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La Francia diventa la “democrazia” poliziesca

Diversi fatti analizzati in alcuni articoli di Médiapart e anche di Le Monde e Libération mostrano in maniera eloquente che questo processo in atto sin dai tempi di Sarkozy, ora con Macron e Darmanin (il ministro degli interni fascista) sembra compiersi.

 

Da almeno tre anni i sindacati fascisti e razzisti della polizia francese hanno acquisito la maggioranza grazie al sostegno sfacciato del ministro Darmanin che di fatto punta a essere il successore di Macron proprio attraverso questa conversione alla « democrazia » poliziesca.  Sbaraglierebbe così les chances della signora Le Pen alle prossime presidenziali … a meno che al ballottaggio la sinistra unita riesca a trovare il candidato su cui potrebbe poi convergere la maggioranza degli elettori per sbarrare la strada all’infame successo delle destre fasciste, razziste e sessiste (è per sbarrare la strada alla Le Pen che sia alle scorse presidenziali sia a quelle del 2017, una gran parte degli elettori di sinistra ha votato Macron credendolo « repubblicano » e democratico … ma svelato la sua ambizione a fare il sovrano indiscusso ha finito per dare sempre più peso alle rivendicazioni della destra poliziesca che di fatto ora lo tiene in ostaggio). Si approda quindi all’esito ben prevedibile la pseudo-democrazia non può che favorire la deriva verso l’autoritarismo poliziesco-militare (il governo Macron ha aumentato in quantità impressionante il budget militare).

Dopo l’assassinio di Nahel questi sindacati fascisti sono usciti allo scoperto proclamando di essere « in guerra » contro le « orde selvagge» dei «nocivi» (che sarebbero i giovani delle banlieues). E ora scoppia un altro fatto clamoroso a seguito dell’arresto di un poliziotto per palesi violenze contro un giovane. In un intervista a Le Parisien, il direttore generale della polizia nazionale (DGPN) Frédéric Veaux ha chiesto il rilascio dell’agente di polizia accusato di violenze il 21 luglio a Marsiglia. Questo agente della brigata anticrimine è sospettato di aver usato il lanciaproiettili della (LBD) e di aver picchiato, con tre colleghi, il giovane Hedi nella notte tra l’1 e il 2 luglio (vedi la testimonianza su Mediapart).

Applauditi dai loro colleghi al momento dell’uscita dall’arresto, i quattro funzionari interessati hanno ricevuto un forte sostegno all’interno della polizia di Marsiglia. Diverse centinaia dei suoi membri si sono presi un congedo per malattia per protestare contro le decisioni giudiziarie, secondo i sindacati di polizia, invitando gli agenti ad essere soddisfatti del “servizio minimo”. In un’altra sua uscita, la DGPN ha chiesto il divieto della custodia cautelare per gli agenti di polizia. E il capo ha dichiarato : “In generale, ritengo che prima di un possibile processo, un agente di polizia non debba essere posto in carcere, anche se può aver commesso gravi colpe o errori nel corso del suo lavoro”. Quando un agente di polizia è nell’esercizio della sua missione, dobbiamo ammettere che può commettere errori di valutazione. “Su Twitter, questa affermazione ha avuto il sostegno di Laurent Nuñez, il capo della polizia di Parigi, “d’accordo con le parole del DGPN”.

Del tutto inabituale, l’offensiva mediatica delle due principali figure della polizia di stato ha suscitato sconcerto. Il presidente del tribunale giudiziario di Marsiglia, Olivier Leurent, ha fatto appello alla gerarchia della polizia ad attenersio alla « misura» e alla « responsabilità», sottolineando che « l’indipendenza della giustizia è un principio costituzionale e una garanzia essenziale in uno Stato di diritto».

Il sindacato della magistrature (l’equivalente del MD in Italia ma più a sinistra) ha denunciato « un attacco inedito alla separazione dei poteri» e una « rimessa in causa del principio d’uguaglianza davanti alla legge». Stessa tonalità da parte del Consiglio superiore della magistrature, che ha fatto appello a che la giustizia compia le sue missioni « senza subire pressioni» e ha sottolineato che è « la sola istanza legittima per decidere a proposito della detenzione o meno».

A sinistra, il Partito socialista, Europe Écologie-Les Verts e La France Insoumise hanno co-firmato un comunicato stampa in cui giudicano “estremamente grave e preoccupante” la posizione di Frédéric Veaux e Laurent Nuñez, in nome della separazione dei poteri. Sul suo blog, Jean-Luc Mélenchon ha criticato l’atteggiamento degli “ufficiali di polizia che sono entrati in una secessione faziosa nei confronti dell’autorità repubblicana”. E ha denunciato l’allineamento dei “capi della polizia” su “atteggiamenti inaccettabili e antirepubblicani”.

