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La criminalizzazione delle lotte: 3000 sindacalisti indagati

Sindacalisti sotto attacco della magistratura per le proteste e manifestazioni avvenute nel rispetto della Costituzione. Un’azione di repressione di lotte cruciali, quelle della logistica, che saranno rese molto più pesanti dal Ddl Sicurezza in discussione al Senato

di Leonardo Bison da Jacobin Italia

Un numero alto, enorme, che pure nessuno si era arrischiato a quantificare. Lo ha fatto lo studio milanese dell’avvocato Eugenio Losco, affidandolo a LaPresse. È il numero di sindacalisti indagati o imputati, negli ultimi anni, per proteste o manifestazioni avvenute in ambito sindacale. Lo studio, specializzatosi dal 2016 in poi nella difesa di operai e esponenti sindacali nel settore della logistica, ne ha contati circa tremila, solo nei territori seguiti: in particolare Milano e Piacenza, ma anche Bologna, Alessandria, Pavia, Brescia, Novara, Mantova, Cremona, Bergamo. Significa che il numero totale italiano è molto più alto: almeno 500 le denunce arrivate nello stesso lasso di tempo in territorio emiliano, tra Modena e Parma; almeno 200 – solo dal 2018, quando sono iniziati gli scioperi con blocchi merci anche lì – nel distretto industriale (tessile e mobilifici) tra Firenze, Prato e Pistoia. Dunque a livello nazionale, in meno di dieci anni, possiamo contare circa quattromila sindacalisti o operai indagati o mandati a processo per azioni commesse nell’ambito di scioperi e manifestazioni. Centinaia e centinaia di procedimenti ancora in corso. «Attualmente sto seguendo 300 procedimenti penali», ha chiarito Losco.

Numeri impressionanti, diffusi alla vigilia del convegno «Lotta sindacale: diritto o delitto?», organizzato dall’associazione di giuslavoristi Comma 2 e tenutosi venerdì 22 novembre a Piacenza. Ma che da soli rischiano di non dire abbastanza. Soprattutto nel momento in cui al Senato è in discussione il Ddl 1660, cosiddetto Ddl sicurezza, che quei numeri rischia di peggiorarli ulteriormente.

Fino al Ddl Sicurezza

Come ci siamo arrivati? Da quando i sindacati di base, in Emilia e non solo, hanno ricominciato sistematicamente a utilizzare il blocco delle merci e il picchettaggio come mezzo di mobilitazione, l’utilizzo delle denunce – ma anche di altri mezzi meno normati, come i fogli di via o gli ammonimenti – è diventato altrettanto sistemico, come già raccontava Jacobin qualche anno fa. Scioperi di mesi e mesi, sgomberi non di rado a forza di manganelli, nuovi picchetti, che creavano e creano il panico e danni evidenti, milionari, per le aziende della logistica – settore non delocalizzabile, il cui fatturato è passato dai 71 miliardi del 2009 ai 112 del 2023 – e conseguente raffica di denunce, per reati quali resistenza a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata, violenza privata, sabotaggio e, dal 2018 (anno del decreto Salvini), blocco stradale.

Spesso i comunicati stampa recitavano più o meno così: «Nella giornata di ieri sono stati denunciati dal Commissariato di Polizia di Stato di Carpi, per il reato di violenza privata, due sindacalisti dei Si Cobas, e quattro operai. I fatti risalgono al 2017, quando i sei soggetti hanno effettuato un presidio non preannunciato davanti ai cancelli della ditta di trasporti Ups. I manifestanti avevano bloccato l’accesso e l’uscita dei mezzi diretti ai magazzini/logistica dalle ore 16.00 alle ore 22.00. Questo blocco dell’attività lavorativa, mai autorizzato, ha messo in difficoltà – ancor prima della Ups – gli operai addetti al carico scarico merci».

