alla determinazione di chi ha diritto a muoversi e chi no, sulla base ovviamente delle autorità e non certo dei bisogni e delle aspirazioni di vita del migrante..

In generale, quando formazioni come Pegida e nazisti vari cercano di organizzare manifestazioni, non trovano una buona accoglienza in Germania. Nei quartieri l’ambiente a loro è ostile, cartelli in solidarietà ai rifugiati sono ovunque e come detto prima ci sono molti gruppi di società civile che si organizzano per rispondere a queste provocazioni. Di fatto i gruppi xenofobi sono stati fatti diventare quasi dei “disturbatori di quartiere”, con tutto un mondo di associazionismo che include anche le figure militanti ad organizzarsi sia per l’accoglienza ai migranti sia per respingere la destra.

La Merkel sta approntando in questo senso un nuovo tipo di centri di accoglienza all’insegna di quello che Foucault definiva un dispositivo pastorale, finalizzati all’integrazione economica e sociale nell’economia tedesca. Ci sono poi i nuovi centri che di fatto la Merkel vuole costruire in Grecia, Spagna, Italia per appaltare sostanzialmente la prima registrazione dei migranti in arrivo a questi paesi, e di cui però è ancora impossibile descrivere il funzionamento effettivo se non andando per ipotesi.

La questione della differenziazione tra migranti economici, rifugiati etc è ad ogni modo per la Germania un artificio retorico usato per far digerire meglio alla popolazione la questione dell’arrivo dei migranti, dipingendoli come vittime e negando moralmente la possibilità di opporsi, dicendo che non sono solo approfittatori dello stato sociale tedesco..ma in fin dei conti per quanto riguarda la Germania ormai questa retorica ha effetti anche di poco conto sul sentimento generale della popolazione. In Italia siamo invece ancora molto molto indietro su tutto questo, c’è un inquinamento dovuto a un partito semi-nazista come la Lega e a mio modo di vedere anche ai 5stelle, che se su alcuni aspetti sul politico è analizzabile come di sinistra, sul sociale invece si sta completamente appiattendo sulle posizioni di Salvini, contribuendo a creare davvero problemi: basta andare a vedere quanto si scrive sul suo blog in alcuni articoli davvero falsi rispetto all’emergenza immigrazione che si dovrebbe verificare nei prossimi anni. Mi sembra tralaltro su questo importante sottolineare come di fatto il populismo vero non lo stiano facendo partiti come Lega o M5S, che mi sembrano più orientati ad un populismo abbagliante e di corto respiro, ma lo stia facendo la Merkel che riesce a ridefinire l’ordine sociale complessivo. La Merkel è la vera destra di successo, per quanto dirlo sia auto-evidente.

 

La vicenda libica in questo quadro è ovviamente da considerare cruciale. La prospettiva, sempre possibile, di un nuovo futuro intervento in Libia, con il carico di morte e distruzione che ne deriverebbe quanto potrebbe ulteriormente inasprire lo scontro, anche interno ai quartieri, tra i migranti sfruttati e ghettizzati nelle periferie – i quali potenzialmente potrebbero diventare ancora più sensibili a proposte politiche agghiaccianti come quella di Daesh – e il vuoto di futuro (nascosto solo dalla potenza militare) di un Occidente in crisi. La Germania potrebbe avere un ruolo forte anche in questo campo, come corollario alla nuova gestione della questione migratoria di cui parlavamo sopra?

Secondo me il vero problema è da discutere in termini geopolitici, si è visto come l’influenza della Germania in termini economici non riesca ad accoppiarsi ad una influenza parallela in termini militari che invece è stata sempre agita da paesi come Gran Bretagna e Francia ad esempio. La Germania ha ovviamente un esercito in grado di avere quel ruolo, ma l’ha utilizzato solo in Afghanistan stando fuori dalle guerre folli in Iraq e Libia. Bisognerà capire quando appunto ci sarà il passaggio in più da parte della Germania, e soprattutto se ci sarà la volontà europea più che unicamente tedesca di passare ad un intervento di terra che si accoppi a quello che già avviene, per quanto nel silenzio dei media, tramite i bombardamenti aerei già effettuati dalla Nato.

La Merkel non ha toccato con questa sua mossa in maniera specifica la situazione libica, ma la Nato ha grandi interessi come ovvio a stabilizzare la riva sud del Mediterraneo e in questo è da capire quanto gli USA vorranno provare ad agire in questo senso e se vorranno includere la Germania, fatto restando che l’opinione pubblica europea al momento non è certamente favorevole ad un intervento di questo tipo.

da InfoAut