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G8 Genova: Suggestione di una sentenza

La Cassazione, riconoscendo legittimità ad un reato di stampo autoritario e dagli incerti confini come quello previsto dall’art.419 del Codice Penale Rocco, ha convalidato l’impianto della sentenza della Corte d’Appello di Genova che aveva stabilito che i manifestanti a Genova, nel luglio 2001 «devastarono e saccheggiarono» la città ponendo in crisi l’ordine pubblico.

La questione non è (solo) se un secolo per 10 imputati fosse troppo e dunque se sia meglio ridurlo ad una ottantina di anni, riducendo la pena comunque esorbitante per alcuni e promettendo di ridurla per altri, rimettendo parte del processo ad un giudice del rinvio.

La questioni in ballo erano altre: prima di tutto, chi porta la responsabilità della degenerazione dei fatti di Genova. Il paradosso, su questo punto, è che proprio le sentenze di merito contro i 25 manifestanti avevano riconosciuto che fu responsabilità delle forze dell’ordine (dei carabinieri) se le cose presero una piega violenta nel primo pomeriggio del 20 luglio del 2001, al punto da terminare tragicamente con la morte di Carlo Giuliani. Ma se furono i carabinieri a dare la via alle tragiche danze, come è possibile addossare ai manifestanti l’avere messo in crisi l’ordine pubblico, elemento fondamentale per riconoscere il reato di devastazione e saccheggio? Secondo, nessuno degli imputati faceva parte del gruppo dei black block, che posero in essere atti di violenza e di gravi danneggiamenti. Come è possibile addossargli responsabilità così pesanti solo perché si aggiravano nei paraggi o, magari, tirarono un sasso o rubarono un prosciutto da un supermercato da altri invaso? Il Pg Gaeta ha detto che tutti erano consapevoli e complici, partecipi dell’ideazione e della decisione. Eppure, oggi la Cassazione ha detto che alcuni di loro agirono sotto l’influenza di «una folla in tumulto», come recita l’attenuante che si dovrà concedere ad alcuni degli imputati. La suggestione non sembra congruente con la partecipazione consapevole alla ideazione e alla decisione. Infine, è mai possibile trascinarsi ancora dietro reati come questo, di stampo tipicamente fascista, dai confini incerti e dunque buono per essere ripescato – come in questo caso – in chiave ideologica, per colpire il dissenso e il diritto ad esprimersi anche con manifestazioni antagoniste?

La Cassazione avrebbe potuto far cadere, una volta per tutte, un simile mostro giuridico, senza peraltro rinunciare a sanzionare i comportamenti violenti di danneggiamento o di furto, laddove ve ne fossero le prove. Ne sarebbero scaturite delle pene consistenti, anche se non micidiali come quelle irrogate. Tali pene oggi sono state ridimensionate un pochino (e altre lo saranno col rinvio) e per alcuni dei manifestanti si allontana lo spettro della carcerazione, mentre almeno per due la galera si aprirà già domattina, per lunghi anni.

Il peggio, dinnanzi a questa sentenza, è comunque dire che così «siamo pari e patta». Condannati i poliziotti della Diaz e condannati i manifestanti. Innanzitutto perché i poliziotti non faranno mai un giorno di carcere, mentre alcuni dei 10 manifestanti vi giaceranno per anni: il che non è indifferente. Ma soprattutto perché qui non siamo ad una partitella di calcio: qui la contrapposizione è fra uno stato che attraverso suoi supposti servitori ha annullato diritti e garanzie per tre giorni a Genova e da allora non ha mai inteso riconoscere questa violazione, ed il diritto a manifestare, aggredito allora con l’attacco alla tute bianche e agli altri dimostranti, conculcato negli anni successivi proprio con lo spettro di ciò che era accaduto in quei giorni, ed oggi sanzionato con condanne ingiustificate nei loro presupposti e nella loro entità. Lo squilibrio è evidente ed insanabile.
 
Ezio Menzione da il manifesto