Nel dicembre 2023, la Guardia di Finanza ha sequestrato 86 milioni di euro a Ups per frode fiscale, attraverso quel sistema di appalti fittizi e serbatoi di manodopera – già riconosciuto dalla procura di Milano dal 2017 in poi in moltissime altre multinazionali della logistica – che i sindacati denunciavano. In alcuni casi si è arrivati anche a maxi processi con oltre 80 imputati, come nei casi di ItalPizza e Alcar Uno, a Modena. Ma, insieme a netti miglioramenti per i lavoratori – oggi nella logistica il Contratto collettivo nazionale della Logistica è la norma, dieci anni fa lo era il molto più povero Multiservizi – arrivano anche montagne di assoluzioni. Nonostante in questi anni le aziende siano arrivate in alcuni casi a chiedere che il sindacato pagasse i danni economici legati al calo della produzione dovuta agli scioperi, i tribunali hanno quasi sempre riconosciuto che queste azioni, nell’ambito dello sciopero, sono tutelate dalla Costituzione, e che un blocco delle merci non può essere considerato un sabotaggio industriale.

Ma le denunce continuano a piovere. Poche settimane fa, altre 19 al Si Cobas di Piacenza, per reati legati alle proteste del 2023 volte ad evitare che circa 370 lavoratori del magazzino Leroy Merlin perdessero il posto dopo l’addio della multinazionale. La procura ha contestato reati come violenza privata e sabotaggio, per un’azione che prevedeva un volantinaggio mentre gli operai riempivano i carrelli della spesa e li lasciavano in mezzo alle corsie. Per la procura si è impedito «il normale svolgimento del lavoro» recando «minaccia» agli operatori del centro commerciale a causa della «suggestione emotiva di una folla in tumulto che inneggia ad una forte protesta».

Condanne contro le lotte

Ciò non significa che il problema in questi anni per i sindacati sia stato solo quello – non irrilevante – dei migliaia e migliaia di euro l’anno spesi in avvocati. A maggio 2024 cinque sindacalisti della Cgil di Genova sono stati condannati in primo grado a pene tra 8 e 14 mesi per il blocco del centro città e l’occupazione dell’aeroporto di Genova seguita alla minaccia di chiusura dello stabilimento Ansaldo dell’ottobre 2022. Nel 2022 due dirigenti di Usb sono stati condannati (con la condizionale) a 4 mesi per le manifestazioni esplose dopo la morte di un sindacalista ucciso, investito da un tir, durante un picchetto alla Gls di Piacenza. Nell’aprile 2024 due coordinatori dei Si Cobas sono stati condannati in primo grado per estorsione, 7 lavoratori per boicottaggio, nell’ambito degli scioperi al Penny Market di Desenzano del 2018-2019 Solo per citare alcuni casi in cui, in seguito alla manifestazione «non autorizzata», il sindacato ha ottenuto quello che chiedeva per lavoratori e lavoratrici, dal mantenimento dei posti di lavoro all’aumento di salari e sicurezza.

Ci sono stati casi di indagini, in questo senso, più preoccupanti. Nel 2022 a Piacenza i vertici locali dei Si Cobas e dell’Usb sono stati messi agli arresti domiciliari con l’accusa di aver creato due diverse associazioni a delinquere, e aver sfruttato gli operai per ottenere i soldi delle tessere. Il Riesame non convalidò gli arresti smontando di fatto l’intero impianto accusatorio, costruito, peraltro, anche con mesi di intercettazioni, e relegando i fatti descritti a semplici dinamiche sindacali. Già nel 2017, il segretario del Si Cobas, Aldo Milani, veniva arrestato con l’accusa di estorsione ai danni della famiglia Levoni, proprietaria di Alcar Uno. La procura di Modena allora diffuse un video in cui si assisteva al passaggio di una busta con cinquemila euro durante una trattativa tra Milani e i Levoni. La difesa fu capace di dimostrare che la persona che prendeva la busta era un consulente dei Levoni, non Milani. Un dirigente della Digos di Modena, in un’intercettazione, diceva ai Levoni: «Abbiamo devastato i Cobas a livello nazionale. Sono contento per voi innanzitutto, voglio dire siete usciti da un incubo, e per noi perché abbiamo fatto una cosa pazzesca». Milani fu assolto nel 2019 perché il fatto non sussisteva.

