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Firenze: Centro Storico Lebowski in difesa degli spazi sociali

Ogni esperienza collettiva ha alle spalle un’infinità di percorsi. Alcune traiettorie però sono più marcate. La nostra storia trova le sue radici soprattutto in due luoghi particolari: le curve degli stadi di Serie A, all’epoca in cui la televisione e la repressione hanno cambiato l’esperienza di vivere una partita di calcio, e gli spazi occupati, dove ci siamo spontaneamente aggregati negli anni in cui Firenze perdeva sempre di più i suoi luoghi di socialità e la propria identità popolare. Noi veniamo da qui.

Domani (24 marzo) a Firenze ci sarà una manifestazione in difesa degli spazi occupati, contro la continua minaccia di sgombero. Questo corteo, già programmato da tempo, avviene in una settimana che ha visto l’approvazione in consiglio comunale della mozione (promossa da vari partiti della destra e sostenuta anche dal Pd) per lo sgombero del Centro Popolare Autogestito Firenze-Sud.

E’ chiara la volontà del consiglio comunale di cancellare le esperienze di occupazione e di autogestione di spazi dismessi e lasciati marcire dalle stesse istituzioni.
Nonostante siano casa di biblioteche, teatri, sale concerti, palestre popolari, aule studio, spazi in cui ci si incontra, ci si organizza, in cui si provano a contrastare insieme i problemi di un quartiere o di un affitto impossibile da pagare, in cui si cena con pochi euro e si può stare insieme senza che nessuno speculi sulla tua presenza o sulla tua passione. Luoghi in cui sperimentare una vita diversa, in cui organizzarsi per trasformare ciò che non va.

Noi del Lebowski siamo cresciuti dentro gli spazi occupati. L’U.S.D. Centro Storico Lebowski ci è cresciuta. Abbiamo imparato il valore dell’autogestione, dell’assemblea, del mutuo appoggio, della solidarietà.

Molti di noi andavano allo stadio e hanno imparato che la vera ricchezza di una curva era il suo essere luogo di autodeterminazione, in cui era possibile vivere con libertà, coscienza e responsabilità la propria passione. Quando ciò è stato attaccato dall’intervento delle istituzioni e del mercato, la reazione più spontanea è stata quella di «occupare» uno spazio che non esisteva, di riversarci quella libertà, coscienza e responsabilità di autonomia che tanto amavamo, di autogestirlo, per poi chiamarlo Curva Moana Pozzi.

La nostra esperienza, la fondazione di una associazione sportiva dilettantistica basata sui valori che tutti conoscono e gestita orizzontalmente da una rete di assemblee, si inserisce in un contesto che, con tutte le differenze del caso, si accosta molto a quello degli spazi occupati: si tenta di creare un modo alternativo di vivere collettivamente.

Sempre più spesso ci si trova di fronte a questa insopportabile tendenza allo svuotamento di contenuti e di significato degli eventi che ci accadono intorno. Allora è bene ricordarlo: noi nasciamo con un’esigenza di rottura e di conflitto.
La passione, la rabbia e l’amore che mettiamo nel nostro progetto sono piccolissimi capitoli di un’azione più ampia, praticata nella storia da chi ha combattuto quel che riconosceva come ingiusto, oppressivo, degradante, misero.

Negli ultimi mesi abbiamo assistito a un forte innalzamento della tensione rispetto allo spauracchio dei «centri sociali». Vengono descritti come luoghi chiusi e inospitali, dove abitano violenza, droga, nichilismo. Vengono criminalizzati, sgomberati; i militanti vengono denunciati, arrestati. Ai «cittadini» non deve neanche passare per la mente di entrarci, men che meno di partecipare alle loro attività.

Poche settimane fa scrivevamo: «Ci sono dei giorni in cui pare vada di moda citare il Lebowski come una pratica positiva. Capita a volte che lo facciano pure le istituzioni che governano la città. E ci credo, stiamo buoni buoni nei giardini e nelle piazze a giocare con i bambini del quartiere investendo di tasca nostra nella manutenzione del luogo, che altro vuoi dire?
Ma prima di farlo in un deserto, alzeremo più casino possibile.
Abbiamo due idee di intendere la città decisamente differenti».

Ecco perché il Lebowski si schiera dalla parte degli spazi occupati, ecco perché la nostra curva scrive «Erdogan assassino». Perché non vogliamo vivere in un deserto.

U.S.D. Centro Storico Lebowski