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Ferrara: Processo Aldrovandi, prime risposte

Più che scandita, l’imprecazione esce sibilando dalle labbra di Patrizia Aldrovandi che si precipita fuori dall’aula mentre il tribunale osserva il filmato della scientifica girato un’ora dopo la morte di Federico, il diciottenne ferrarese ucciso il 25 settembre 2005 in un violentissimo controllo di polizia ma sempre meno misterioso da quando, il 19 ottobre scorso, s’è aperto il processo per omicidio colposo a carico di quattro agenti, gli equipaggi delle due volanti che intervennero in Via Ippodromo, una dopo l’altra, per la presenza di un giovane agitato. Il film della scientifica è muto con la camera che gira lentamente accanto al corpo senza vita del ragazzo incensurato e conosciuto come una persona pacifica e corretta. Anzi, il film è quasi muto perché intercetta poche parole, le lacrime di uno degli imputati, in sottofondo, e quelle che a Patrizia sembrano risate di personaggi insensibili che si aggirarono sulla scena del crimine subito dopo la constatazione della morte. Per questo fugge per pochi attimi, di nuovo sconvolta, dall’aula B del tribunale seguita da Lino, suo marito e Stefano, il fratello minore di Federico.Dopo le testimonianze di ieri, appare pressoché certo che carabinieri e personale sanitario, che arrivarono poco dopo le sei, in rapida successione – prima la gazzella, poi l’ambulanza e infine l’auto medica – trovarono già senza vita il diciottenne che, all’alba di una domenica, tornava a casa a piedi dopo una nottata con amici a Bologna. La questura, nella prima versione ufficiale, s’era sperticata a dire che carabinieri e 118 fossero testimoni delle escandescenze dell’Aldro. Invece era già senza vita, anche se alcuni testi trovano sinonimi più vaghi. Ad esempio i carabinieri che giunsero a rinforzo, ora si limitano a ricordare che Federico, «’sto pazzo scatenato che s’è avventato contro i colleghi», non si mosse mai, né si lamentò, né chiese aiuto, ammanettato com’era e tenuto fermo, faccia in giù, da due imputati accosciati su di lui. Ad esempio gli ambulanzieri saranno molto attenti a non dire che il volto del ragazzo fosse «tumefatto», come conferma dopo di loro la dottoressa che constatò il decesso: «respiro zero, traumi cranico e facciale», la parola sfigurato non piace alle difese ma può rendere l’idea. Dunque, la dottoressa constatò l’arresto cardiaco e l’asistolia, ossia l’assenza di attività elettrica. Particolare piuttosto importante perché l’asistolia avviene al termine di un ritmo defibrillabile. Traduzione: se fosse stato usato il defibrillatore, a bordo della pantera, anziché i manganelli, l’Aldro se la sarebbe cavata. Forse. Di certo i manganelli furono usati, spezzati addosso al diciottenne, ma quel mattino nessuno li ha visti. Sbucheranno solo il giorno appresso sulla scrivania di uno dei dirigenti che affollarono la scena dopo il fallimento delle manovre rianimatorie.Ecco il punto dell’udienza di ieri che ha ricostruito, con l’arrivo dei rinforzi e dei sanitari, un primo abbozzo della fase di avvio delle indagini. Quella in cui si decise che la polizia avrebbe indagato sulla polizia. E oggetto della cosiddetta inchiesta bis partita dalla scoperta delle manomissioni dei brogliacci della sala operativa del 113. Cominciano a delinearsi le presenze dell’allora capo dell’ufficio di polizia giudiziaria, Marino, il padrone della scrivania su cui sbucano i manganelli. Con lui, un addetto della scientifica, un ispettore della squadra mobile e il vicequestore vicario, Gennaro Sidero, il più alto in grado quella mattina. Fu a lui che l’ispettore Nicola Solìto, numero 2 della Digos estense, chiederà se fosse stata avvisata la magistrata di turno, ottenendo in risposta una scrollata di spalle. Un gesto che il presidente del tribunale chiederà di ripetere in aula. Solìto, da 25 anni a Ferrara, fu buttato giù dal letto alle 7.35 per identificare un ragazzo senza documenti in base alla sua esperienza. Gli bastò molto meno per riconoscere il figlio di suoi amici, un ragazzo che ha visto crescere. La voce si spezza nel racconto. Ricorda uno degli imputati che piangeva, uno che non riusciva a stare fermo e un’altra che ripeteva di aver bisogno di un avvocato. Solìto ascoltava a tratti perché in preda a un malore, poi sarà lui ad avvertire gli Aldrovandi. Restano aperte alcune domande. Quelle ripetute dal giudice monocratico Caruso: «Chi ha scelto il medico legale?». Quelle pronunciate dai legali di parte civile: «Perché alcune foto di quel medico non sono agli atti?». E chi ha convinto a ritrattare il signore che chiamò due volte “Chi l’ha visto” per riferire particolari inediti, di Federico che incontrò la prima volante tutt’altro che agitato? Ieri sera l’uomo ha detto che erano «tutte balle» e che voleva solo parlare con la popolare trasmissione. Mentre andiamo in stampa il giudice ha valutato l’inammissibilità, per ora, dei suoi nastri.

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