Non mostra segni di rallentamento la sequenza, lo stillicidio di repressione, ferimenti e uccisioni ai danni del popolo palestinese.
L’ultimo ragazzo ucciso – Imad Khaled Saleh Hashash, un adolescente di 15 anni – era stato colpito alla testa dalle pallottole dei soldati israeliani durante gli scontri nel campo per rifugiati di Balata (nord della Cisgiordania) del 24 agosto.
Incurante delle sofferenze quotidianamente inflitte a questo popolo emarginato, perseguitato, spossessato della propria Terra e dei diritti, già il giorno successivo (25 agosto) l’esercito israeliano reprimeva duramente una marcia popolare davanti alla barriera a est di Khan Yunès (a sud della Striscia di Gaza). Alla fine si contavano 14 feriti (quelli accertati almeno) di cui cinque in gravi condizioni (colpiti da armi da fuoco). Altri due sono rimasti feriti dalle pallottole di plastica, mentre almeno sette sono rimasti seriamente intossicati, con sintomi di asfissia, per i lacrimogeni utilizzati (presumibilmente CS, quelli di Genova 2001, ma con concentrazioni ancora maggiori).
A migliaia i palestinesi avevano partecipato alla grande festa popolare “spada di Gerusalemme”, non casualmente denominata come la resistenza agli attacchi israeliani di maggio – durati undici giorni – contro la Striscia di Gaza.
A complicare ulteriormente la situazione, una settimana fa l’Autorità palestinese faceva arrestare una trentina di militanti a Ramallah (ma nel frattempo alcuni potrebbero essere stati liberati su cauzione, in attesa del processo). Si tratta di un gruppo alquanto eterogeneo, costituito da difensori dei diritti umani, scrittori, cineasti, sindacalisti, poeti, ex prigionieri politici. Tutte persone che avevano partecipato (il più delle volte solo tentato di farlo come prima di tali arresti) a manifestazioni di protesta per l’uccisione da parte delle forze di sicurezza palestinesi di Nizar Banat (noto militante rimasto vittima di quello che non sembra eccessivo definire un autentico “assassinio politico”). Alcuni poi avevano semplicemente preso parte a iniziative di solidarietà nei confronti di colleghi già arrestati per tale ragione. Tra le accuse loro rivolte: “riunione illegale”, “diffamazione delle autorità” e “incitamento agli scontri settari”.
Ricordo che Nizar Banat (43 anni) era conosciuto per i suoi video regolarmente diffusi nelle reti sociali. Assai critici nei confronti dell’Autorità Palestinese che accusava apertamente di corruzione e di cui denunciava la “deriva autoritaria”.
Arrestato nel primo mattino del 24 giugno, nelle ore immediatamente successive risultava deceduto. Il medico incariticato dell’autopsia aveva riscontrato segni evidenti di percosse sulla testa, la schiena, il collo oltre che sulle gambe e sulle mani. Da Hebron a Ramallah, l’indignazione per tale morte ingiusta aveva portato nelle strade centinaia di manifestanti che chiedevano le dimissioni dei dirigenti dell’AP. Il 25 giugno migliaia di palestinesi avevano preso parte alle esequie di Nizar Banat a Hebron .
Anche nei giorni successivi erano scoppiati incidenti, con lanci di pietre contro la polizia (a Ramallah soprattutto) a cui veniva risposto con una pioggia di granate lacrimogene.
Gianni Sartori