“L’area Schengen è uno dei pilastri del progetto europeo. Dal 1995 la libertà di circolazione si è concretizzata con l’abolizione dei controlli ai posti di frontiera”. Così recita una nota pubblicata sul sito del Parlamento Europeo, che prosegue: “Le autorità nazionali possono effettuare controlli ai posti di frontiera in seguito a specifici rischi”. Quali sono questi rischi? Oltre a ipotetici ‘attacchi terroristici’, la nota fa riferimento solo ai flussi migratori: quindi alle persone migranti, considerate un pericolo non per ciò che fanno ma per ciò che sono. Un approccio che legittima chiusure, controlli e pratiche, non sempre regolari: respingimenti immediati, anche di minori non accompagnati, trattenimenti. L’obiettivo primario è fermare i e le migranti. Per farlo, sempre più spesso viene colpito anche chi si oppone a questo tipo di approccio, come molti cittadini e attivisti. O chi, semplicemente, prova a fare il proprio lavoro. E’ il caso di Valerio Muscella e Michele Lapini, due fotoreporter italiani trattenuti per quattordici ore dalla polizia francese.
Da circa una settimana i due freelance sono al confine alpino tra Francia e Italia, per documentare i passaggi dei migranti che, dopo aver attraversato la rotta balcanica – in cui le violazioni sono note anche grazie al lavoro di giornalisti sul campo – provano a proseguire il proprio viaggio, spesso verso il nord Europa, dove molti hanno una rete relazionale attiva. Un viaggio che l’assenza di politiche europee di ingresso legale e sicuro, e la mancanza di responsabilità condivisa tra stati membri, obbliga a fare nell’ombra, tra i boschi. E proprio nei boschi si trovavano Muscella e Lapini nella notte di lunedì di Pasquetta, nello specifico tra Claviere e Monginevro, dove stavano seguendo otto uomini, cittadini iraniani e afghani. Il gruppo è stato bloccato dagli ufficiali della PAF, la Polizia di frontiera francese.
“Gli otto migranti sono stati fermati, e noi con loro, in quanto sospettati di essere passeur, trafficanti” racconta Muscella. A nulla è servito mostrare i documenti e chiarire di essere fotoreporter, con tanto di tesserino dell’AIRF (Associazione Italiana Reporters Fotografi). “Siamo stati portati al commissariato della Paf a Monginevro insieme ai tre cittadini iraniani e ai quattro afghani. Ci hanno tolto il cellulare, le stringhe dalle scarpe, le cinture. Dopodiché ci hanno chiuso in due celle separate. Per andare in bagno dovevamo farci accompagnare”, raccontano. Lì sono rimasti quattordici ore: telecamere di sorveglianza puntate, luce accesa, una panca di legno per provare a dormire. Alle 4 di mattina è arrivata una funzionaria della polizia francese. “Ci hanno chiesto se siamo sposati o fidanzati, dove viviamo, se in affitto..”, spiega Lapini. Poi le domande si sono concentrate sul sospetto mosso dalla polizia. “Era evidente che eravamo lì per fare il nostro lavoro. Abbiamo mostrato le foto, i nostri siti, una lettera della Croce Rossa attestante il lavoro di documentazione che stavamo svolgendo”. Nessun cambiamento dalla polizia francese: si accavallano le domande sui percorsi dei migranti ed eventuali passaggi di soldi, ripetute in un secondo interrogatorio alle 6 di mattina.
Sono le 10.30 del mattino quando i due vengono finalmente fatti uscire, dopo la firma di documenti in francese. Ieri l’avvocato Andrea Ronchi, nominato difensore, ha scritto alle autorità francesi per chiedere chiarimenti. “Il Comune di Monginevro ha risposto con una velina locale che sottolinea come le ore di fermo abbiano coinciso con il tempo necessario per chiarire la posizione dei due”. Dal commissariato di Briançon e dall’ufficio della Paf ancora nessuna risposta. “In un paese europeo, due cittadini europei sono fermati per 14 ore e trattati come arrestati. Inoltre non viene rilasciata loro alcuna notifica scritta, ma solo un foglio con una frase in pennarello che indica nel Tribunale di Gap il luogo per avere informazioni”, commenta l’avvocato, sottolineando: “Ci sono procedure che in Europa devono essere garantite, non possiamo lasciare che un cittadino europeo sul suolo europeo venga trattenuto senza capire il motivo”.
E se a livello legale si chiarirà ciò che è successo, l’effetto immediato è già lampante secondo l’avvocato: “Quando accaduto mi sembra si configuri come simile a ciò che vediamo su più ampia scala in questo momento. Queste inchieste hanno l’effetto di dire che sulle montagne ci sono la polizia e non ci devono essere i giornalisti, come nel mare c’è la guardia costiera libica e non devono esserci le ONG. L’effetto che hanno è quello di allontanare occhi e orecchie dai luoghi più sensibili in questo momento in Europa, ossia i confini. Ed è proprio da come ci comportiamo in questi luoghi che si vede lo stato di salute delle nostre democrazie.
E’ sulla situazione dei migranti che Muscella e Lapini pongono ora l’accento, perché se due cittadini italiani vengono trattenuti in quelle condizioni, cosa può succedere a chi non ha il passaporto ‘giusto’? “Gli otto uomini fermati con noi sono stati respinti: la polizia francese ha chiamato quella italiana, che come fa sempre in questi casi ha riportato le persone indietro”. Ecco come finisce per molte persone il viaggio: con un respingimento immediato verso il primo comune italiano, senza alcun tipo di assistenza se non quella di solidali e associazioni. In attesa, spesso, del prossimo tentativo. Perché chi ha alle spalle un viaggio di mesi, segnato da sofferenze e violazioni, difficilmente si fermerà proprio qui. Uno dei ragazzi afghani presente al momento del fermo ha vissuto in una fabbrica abbandonata a Bihac, in Bosnia, per sei mesi, prima di continuare il viaggio. Ha provato più di venti volte ad attraversare il confine. A fine marzo, una bambina afghana di undici anni è stata ricoverata a Torino in stato di shock dopo essere stata respinta con la madre dalla Polizia francese al confine del Monginevro. Entrambe hanno trovato sostegno presso la Casa cantoniera di Oulx.
Serena Chiodo
da il manifesto