Il venti luglio 2001 a Genova in Piazza Alimonda veniva ucciso Carlo Giuliani. Per quell’omicidio, agli atti, c’è solo una archiviazione. Il carabiniere che sparò agì, secondo i giudici, per legittima difesa. Il colpo, secondo gli esperti balistici della Procura di Genova, si avventurò in una traiettoria deviata da un calcinaccio in volo e quindi ‘attinse’ la vittima. L’omicido di Carlo Giuliani fu il momento più alto della repressione indiscriminata che porta nomi ormai noti di quei giorni: la Diaz, i manganelli e i lacrimogeni da guerra nei cortei, la caccia all’uomo, le botte, i cori fascisti di alcuni agenti. Vi fu, secondo qualificati osservatori, una sospensione dei diritti costituzionali e la ferita aperta, mai rimarginata, si stempera nel tempo che passa, nella quotidianità che scorre, nelle cronache incalzanti che saturano la percezione e la riflessione.Pochi giorni fa un tribunale di Ferrara ha condannato in primo grado quattro agenti di polizia per l’omicidio di Federico Aldrovandi, percosso e picchiato alle prime luci dell’alba mentre stava rincasando dopo una serata con amici.A Parma, un ragazzo di colore nei mesi scorsi veniva picchiato e fotografato con insulti razzisti nella caserma dei vigili municipali.L’ordine pubblico è questione delicata nella storia d’Italia (utilissimo il sito http://www.reti-invisibili.net/), dagli anni più caldi della contestazione, a quelli bui della lotta armata, fino ad arrivare ai nostri giorni passando da Napoli – un anno prima di Genova – e ai fatti che riguardano il comportamento degli agenti impegnati corpo a corpo con le tifoserie da stadio. Quest’ultimo accostamento ci ricorda come siano cambiati i terreni di scontro e come sia mutato anche l’atteggiamento di chi è chiamato al servizio ‘anti-sommossa’.Torniamo a Genova: otto anni dopo vale la pena ricordare anche cose piccole, ma significative. La catena di comando del macello della Diaz, con falsi ideologici e depistaggi che arrivano fino all’allora Capo della polizia Gianni De Gennaro, ha portato solo a promozioni o incarichi ancor più prestigiosi per i responsabili delle forze di polizia . Le battaglie di quella sinistra che oggi è scomparsa dal Parlamento per avere la piena identificabilità degli agenti, per esempio con un numerino identificativo sul casco, sono rimaste lettera morta. Le fotografie consegnate ai pm di Genova per il riconoscimento delle ‘mele marce’ nelle fila dei tutori dell’ordine erano fototessere sbiadite e in formato talmente piccolo da rendere impossibile qualsiasi tentativo di riconoscibilità. A Milano, un murales dipinto in memoria di Carlo Giuliani, è stato cancellato conme se fosse una semplice tag da rimovere dai muri imbrattati. Lo avevano rifatto, lo hanno ricancellato. La scritta recitava: no justice, no peace.Nelle manifestazioni dell’Onda della scorsa primavera alcuni studenti spiazzavano gli agenti con manifestazioni improvvisate che paralizzavano il traffico. Paura degli agenti? Nessuna, sono della polizia, alcuni dicevano. Ai tempi di Genova quei ragazzi avevano 12 anni. Certo, dicevano, ce lo ricordiamo. Ma non facciamo nulla di male. Proprio come migliaia di persone picchiate brutalmente allora. L’ex parlamentare Gigi Malabarba ancora oggi che non siede più nel Palazzo non si stanca di raccontare come siano cambiate le regole per entrare in polizia: il riferimento è a una legge del 2004 che favorisce fino al 2020 i militari, spesso quelli che hanno un concetto di ‘ordine pubblico’ legato alle ‘missioni di pace’, rispetto agli aspiranti poliziotti civili che non sono in servizio nei corpi armati. Una norma che prospetta dei riflessi inquietanti, basti pensare ai militari del Tuscania per le strade di Genova nel 2001. Manca una riflessione sulla gestion edella piazza, l’addestramento, in un normale contesto urbano italiano. Lo conferma la decisione, annunciata con vanto dal governo Berlusconi, di affiancare agli agenti per le strade delle città militari in mimetica, o la militarizzazione dei luoghi ‘sensibili’ come i siti prescelti per discarioche o termovalizzatori. Torniamo, ancora una volta a Genova: nessuna commissione di inchiesta, una verità processuale falsata, archiviazione per calcinacci devianti, prescrizione incombente, nessun ripensamento sulle reponsabilità all’interno delle forze di polizia. L’ultimo caso, quello dei quattro poliziotti di Ferrara condannati, è più che lampante. Uno di loro, alla lettura della sentenza che lo riteneva resposabile dell’omicidio di un ragazzo, non c’era. Era in missione al G8 dell’Aquila. Mansione: ordine pubblico.
Angelo Miotto – PeaceReporter
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Gigi Malabarba…lo stesso che andò in carcere per portare solidarietà al romeno Mailat, assassino e stupratore della povera signora Reggiani?!! Certo, condanniamo gli abusi di Stato….ma ricordiamoci che non sempre il comportamento dei “compagni” è pacifico e non-violento. E prima di parlare di stato di polizia…bè, vogliamo fare un pensierino alla democrazia cubana o cinese? Anche a causa di atteggiamenti miopi la sinistra in Italia è SCOMPARSA.