Nato male, come un tributo al programma elettorale securitario, questo ddl può finire peggio. Il messaggio del Ddl sicurezza è chiaro: legge e ordine, chi protesta, chi è marginale, chi non pratica ginnastica d’obbedienza domani rischierà ben più di ieri.
di Stefano Anastasia da L’Unità
Nato male, come un tributo al programma elettorale securitario, questo ddl può finire peggio. Avete fatto fare il loro giro di giostra ai propagandisti del penale, ora è il tempo della responsabilità. Fermatevi! Prima che sia troppo tardi, fermatevi e ripensateci. Il disegno di legge di iniziativa governativa sulla sicurezza è nato male, ma può finire peggio. È nato, diciamolo esplicitamente, come tributo a un programma elettorale securitario, in cui le forze politiche di destra avevano promesso alle organizzazioni sindacali della polizia tutto quello che loro avrebbero voluto, come un po’ troppo disinvoltamente si tende a fare quando bisogna prender voti. Prudentemente qualcuno tra il Viminale, via Arenula e Palazzo Chigi avrà suggerito che cose così strampalate, come il reato di disubbidienza nonviolenta agli ordini impartiti in carcere, o la libertà di porto d’armi private e fuori dal servizio per gli appartenenti alle forze di polizia, non potevano diventare legge per decreto, come ormai il Governo è uso fare, essendo ormai invertito il modus fisiologico della produzione legislativa.
Qualcuno dotato di senno avrà saggiamente suggerito che la propaganda elettorale si poteva continuare a fare anche per via ordinaria, mettendo in un disegno di legge la fiera delle vanità securitarie e lasciando sui binari privilegiati della decretazione d’urgenza cose più rilevanti nell’agenda politica di governo. Peraltro, questo viaggiare a scartamento ridotto del disegno di legge sulla sicurezza consentiva anche di dare seguito a promesse dal sen fuggite allo stesso Ministro della giustizia quando, impressionato da una duplice morte nel carcere torinese delle Vallette, si era lasciato andare alla promessa di un aumento delle opportunità di colloquio telefonico dei detenuti con i loro congiunti: messo nel disegno di legge (invece che realizzato per regolamento governativo) non sarebbe successo nulla per un bel un po’ (e in effetti c’è voluto quasi un anno e molte decine di altre morti perché un decreto-legge, per altro inutile, autorizzasse i direttori a procedere in deroga alla normativa vigente). Ma messo lì, sui binari della creatività penalpopulista, il disegno di legge si è arricchito della qualunque, o almeno di qualsiasi cosa non riuscisse ad affermarsi come norma di legge in via d’urgenza. E allora via con la criminalizzazione delle manifestazioni non autorizzate e delle occupazioni degli immobili, per non dire della reformatio in peius del codice penale fascista sul punto della sospensione della pena per le donne incinte o con neonati di età inferiore a un anno e da ultimo della revivescenza della sempreverde castrazione chimica, che son vent’anni che qualcuno vuole imporla per legge, dimostrando di non aver capito nulla della violenza maschile contro le donne, continuando a rubricarla sotto la formula autoassolutoria dell’impulso e della patologia individuale.
Oggi questo accrocco mostruoso è stato approvato dalla Camera e si trasferisce in Senato per la seconda lettura. Non sappiamo se anche al Senato sarà dato libero sfogo alla creatività punitiva dei senatori della maggioranza e dei loro occasionali stakeholders, arricchendo di nuove perle il catalogo delle oscenità illiberali contenute nel disegno di legge, o se – disciplinati a dir sì in seconda lettura – se ne asterranno, sazi della festa della forca compiuta a Montecitorio. Certo il Governo non può non assumersi la responsabilità di quel che c’è scritdeocolloqui, to in questo disegno di legge e di quel che ne potrà venire dalla sua approvazione.
