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Il j’accuse del popolo basco allo Stato spagnolo

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#YoDenuncio. In ottantamila alla manifestazione di solidarietà con i prigionieri politici

Salatzen Dut (in basco, io denuncio) è stato lo slogan della moltitudinaria manifestazione che ha inondato questo sabato le strade di Bilbao. Un j’accuse popolare per denunciare la situazione dei prigionieri e delle prigioniere politiche basche. Sotto una pioggia incessante, ottantamila persone (su una popolazione, quella basca, di circa tre milioni) hanno puntato il dito contro la violazione dei diritti umani del collettivo di detenuti politici, il boicottaggio del processo di pace da parte dello Stato spagnolo e la criminalizzazione della difesa dei diritti umani. Ad aprire la marea umana, i Mirentxin, furgoncini solidali messi a disposizione dei famigliari, che hanno sfilato emotivamente nelle prime file, per visitare settimanalmente i parenti reclusi.

La manifestazione è stata convocata dalla rete cittadina Sare, una piattaforma sociale che raccoglie sensibilità e posizioni ideologiche differenti attorno alla difesa per i diritti umani dei prigionieri politici. Nonostante la pluralità dei soggetti sociali e politici che hanno partecipato alla manifestazione, Podemos non ha aderito ufficialmente. Iñigo Errejon (portavoce al Congresso dei deputati) e altri dirigenti del partito, hanno partecipato e invitato a partecipare a titolo individuale. Anche il Partito Nazionalista Basco (al governo delle istituzioni autonome) si è smarcato dall’iniziativa. “Un favore all’immobilismo del Partido Popular”, ha spiegato Arnaldo Otegi, leader della coalizione indipendentista basca Bildu.

Era il 20 ottobre del 2011 quando tre uomini con il passamontagna, sotto un manifesto di Eta, annunciavano in un video la tregua definitiva. Da allora, il governo del Partido Popular, con l’appoggio dei socialisti del Psoe e di altre forze conservatrici, non ha accennato a cambiare atteggiamento verso le richieste di democrazia e autodeterminazione della sinistra basca. Al contrario, caduto il capro espiatorio del “terrorismo”, sembrerebbe che l’apparato repressivo dello Stato spagnolo stia restringendo i margini di agibilità ad altri soggetti e movimenti sociali e politici, nel Paese Basco e non solo. Nell’ultimo mese, diversi arresti hanno colpito la CUP, il partito-movimento indipendentista e anticapitalista che ha occupato importanti spazi istituzionali in Catalogna, difendendo la pratica della disobbedienza e dell’unilateralità nel cammino della secessione dallo Stato spagnolo. Ma non è solamente l’indipendentismo, nei vari contesti nazionali, a soffrire questo indurimento della repressione. Con la legge per la sicurezza cittadina – tristemente famosa come Ley Mordaza (Legge Bavaglio) – entrata in vigore a luglio del 2015, ad essere fortemente limitata è qualsiasi espressione di disobbedienza e dissenso. Quasi a voler riprodurre ed estendere, in un contesto di grande instabilità sociale e politica, quello stato d’eccezione applicato all’indipendentismo, che ha causato ferite laceranti a tutta la società basca.

Qui nessuna generazione viva ha conosciuto un periodo storico senza centinaia di prigionieri politici, e passati ormai cinque anni dalla decisione dell’organizzazione Eta di porre fine all’attività armata, non c’è stato alcun passo in avanti reale verso la soluzione politica al conflitto basco. Uno scenario politico paradossale e profondamente frustante. Diversi esperti fanno curiosamente notare come quello spagnolo sia l’unico Stato in cui un’organizzazione armata vuole iniziare un processo di disarmo e il governo pone tutti gli ostacoli possibili, impedendo di fatto il concretizzarsi del processo di demilitarizzazione. In questo contesto, nel Paese Basco, il modello repressivo utilizzato contro il movimento indipendentista si è esteso anche alle organizzazioni di solidarietà con i detenuti e le detenute politiche: sono stati arrestati diversi avvocati e personalità della società civile. Una strategia che punta a criminalizzare la difesa dei diritti umani delle quasi quattrocento persone recluse in diverse carceri spagnole, francesi, portoghesi, inglesi e svizzere, con l’accusa di aver militato in Eta o di aver contribuito, in un modo o nell’altro, alla violenza politica.

Le istituzioni spagnole applicano regole penitenziarie speciali e discriminatore al collettivo dei detenuti politici baschi. La loro dispersione in quasi ottanta carceri diverse è una strategia di logoramento inumana che costringe le famiglie a percorrere migliaia di chilometri per poter visitare i detenuti. Una politica contraria agli stessi principi del codice penale spagnolo, che afferma il diritto del detenuto al “compimento della condanna dove il recluso tenga le sue radici sociali”. Ieri il quotidiano basco Gara faceva notare come l’81% dei detenuti è recluso a più di cinquecento chilometri da casa. Durante gli ultimi tre anni ci sono stati ventidue incidenti stradali che hanno coinvolto ottantasei familiari; in totale la politica di dispersione ha causato diciassette vittime mortali, spiega un comunicato diffuso anche in Italia dall’organizzazione internazionalista Askapena.
Alla denuncia di questo regime penitenziario discriminatorio, si aggiunge quella di quattromila casi di tortura denunciati da un recente studio presentato da diverse istituzioni accademiche e politiche del Governo Basco, e la situazione critica di alcuni detenuti gravemente malati a cui viene negata la libertà. Un quadro sconcertante che segnala la necessità di una presa di posizione seria per avanzare verso il riconoscimento di tutte le vittime di un conflitto armato lungo più di cinquanta anni, cui cause politiche non sono ancora state risolte.

Diversi settori della sinistra indipendentista basca sottolineano proprio la natura politica della strategia di dispersione e della violazione dei diritti umani; rivendicano una posizione più radicale, che metta al centro la questione dell’amnistia, e la necessità di costruire una politica più conflittuale con lo Stato spagnolo. La via elettorale apertasi dopo la decisione di Eta di abbandonare le armi non ha dato finora molti frutti. Il gioco istituzionale delle alleanze ha permesso a Sortu, il partito socialista dell’indipendentismo, una grande crescita quantitativa, tuttavia non si sono fatti grandi passi in avanti nella costruzione qualitativa di un movimento politico realmente capace di cambiare le relazioni di potere.

Si percepisce una fase di stallo del processo di trasformazione sociale e autodeterminazione nazionale su diversi fronti. Per questo, le organizzazioni sociali, giovanili, il sindacato e il partito Sortu hanno aperto negli ultimi mesi un dibattito interno che porterà a ridefinire la forma e le relazioni tra i vari soggetti politici della sinistra basca. Un dibattito che parte da un importante punto di forza: l’ampio appoggio popolare, dimostrato ancora una volta dall’imponente manifestazione di ieri.

Davide Angelilli

da il manifesto