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Jobs Act: così i lavoratori perdono la privacy

Il Garante Antonello Soro critico con il disegno di legge approvato dal Governo: “Un più profondo monitoraggio di impianti e strumenti non deve tradursi in una indebita profilazione delle persone che lavorano”

“Corto circuito” tra diritto del lavoro e normativa sulla privacy è il particolare, disastroso effetto, che il disegno di legge sul controllo a distanza dei lavoratori, approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 11 giugno, potrebbe avere nel sistema giuridico italiano. Sulla questione si è anche espresso stamani il Garante della Privacy, Antonello Soro, nel corso della consueta relazione annuale tenutasi, alla presenza del Capo dello Stato, nella sala della Regina a Palazzo Montecitorio. Il decreto del Jobs Act all’esame delle Camere deve impedire «forme ingiustificate e invasive di controllo» dei lavoratori, «nel rispetto della delega e dei vincoli della legislazione europea», evitando «una indebita profilazione delle persone che lavorano», ha detto il Garante.

La norma, attualmente allo studio delle commissioni Lavoro e Bilancio di Camera e Senato, prevede infatti la modifica dell’art. 4 della legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori), eliminando il divieto di utilizzo “di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori”.

In sostanza si autorizzerebbe il datore di lavoro a poter rilevare e tracciare i propri dipendenti attraverso “gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa”. Categoria nella quale rientra praticamente tutto: dal telefono aziendale, al computer desktop, al tablet; non solo ma anche attraverso l’uso di telecamere e sistemi audiovisivi di registrazione negli ambienti di lavoro. Il datore di lavoro quindi, potendo rilevare tali dati, sarebbe autorizzato ad utilizzarli anche per fini disciplinari. Una sorta di catena di acciaio invisibile legata al collo dei dipendenti.

Il corto circuito sta nel fatto che, contrariamente a quello che è stato da più parti affermato, non vi sarebbe alcuna ulteriore tutela per i lavoratori nel D. Lgs. 196/03 (Codice sulla protezione dei dati personali) in quanto l’art 114 del Codice (quello che normava appunto il divieto di controllo a distanza del lavoro dal punto di vista della Privacy) rimanda molto semplicemente all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori: lavoratori privati quindi, con un sol colpo, di due tutele.

Secondo il Presidente dell’Autorità Garante della Privacy, Antonello Soro, “Nei rapporti di lavoro il crescente ricorso alle tecnologie nell’organizzazione aziendale, i diffusi sistemi di geolocalizzazione e telecamere intelligenti hanno sfumato la linea – un tempo netta – tra vita privata e lavorativa. È auspicabile che il decreto legislativo all’esame delle Camere sappia ordinare i cambiamenti resi possibili dalle innovazioni in una cornice di garanzie che impediscano forme ingiustificate e invasive di controllo, nel rispetto della delega e dei vincoli della legislazione europea. Un più profondo monitoraggio di impianti e strumenti non deve tradursi in una indebita profilazione delle persone che lavorano.” Le parole del Garante non lasciano possibilità di frainteso, indicando chiaramente la necessità di rivedere il provvedimento attualmente in esame.

La relazione

L’analisi di Soro ha riguardato molti degli spazi del nostro mondo ormai per gran parte digitale, partendo dalla considerazione che “nella società digitale noi siamo i nostri dati e la vulnerabilità dei dati è vulnerabilità delle nostre persone” e che da questo principio si deve partire per ricercare nuove e più efficaci forme di tutela delle nostre libertà.

“Non c’è dimensione della vita, privata e pubblica,” – ha poi affermato Soro – “che non presupponga un trattamento di dati personali e non richieda solide garanzie per evitare che quei dati vengano usati “contro di noi”, privandoci della nostra libertà anziché agevolandone l’esercizio.”

E nello scenario di questa dimensione digitale in cui i dati (e la loro gestione e sicurezza) diventano anche pilastri di democrazia e libertà, vi è la constatazione che “La rete costituisce una dimensione della vita entro cui si svolge – per citare l’art. 2 della Costituzione – la personalità di ciascuno” e che “i diritti devono godere on-line della stessa tutela accordata off-line e che l’identità digitale non è meno “personale” di quella reale.”

La Pubblica Amministrazione

Uno dei punti chiave della relazione del Garante è stata la centralità dei dati nella Pubblica Amministrazione dove la sicurezza è un obiettivo chiave per costruire la fiducia dei cittadini e garantire efficienza e trasparenza.

Una trasparenza però che “deve essere preservata da effetti distorsivi e da quell’“opacità per confusione” che rischia di caratterizzarla se degenera in un’indiscriminata bulimia di pubblicità”. Ed in questo il Garante ha esplicitamente criticato le scelte fin qui adottate dal legislatore italiano, invocando l’adozione di un FOIA italiano (Freedom of Information Act).

Una nuova ecologia digitale

Il Garante ha poi evidenziato come i cittadini siano sempre più immersi nella società digitale e come “sempre di più conosciamo noi stessi, il mondo e gli altri attraverso la tecnologia, senza disporre dei necessari anticorpi.”
E questi anticorpi possono formarsi solo attraverso una nuova “alfabetizzazione” che promuova comportamenti attivi ed informati per gestire con prudenza i nostri dati e, “dunque,” – ha affermato Soro – “anche l’approccio divulgativo diventa parte essenziale dei compiti dell’Autorità”.

C’è bisogno, per il Garante, di una cultura ambientalista applicata al digitale, con la consapevolezza delle proprie responsabilità anche da parte degli Stati, invitati ad una Kyoto della protezione dei dati.

Il Garante ha poi ricordato il provvedimento prescrittivo adottato lo scorso Luglio nei confronti di Google cui è seguito un protocollo di intesa che dovrebbe vedere finalmente, entro la fine del 2015, l’adeguamento del motore di ricerca a procedure e protocolli rispettosi delle norme europee anche per i dati custoditi sui server statunitensi.

Infine un’ampia parentesi sulla sorveglianza di massa alla quale, per tutelare la sicurezza dello stato e dell’economia è preferibile “limitare la superficie d’attacco”, evitando raccolte massive indirizzando piuttosto la sorveglianza ed il controllo su obiettivi mirati, delimitati e strategici.

Antonio Rossano da L’Espresso