Io la vedo sempre dal mio fondo di bottiglia, dal carcere, dove finiscono per depositarsi tutte le scorie degli usi e degli abusi del diritto penale. Non sono stati sufficienti il decreto Caivano e le chiusure in carcere (alle licenze speciali per i semiliberi, alle telefonate e ai videlle celle e delle sezioni) per capire che quel che dai ti torna? Se tratti i detenuti come non-persone, neanche meritevoli di un’attenzione istituzionale durante una visita in carcere, ma sempre e solo come animali in gabbia, che più ne fanno e più ne potrebbero fare, da rinchiudere sempre più serratamente, cosa ti aspetti che ne venga? Dopo un’estate di morti e proteste, in cui intere sezioni sono diventate inagibili, ma i cui detenuti non possono essere spostati perché non c’è più posto (il problema delle prossime settimane a Regina Coeli, per esempio, sarà liberare le aule scolastiche dai letti con cui sono state riempite durante le “vacanze”), dopo un decreto-legge così insignificante da costringere la Presidente del Consiglio a convocare una riunione a Palazzo Chigi il giorno della sua approvazione per capire come gestirne il vuoto pneumatico, dopo l’annuncio del Ministro Nordio di nuove iniziative per affrontare l’emergenza carceri, di cui addirittura avrebbe voluto parlare con il Presidente della Repubblica, dopo tutto questo, che fate, ai detenuti gli dite che da oggi vi beccate nuovi anni di carcere ogni volta che disobbedite agli ordini della polizia? Non vi rendete conto che questa è una vera e propria provocazione e che vi toccherà gestirne le conseguenze, e che soprattutto toccherà a quei poveri poliziotti di sezione, sotto organico e stremati dai doppi e tripli turni, gestirne le conseguenze, carcere per carcere e sezione per sezione? È così che volete rappresentarli, i lavoratori della sicurezza? Fermatevi, dunque: avete fatto fare il loro giro di giostra ai propagandisti del penale, ora è il tempo della responsabilità, fermatevi finché siete in tempo.
Migranti, poveri, disobbedienti: per il Governo tutti criminali
da Esecutivo di Magistratura democratica
Il messaggio del Ddl sicurezza è chiaro: legge e ordine, chi protesta, chi è marginale, chi non pratica ginnastica d’obbedienza domani rischierà ben più di ieri. Pur nella consapevolezza del carattere articolato dell’intervento normativo, rileviamo che il Ddl 1660 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario) di iniziativa governativa, esprime una “visione” dei rapporti tra autorità e consociati fortemente orientata al versante dell’autorità, coltivando l’ambizione di risolvere – con l’inasprimento di pene, l’introduzione di nuovi reati, l’ampliamento dei poteri degli apparati di pubblica sicurezza – problemi sociali che probabilmente potrebbero trovare più efficaci risposte senza usare per forza la leva penale. Colpisce, nel complesso, la tendenza a introdurre nuove incriminazioni e, in linea generale, a introdurre inasprimenti sanzionatori. Una linea di tendenza che però non assicura affatto risultati concreti sul piano della prevenzione dei fenomeni criminali.
Preoccupa, in secondo luogo, la costruzione di nuove fattispecie penali (o l’introduzione di aggravanti) che perseguono l’obiettivo di sanzionare in modo deteriore gli autori di reato che hanno commesso fatti nel corso di manifestazioni pubbliche o di iniziative di protesta contro la realizzazione di c.d. grandi opere. A ciò si aggiunge l’ampliamento del catalogo di misure di prevenzione atipiche, con attribuzione del potere al Questore di vietare a determinate categorie di persone l’accesso ai luoghi ove si realizzano le c.d. grandi opere. Si tratta di previsioni che intendono disegnare un “tipo d’autore” veicolando nel discorso pubblico l’idea che la pubblica manifestazione di protesta è in sé un fatto da stigmatizzare.
Espressione della over-criminalization per “tipo di autore” sono anche la previsione o l’inasprimento delle misure repressive nei confronti di chi occupa case, di chi fa blocchi stradali (anche non violenti), di chi adotta iniziative di protesta particolarmente appariscenti (si allude alle norme che intendono aggravare il trattamento sanzionatorio rispetto a fenomeni di protesta come quelli posti in essere dal movimento Ultima generazione). Novità che lasciano perplessi sia in ordine alla proporzionalità della risposta sanzionatoria (che si vuole inasprire) sia sotto il profilo della selezione dei fatti cui attribuire disvalore penale (si pensi ai blocchi stradali non violenti).
Sempre nel solco dell’ampliamento dei poteri attribuiti all’autorità di pubblica sicurezza di incidere direttamente sulla libertà personale meriterebbe una seria riflessione l’ampliamento delle ipotesi di possibilità di arresto in c.d. flagranza differita, posto che essa rischia di porsi in frizione con le garanzie scolpite nell’art. 13 della Costituzione.
Come espressione di una logica penale principalmente repressiva e muscolare si segnalano, ancora, le norme in materia penitenziaria: gli interventi che potenzialmente renderanno possibile l’ingresso in carcere di bambini di età inferiore a tre anni (o la forzata rescissione dei legami con la madre); l’introduzione del reato di rivolta penitenziaria (che incrimina anche atti di resistenza passiva all’esecuzione di ordini, senza nemmeno avere la cura di specificare che tali ordini debbono essere almeno legittimi…); l’introduzione di ulteriori ipotesi di ostatività o di automatismi che rendono più arduo l’accesso a benefici penitenziari.