E poi c’è il tema, enorme, dei lavoratori migranti: solo la presenza di una denuncia penale porta a difficoltà nell’ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno, o la cittadinanza. Un tema che rischia di crescere ulteriormente con il Ddl 1660. «Si prevede esplicitamente il reato di blocco stradale pacifico, non violento. Questo, oltre a portare a condanne in più, dopo anni in cui, contestando la violenza privata, non ci sono riusciti, creerà un deterrente enorme per i lavoratori extracomunitari, che sono poi la maggior parte di quelli che hanno bisogno di scioperare», chiarisce Marina Prosperi, giuslavorista di Bologna che segue i Si Cobas.

Le novità del Ddl 1660

Che il Ddl 1660 sia – anche – contro i sindacati di base della logistica, ormai è indubbio. Il ministro Matteo Piantedosi già in ottobre, rispondendo a un’interrogazione parlamentare, ha chiarito che dato che gli scioperi nel settore sono egemonizzati da sigle che utilizzano i blocchi delle merci, confliggendo «con il legittimo interesse dell’impresa» di proseguire con il lavoro, nel nuovo Ddl 1660 è previsto che chi «impedisca anche solo col proprio corpo» il transito dei veicoli in strada commetterà un delitto, non più un illecito amministrativo: pena da 6 mesi a due anni se il fatto è commesso in più persone. Il ministro ha anche spiegato che sarà sua intenzione, con il nuovo Ddl, «richiamare le autorità di pubblica sicurezza affinché siano rafforzate tutte le attività di carattere preventivo» per evitare questi blocchi sindacali. Nel Ddl non c’è solo il reato di blocco stradale pacifico, ma anche l’estensione dell’uso dei fogli di via e dello strumento del Daspo urbano – facilissimamente utilizzabili per allontanare leader sindacali da aree di manifestazioni –, o l’aumento della pena per resistenza a pubblico ufficiale vietando le attenuanti, tra le altre cose.

«Se passa la legge così com’è, qualche giudice sarà costretto a condannare» in caso di picchetti sindacali pacifici, ammette con preoccupazione Lorenzo Venini, avvocato milanese, che come Prosperi riconosce che, nonostante l’enorme numero di denunce e processi, in questi anni le condanne sono state pochissime. Venini sottolinea anche il punto dei fogli di via, strumento che il Questore può adoperare con facilità, e con tempi di ricorso che non permettono di intervenire efficacemente. «L’utilizzo è aumentato già da anni, da tempo non veniva utilizzato contro i sindacalisti». Con il Ddl, per la prima volta, arriverebbe un esplicito rinforzo legislativo. Uno dei tanti temi, insieme alla preoccupazione per i lavoratori migranti, che agita i giuslavoristi italiani.

Eppure, nonostante questi rischi enormi già esistenti, gli scioperi in questi anni non sono calati. Anzi si sono allargati, ad esempio al distretto tessile di Prato, dove i lavoratori pakistani, nonostante una serie di rappresaglie violente, stanno riuscendo anche in questi mesi a ottenere i diritti di base che non gli erano concessi: lavorare 8 ore al giorno per 5 giorni a settimana, godere di misure di sicurezza, ferie, malattia. Prima che arrivasse il sindacato Sudd Cobas – separatosi l’anno scorso dai Si Cobas – la regola (che ancora vale per la maggior parte delle aziende del distretto) era il lavoro 12 ore al giorno, 7 giorni su 7. «Quello che non si capisce è che questi lavoratori, se sindacalizzati, non hanno paura», mi spiega Sarah Caudiero del Sudd Cobas quando le chiedo come facciano, nonostante il rischio di perdere documenti e cittadinanza, a convincerli a scioperare. «Vengono da anni di lavoro in condizioni di semischiavitù, arrivano da luoghi in cui il livello di violenza è molto più alto. Ci dicono ‘al mio Paese gli sparano, pensi che abbia paura di una denuncia?’». Ciò non toglie che, in un paese di diritto europeo, lo sciopero andrebbe garantito, non perseguito: soprattutto se nello stesso paese esistono persone che lavorano 12 ore al giorno o prive di qualsivoglia dispositivo di sicurezza.

 

 

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