Ovviamente tutti hanno subito guardato la reazione dell’esecutivo. I partiti di sinistra hanno sottolineato “l’inaccettabile mancanza di reazione del ministro dell’Interno e del primo ministro”.

Macron fa il minimo servizio

E’ Darmanin a commissionare a Frédéric Veaux di sedare la rivolta della polizia marsigliese ed è stato ovviamente con il suo assenso, se non su sua iniziativa, che i due alti funzionari hanno parlato pubblicamente. Lunedì mattina il suo entourage ha anche fatto sapere alla stampa che la DGPN aveva “tutta la fiducia” del ministro.

A Matignon, invece, il tono è molto meno giocoso rispetto all’attacco offensivo proveniente dal Marsiglia. Il gabinetto di Elisabeth Borne non è stato informato in anticipo della doppia dichiarazione di domenica sera. E la capa del governo è trasalita quando ha scoperto il contenuto delle loro dichiarazioni. “Difendendo i suoi uomini la DGPN è nel suo ruolo ma c’è una decisione giudiziaria da rispettare”, corregge con diplomazia il suo entourage.

La prima presa di distanza pubblica, seppur lieve, dalle parole dei vertici della polizia è arrivata a mezzogiorno dal presidente della Repubblica. “Nel nostro Paese, la polizia è al servizio della corretta applicazione della legge”, ha affermato Emmanuel Macron. Lo stato di diritto presuppone la presunzione di innocenza e il rispetto della legge. Nel bel mezzo di un vibrante omaggio all’operato delle forze dell’ordine, di cui ha detto di “capire l’emozione”, il Capo dello Stato ha invitato a “non sbagliare dibattito” e ha ricordato che “nessuno nella Repubblica è al di sopra della legge”.

Da parte sua il ministro della Giustizia, Éric Dupond-Moretti, ha ripreso le osservazioni presidenziali e ha aggiunto su Twitter: “La giustizia deve continuare il suo lavoro in serenità e in completa indipendenza. Questa è una condizione essenziale per il rispetto dello stato di diritto, che è il fondamento della nostra democrazia.

Quindi nessuna condanna delle parole di Frédéric Veaux o Laurent Nuñez, ma l’espressione di una divergenza sulla sostanza, certamente in termini sapientemente ponderati.

La “ferma denuncia” auspicata dai magistrati non è avvenuta, e a ragion veduta: l’esecutivo non ha alcuna intenzione di alienarsi la polizia, sia alla base che ai vertici della gerarchia. “Sono sui denti, non abbiamo altra scelta che ascoltarli”, dice un parlamentare del partito di Macron. Se la polizia non ha l’impressione che la classe politica la sostenga, il resto sarà molto complicato per noi. Se domani decidono tutti di andare in congedo per malattia, saremo nei guai. »

Nella maggioranza, il gran tabu poliziesco 

Una minaccia che spiega il grande silenzio del campo presidenziale dopo le pressioni di domenica sera. Lunedì l’entourage di Emmanuel Macron non ha risposto alle richieste di chiarimenti da parte della erdazione di Médiapart. Nell’ufficio del portavoce del governo Olivier Véran, ci viene detto che non abbiamo “niente da dire per il momento”. Quando un dirigente di maggioranza giudica “incomprensibile” l’uscita di scena di Frédéric Veaux perché “non spetta ai sindacati di polizia dettare legge”, aggiunge subito: “Non c’entra.»

L’imbarazzo della « Macronia » è profondo di fronte ai dibattiti sulla riforma della polizia, un grande tabu che Mediapart aveva già raccontato dopo la morte di Nahel. Anche dopo il comunicato stampa dei due principali sindacati di polizia, Alleanza e Unsa-Polizia, che chiedevano la “guerrra” contro i “nocivi” che sarebbero i giovani dei quartieri popolari, i deputati della maggioranza sono rimasti in silenzio. “Non abbiamo una polizia che martirizza i giovani! “, ci ha spiegato poi Sabrina Agresti-Roubache, deputata marsigliese, che nel frattempo è diventata Segretario di Stato per la città.

Sugli stessi banchi, il deputato Robin Reda ha difeso la posizione di Frédéric Veaux. “Presumo di preferire che solo le persone pericolose siano rinviate a custodia cautelare, ha scritto l’ex LR. La nostra polizia non è una minaccia. “Anche il presidente del gruppo Les Républicains (LR) al Senato Bruno Retailleau ha giudicato che “la DGPN ha ragione”, come Éric Zemmour (l’ultra destra) e Jean-Philippe Tanguy (estrema destra).