Per contro – e rispondendo alle attese elettorali che alimentano il consenso di forze ampiamente rappresentate in Parlamento – si introducono numerose disposizioni che intendono offrire uno statuto privilegiato agli operatori del settore della sicurezza pubblica: il porto d’armi senza licenza (che ha l’effetto potenziale di aumentare il numero di armi in circolazione); l’introduzione di fattispecie incriminatrici ad hoc (con possibilità di arresto in flagranza differita); l’introduzione della possibilità di avere sostegno economico in caso di sottoposizione a procedimenti penali in conseguenza di fatti connessi all’esercizio della funzione rivestita (a differenza della generale platea dei dipendenti pubblici). Il Ddl interviene anche sulla questione migratoria. E lo fa – ancora una volta – con interventi normativi che intendono rendere più difficile il soccorso (si allude agli interventi di modifica al codice della navigazione, che possono introdurre ulteriori ostacoli alle attività delle Ong impegnate nei soccorsi in mare) e più difficile la vita dei migranti, una volta giunti sulle rive italiane.
Anche se il nome giornalistico del provvedimento, scelto dalla maggioranza di governo, richiama la “sicurezza”, molte delle disposizioni di questo decreto non solo non giovano alla sicurezza pubblica ma anzi rendono le città meno sicure per tutti. È certamente il caso della disposizione che modifica il codice delle comunicazioni elettroniche, obbligando gli esercenti commerciali che vendono SIM a richiedere il permesso di soggiorno a persone straniere come condizione per procedere all’acquisto. Una vera e propria disposizione anti-migranti, che limita la possibilità di acquistare e possedere beni nei confronti di una categoria di cittadini stigmatizzata in base all’etnia, così riportando alla memoria i tempi più bui del secolo scorso.
Ma non è solo questo. Prendersi carico della sensazione di insicurezza che viene percepita, soprattutto nei grandi centri urbani, a seguito dei ricorrenti episodi di violenza che hanno per protagonisti migranti che vivono in strada, soprattutto nelle zone delle stazioni, senza nessun accesso alle reti della società, significa, come il semplice buon senso dovrebbe chiarire a chiunque, dotarsi un sistema sociale di presa in carico di queste persone: identificarle innanzitutto, visitarle per capire se hanno problemi fisici o psichici che richiedano interventi immediati, allocarle in centri dove abbiano almeno un letto e un pasto garantito e soprattutto toglierle immediatamente dalla strada, dove l’unico sbocco di sopravvivenza è la criminalità, che infatti spesso li sfrutta coinvolgendoli nel consumo e nel piccolo spaccio di stupefacenti, così aggravando le loro problematiche psichiche e personali e incrementando la possibilità di condotte violente. Questo ci rende tutti più insicuri. Rispondere con pene sempre più severe non aiuta certo le vittime di quei reati, che intanto li hanno subiti e continueranno a subirli in misura sempre maggiore, se i migranti non regolari vengono deliberatamente spinti a delinquere da disposizioni come questa.
Non vediamo poi cosa c’entrino con la sicurezza dei cittadini le tante norme del decreto che criminalizzano il dissenso verso le politiche di governo, come quella che introduce il reato di “blocco stradale”, chiaramente rivolta alle associazioni ambientaliste, o quella che introduce un’ulteriore circostanza aggravante dei delitti di resistenza a pubblico ufficiale se il fatto è commesso al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica, anch’essa chiaramente rivolta alle manifestazioni contro la realizzazione di grandi opere come la TAV o il Ponte sullo Stretto, manifestazioni che peraltro vedono spesso un’ampia partecipazione delle comunità cittadine locali. L’unica “messa in sicurezza”, in questo caso, è quella delle politiche di governo, che usa il grimaldello del diritto penale per disincentivare e reprimere il dissenso, proprio da parte chi lamenta sempre la presunta “politicizzazione della giustizia”. Il Ddl 1660 – oggetto della libera discussione in Parlamento – sembra dunque usare la leva penale per disegnare simbolicamente un nuovo assetto dei rapporti tra Autorità e consociati, veicolando un chiaro messaggio: legge e ordine, chi protesta, chi è marginale, chi non pratica ginnastica d’obbedienza domani rischierà ben più di ieri. “La maggior parte delle sue disposizioni (come sostiene l’OCSE nel parere reso il 27 maggio 2024) ha il potenziale di minare i principi fondamentali della giustizia penale e dello stato di diritto”.
Non ci sembra che il Ddl, così come è formulato, sia un messaggio coerente con le esigenze del sistema penale e penitenziario, né con la proclamata necessità di costruire un sistema penale liberale e informato al garantismo.
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