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‘Io, 16 anni, picchiato dalla polizia’

«Quando ci hanno caricato ho cercato di scappare. Hanno iniziato a prendermi a manganellate e a calci con gli anfibi. Ora sono pieno di lividi, ma più del dolore mi fa male l’indifferenza». Parla un liceale di Torino
Matteo ha sedici anni ma non glieli daresti a vederlo con le sue spalle strette, le gambe lunghe e magre e il viso dai lineamenti appena scolpiti. Gliene daresti molti di più, di anni, se lo guardassi dritto negli occhi che mandano lampi scuri.
Matteo frequenta il liceo scientifico. E’ uno dei settecento studenti che venerdì 5 ottobre ha partecipato a Torino alla manifestazione contro i tagli alla scuola pubblica. Manifestazioni che si sono svolte in tutta Italia.
E’ uno degli studenti che sono stati picchiati dagli agenti di polizia in tenuta antisommossa. E’ uno che oggi è pieno di lividi e ha il cuore gonfio di rabbia e di paura.«A Torino», racconta, «la manifestazione era appena partita quando, all’angolo con via XX Settembre, abbiamo cambiato percorso. Abbiamo proseguito solo pochi metri quando la polizia ci si è messa davanti. Dietro il cordone dei poliziotti in tenuta antisommossa, c’erano due o tre camionette».
«Noi stavamo camminando, c’era la musica, facevamo i cori. Non stavamo facendo nient’altro. Qualcuno però ha cominciato a tirare fumogeni, qualche petardo e delle uova. Non so chi fossero i lanciatori, non li conosco», continua.
E poi: «Allora la polizia ha subito caricato. Io ero in testa al corteo, avevo in mano lo striscione. C’era scritto: ‘Contro crisi e austerità, riprendiamoci scuole e città’. Non è andata come volevamo, non ci siamo ripresi niente. Siamo scappati tutti via».
«Correvo insieme a tutti gli altri, io davanti, i poliziotti dietro. Li stavo quasi seminando ma sono stato bloccato da un paletto, quelli di ferro che stanno fra la strada e il marciapiede… una ragazza davanti a me si è spostata così all’improvviso che io ho sbattuto con la pancia contro il paletto. Ho dovuto fermarmi un momento e ho sentito subito i manganelli addosso.
Un poliziotto mi ha preso per lo zaino, mi ha buttato a terra. Sopra di me erano in sette, otto. Mi hanno circondato. Per un minuto che non finiva più hanno continuato a picchiarmi con i manganelli ovunque, mentre un altro mi prendeva a calci con i suoi anfibi.
Io urlavo dal dolore e dalla rabbia: loro erano in sette, grandi, grossi e armati e io uno solo, senza nemmeno lo zaino, a terra.
Vicino a me è arrivato un altro poliziotto in borghese, con addosso solo il casco e degli occhialetti neri.
Ha detto loro di smetterla, ma loro non smettevano. Il minuto più lungo e più brutto della mia vita è cessato quando mi hanno lasciato a terra e sono corsi avanti, a cercare altri studenti come me. Il poliziotto in borghese mi ha detto: ˜Stai fermo sennò ti manganello di nuovo’. Naturalmente ho dovuto star fermo. Del resto come avrei potuto muovermi? Non riuscivo nemmeno ad alzarmi. Lui mi ha chiesto il documento, ha preso i miei dati e mi ha fatto anche un piccolo video.
Finita l’identificazione, mi ha lasciato andare.
Accanto a me c’era una coppia di ragazzi. Si era messa in mezzo alla strada con le mani alzate, in segno di resa. I ragazzi volevano far capire così che loro non c’entravano niente, ma non è servito.

I poliziotti hanno colpito prima lei con una manganellata nella pancia così forte da farla cadere a terra, poi hanno manganellato lui, soprattutto in testa, da dove ha cominciato a sanguinare.
Quando mi sono ripreso, sono andato a cercare i miei amici. Ho trovato una ragazza alla quale prima avevano tirato una manganellata nella schiena e poi avevano detto: Sei troppo bambina tu. Devi ancora capire come va il mondo”.

Ho visto un ragazzo che camminava per i fatti suoi e che palesemente non c’entrava niente con la manifestazione, inseguito da un altro poliziotto, esaltato, che gli urlava:’Fermati subito, cosa ci fai tu qui?’. Il ragazzo gli ha risposto che stava soltanto camminando ma il poliziotto di rimando ha replicato: ‘Ah sì? adesso vedi!’ e stava per tirargli una manganellata. Per fortuna lo ha fermato il poliziotto in borghese, l’unico che sembrava tranquillo, che gli ha detto: “Questo lascialo stare, adesso lo identifichiamo’.
Brunella Lottero da L’Espresso