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La caccia di Orban agli antifascisti

Rexhino “Gino” Abazaj rischia l’estradizione in Ungheria. L’accusa è di aver partecipato agli scontri contro i neonazisti. Il papà, da Pavia, dice di temere per la vita del figlio.

di Luigi Mastrodonato da il Domani

«Il nostro terrore è che Gino possa finire nelle carceri ungheresi. Bisogna fare tutto il possibile perché questo non accada». Refik Abazaj non trattiene le lacrime quano parla di suo figlio Rexhino, detto Gino. L’attivista antifascista italo-albanese, 32 anni, è stato arrestato in Francia a metà novembre su mandato d’arresto europeo diramato dall’Ungheria di Viktor Orbán, che lo accusa di aver partecipato agli scontri di Budapest contro i neonazisti nel giorno dell’Onore di febbraio 2023. Gli stessi che hanno portato nelle terribili carceri ungheresi Ilaria Salis. Ora l’Ungheria vuole la stessa fine per Gino e ha chiesto alla Francia l’estradizione, che verrà esaminata il 18 dicembre. Il ragazzo nel frattempo si trova nel carcere parigino di Fresnes, in passato al centro di denunce internazionali per le condizioni inumane di prigionia.

Gino è nato in Albania e quando aveva tre anni con la sua famiglia si è trasferito a Pavia. «Siamo venuti come migranti in un viaggio con il gommone, ho lavorato sin dal primo giorno per poter crescere la famiglia e solo qualche anno fa abbiamo ottenuto la cittadinanza italiana. Tutta la famiglia, tranne Gino», racconta il padre.

Venti anni vissuti in Italia non sono bastati a Gino per diventare cittadino italiano. A pesare in questo senso alcune segnalazioni e denunce ricevute per il suo attivismo antifascista nei movimenti milanesi, «per cui peraltro è stato assolto», spiega il suo avvocato, Eugenio Losco. Poi il ragazzo si è trasferito in Finlandia, dove ha ottenuto regolare permesso di soggiorno, seguito corsi professionali e svolto diversi lavori. Fino a quando nei mesi scorsi è stato colpito da un mandato d’arresto europeo che lo ha costretto prima per un periodo ai domiciliari nel paese scandinavo e ora nel carcere francese. A emettere il mandato d’arresto è stata l’Ungheria di Orbán, accusato di essere tra gli antifascisti che hanno preso parte agli scontri del giorno dell’Onore, un raduno neonazista che celebra i soldati tedeschi e ungheresi sconfitti dall’Armata Rossa durante la Seconda guerra mondiale.

Il rischio estradizione

«È stato arrestato a Parigi e c’è stato un intervento da parte dei servizi segreti che lo stavano pedinando», spiega l’avvocato Eugenio Losco. Gino è solo l’ultimo di una lunga lista di antifascisti colpiti dalla repressione della giustizia ungherese per i fatti di Budapest dello scorso anno. Sono ben 17, e tra questi ci sono Ilaria Salis, che ha passato un anno e mezzo nelle carceri ungheresi in condizioni degradanti ed è poi stata liberata una volta eletta europarlamentare, Maja T., cittadina tedesca già estradata e incarcerata nel paese magiaro, e Gabriele Marchesi, arrestato in Italia ma la corte d’appello ne ha bloccato l’estradizione.

Il destino di Gino si conoscerà nella prossima udienza, il 18 dicembre. «Mi dispero all’idea che possano mandarlo lì, io e sua madre non dormiamo da giorni. Le carceri ungheresi da quello che abbiamo sentito e letto sono messe malissimo, sono disumane e i detenuti vengono maltrattati. Come padre non so come potrei reagire se Gino finisse lì. Bisogna evitare l’estradizione», dice il padre.

In questi giorni verrà depositata una richiesta di arresti domiciliari in Francia che dovrebbe essere discussa nei primi giorni di dicembre, in attesa dell’udienza sull’estradizione. «Quello che abbiamo sottolineato per evitare l’estradizione di Gabriele Marchesi vale anche in Francia e speriamo possa costituire un precedente», spiega l’avvocato Losco. «Sono problematiche relative allo stato delle carceri ungheresi, alla mancanza di autonomia dei giudici, alla possibilità di celebrare un processo equo, allo stato di diritto, alla sproporzionalità delle pene rispetto ai fatti che vengono contestati e alla sproporzionalità del mandato d’arresto europeo, perché si poteva procedere con strumenti meno restrittivi della libertà personale di Gino».

«Un processo politico»

I genitori di Gino non sono ancora riusciti a parlargli da quando è stato arrestato. «Siamo andati a Parigi per l’udienza di convalida dell’arresto e lo abbiamo solo visto da lontano», spiega il padre. «Aspettiamo una sua telefonata dal carcere che per ora non è arrivata».

Chi è riuscita a mettersi in contatto con lui è una sua amica che vive a Parigi. «È una persona molto forte e sta facendo del suo meglio per affrontare la situazione, che però è molto preoccupante anche alla luce di quello che ha passato Ilaria Salis in Ungheria», spiega.

Nel paese magiaro l’attuale eurodeputata ha trascorso un anno e mezzo di detenzione tra topi, cimici e scarafaggi. I vestiti e le lenzuola erano sempre gli stessi per settimane, il cibo era insufficiente e la donna restava fino a 23 ore al giorno chiusa in cella. Questo è quello a cui andrebbe incontro in caso di estradizione Gino, che per adesso resta nel penitenziario parigino.

L’arresto di Gino, spiega l’amica di Parigi di Gino, «è un processo politico»: «Orbán sta chiaramente portando avanti una persecuzione degli antifascisti, che serva da spauracchio per tutti. Il mandato di arresto per Gino rientra perfettamente in questo disegno».

 

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