Immigrazione: non esiste nessuna invasione, solo politiche inadeguate
La popolazione europea cresce solo grazie agli immigrati: è aumentata di 1,8 milioni rispetto al 2015, nonostante uno scarto nascite/morti negativo (-135mila), grazie a un saldo migratorio di 1,9 milioni. In Italia, invece, la popolazione dal 2015 è scesa da 60,8 milioni a 60,7 perché sono morte più persone di quante ne siano nate – uno scarto di 162mila – e la differenza tra arrivi e partenze (32 mila) non è riuscita a compensare. Dato che gli italiani diminuiranno dal 2015 al 2025 di 1,8 milioni, “per mantenere sostanzialmente inalterata la popolazione italiana” in età da lavoro servirà un flusso di circa 157mila ingressi annui.
È questo, per il dossier, “il fabbisogno di immigrati dell’Italia” per “garantire l’attuale capacità produttiva del paese” e “rendere sostenibile il sistema previdenziale”. Partendo da questi dati, secondo Emma Bonino, è “essenziale riuscire a cambiare il racconto complessivo”.
Immigrati in Italia: meno istruiti e a rischio povertà
Su un totale di 500 milioni di persone in Europa solo il 6,9% sono immigrati. Le quote variano da paese a paese: in Lussemburgo è il 45,9%, in Polonia lo 0,3%. In Italia è l’8,2% (in linea con Germania, Regno Unito e Francia ). L’84,1% degli immigrati presenti nel nostro paese risiede nelle regioni del Centro-Nord, solo 15,9% al Sud: sono per lo più persone che cercano lavoro, e si stabiliscono dove è maggiore la domanda.
La crescita del numero degli stranieri in età lavorativa è rallentata progressivamente dal 2009 al 2015 (con cifra minima di +78mila unità). Si è chiuso un ciclo – quello dei flussi di oltre 350mila l’anno – e, complice la crisi economica, se n’è aperto un altro.
I permessi di soggiorno per lavoro per immigrati sono diminuiti (-62,9% rispetto al 2008) e sono cresciuti quelli per motivi familiari. È il segno “che nel nostro paese è in atto un progressivo consolidamento delle comunità di stranieri già insediate” spiega il dossier.
Quasi il 50% degli stranieri di prima generazione si trasferisce per lavoro, ma agli immigrati sono riservate mansioni non qualificate, rifiutate dagli italiani: manuali, pesanti, con remunerazioni modeste e contratti non stabili (3D jobs: dirty, dangerous, demanding). Le donne fanno le colf, le badanti, le cameriere, le addette alle pulizie; gli uomini gli operai, i facchini, i camerieri, i braccianti, gli autisti. Il loro reddito è inferiore rispetto a quello degli italiani ed è l’unico a essere diminuito durante la crisi. Ciononostante, il lavoro degli stranieri vale circa l’8% del Pil, 100miliardi l’anno.
Il rischio povertà ed esclusione sociale degli immigrati in Italia è maggiore della media Ue: 48,2% contro 40,6%. Tra gli ostacoli principali all’ingresso nel mercato del lavoro c’è il mancato riconoscimento della qualifica professionale, la scarsa conoscenza della lingua e difficoltà con il permesso di soggiorno. Dall’altro lato, l’Italia è tra i grandi paesi europei quello che ospita immigrati con il più basso livello d’istruzione: quasi metà ha al massimo la licenza media, l’11% è laureato – il 47% nel Regno Unito.
Richiedenti asilo tra protezione negata e poca integrazione
Secondo l’Unhcr nel 2015 le persone cui è stata concessa protezione internazionale sono state 16,1 milioni, di cui solo 1,3 milioni sono ospitate nell’Ue, l’8,3%. L’Italia ne ha accolte 118mila, lo 0,7%. La maggior parte si trova in Turchia (2,5 milioni), Pakistan (1,6 milioni), Libano (1,1 milioni) e Giordania (664 mila). La crescita dei rifugiati nel mondo è stata molto intensa negli ultimi 5 anni (+52,8%) ma “complessivamente l’attuale dinamica degli sbarchi dei migranti in Italia non presenta alcun carattere di eccezionalità e di emergenza, diversamente da quanto sostenuto da alcuni”.
Il nostro paese nel 2015 ha ricevuto 83mila richieste di protezione internazionale, più che triplicate rispetto al 2013, perché l’irrigidirsi dei vincoli Ue ha spinto molti migranti a fare domanda in Italia, per potervi rimanere legalmente fino alla conclusione dell’iter. Il tasso di non accoglimento del nostro paese, però, è superiore di 10 punti rispetto alla media europea: oltre la metà (58,6%) delle domande presentate dal 2008 al 2015 è stata respinta. Questo non è senza conseguenze: decine di migliaia di persone restano in Italia senza titolo, impossibilitate a svolgere attività lavorativa, facili prede di sfruttamento.
Tra i richiedenti asilo è difficile che qualcuno intraprenda percorsi di formazione o inserimento lavorativo, servizi che non rientrano tra quelli offerti dai centri d’accoglienza. Questa situazione ha “riflessi negativi sulla percezione della sicurezza da parte dei cittadini”, ed è determinata “dall’assenza di una legislazione stringente sull’integrazione” e “dall’assoluta inadeguatezza dei centri per l’impiego”.
Una politica migratoria inefficace
Secondo Bonino, “la sfida è tra l’Europa dei muri e quella dell’integrazione ordinata” che “si fa carico di una necessità, che abbiamo anche nel nostro paese, di cambiare le norme e valorizzare i dati positivi”.
Nel dossier dei Radicali ci sono alcune proposte, il cui presupposto è fornire canali d’ingresso legali per chi cerca protezione o lavoro: permessi di soggiorno temporanei per trovare un’occupazione; attività di intermediazione tra datori di lavoro e stranieri; forme di regolarizzazione degli irregolari “radicati”, che dimostrino che in Italia hanno un’attività o famiglia; miglioramento – e monitoraggio – dei centri d’accoglienza, che devono avere legami con centri per l’impiego o agenzie; e canali legali e sicuri d’arrivo in Europa, implementando i programmi di reinsediamento, favorendo corridoi e visti umanitari. Per il senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti umani, sono “economia e demografia” i due “grandi strumenti cui ricorrere per una politica dell’immigrazione e dell’asilo che sia davvero efficace”.
Per “cambiare il racconto”, insomma, l’unica via resta l’integrazione.
[Leggi il rapporto integrale dei Radicali e l’annesso “Tutto quello che sai sugli immigrati è falso“]Claudia Torrisi da Open Migration