Tra le rare personalità a prendere le distanze dalla dichiarazione della polizia, Sacha Houlié, il presidente della commissione leggi della Camera. “In linea di principio, non sono favorevole alla custodia cautelare, ma a volte è necessario, ritiene questa deputata della Vienne. E in ogni caso, non potrà mai esistere un regime speciale a favore dello status o della professione dell’imputato!»

fonte: Ilyes Ramdani https://www.mediapart.fr/journal/france/240723/la-police-marche-sur-la-justice-la-macronie-marche-sur-des-oeufs

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Una «democrazia poliziesca » con « dei mezzi e delle prerogative eccezionali»

Come osserva il politolo Sebastian Roché sono molto gravi i propositi tenuti da due fra i più alti responsabili della polizia nazionale, a sostegno di un poliziooto incarcerato. Senza precedenti, essi rivelano la fragilità politica del regime Macron.

Articolo di Fabien Escalona https://www.mediapart.fr/journal/politique/240723/la-france-devient-une-democratie-policiere-avec-des-moyens-et-des-prerogatives-exceptionnelles

Per il campo macronista la critica alla polizia è più che mai tabù. Lo stesso Emmanuel Macron ha reso il servizio minimo durante il suo discorso televisivo di lunedì.

Sebastian Roché : Durante la Quinta Repubblica, non vedo alcun precedente di un’associazione tra i due massimi ufficiali di polizia per contestare pubblicamente una decisione del tribunale, e più in generale i principi generali del diritto sanciti dalla Costituzione. Va ricordato che l’uguaglianza di tutti davanti alla legge compare nell’articolo 6 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. È un pilastro fondamentale degli Stati democratici: non possono esserci privilegi, come sotto l’Antico Regime. Frédéric Veaux e Laurent Nuñez hanno lanciato una doppia sfida, parlando di casi in corso e prendendo in giro la separazione dei poteri e la garanzia dell’uguaglianza davanti alla legge. Le loro dichiarazioni violano i principi stessi della polizia democratica, che dovrebbe essere neutrale e agire in riferimento ai principi del diritto. Sembrano considerarsi come un quarto potere, quello dell’amministrazione di polizia, che avrebbe voce in capitolo nell’operato dei magistrati e nella formazione delle leggi. È da capogiro.

Intervistato alle “13:00” del 24 luglio, Emmanuel Macron ha ricordato l’importanza dello stato di diritto ma non ha condannato le parole dei due alti funzionari, preferendo sottolineare le dure condizioni di lavoro della polizia.

Pur ricordando di essere stato il garante delle istituzioni, il presidente dà l’impressione di non sapere davvero o al massimo di non prendere le misure di questa inaudita trasgressione sotto la Quinta Repubblica. Come può svolgere il suo ruolo di arbitro se ignora le disfunzioni?

Quando dice di non voler commentare le parole del direttore generale della polizia nazionale, questo solleva degli interrogativi. Se il capo di un’amministrazione non può dare un apprezzamento alle parole dei suoi agenti, qual è la funzione del potere politico? Questa frase traduce la sua debolezza e la sua fragilità politica. È come dire “non sono io il capo”.

Possiamo anche notare che nel resto della sua intervista televisiva annuncia un certo numero di decisioni per altri settori dell’azione pubblica. Ma sulle parole dei vertici della polizia non commenta nemmeno. Non è neanche l’unico. La capa del governo non dice niente, nemmeno il Ministro della Giustizia… È un concerto di silenzio.

Quanto a Gérald Darmanin, ha espresso la sua “fiducia” al direttore generale della polizia…

Il ministro dell’Interno ha chiaramente lasciato fare. Ma che non sia associato alle dichiarazioni pubbliche dei suoi due più alti funzionari è molto confuso. Lui è il politico. Non è la prima volta che la giustizia viene impugnata dalla polizia. Ricordiamo lo slogan del sindacato dell’Alleanza “Il problema della polizia è la giustizia”, pronunciato davanti all’Assemblea nazionale il 19 maggio 2021. Ci sono altri eventi degni di nota? Cosa c’era di diverso in loro? Ci sono già state proteste di polizia e gendarmi, con grande coerenza negli elementi di linguaggio utilizzati, che ne sottolineano la stanchezza e la mancanza di mezzi. Nel 1958 si lamentarono di aver visto scomparire un premio legato alla guerra d’Algeria. Nel 1983, dopo l’assassinio di due poliziotti da parte del gruppo di estrema sinistra Azione Diretta, andarono addirittura sotto le finestre del ministro della Giustizia Robert Badinter, che aveva abrogato la pena di morte e la legge “anti-violenza”. Hanno fatto lo stesso nel 2015, contro Christiane Taubira. Nel 2016 hanno sfilato sugli Champs-Élysées.

Completamente illegale.

Con le dichiarazioni di Frédéric Veaux e Laurent Nuñez, abbiamo fatto un ulteriore passo avanti.

La manifestazione del 2021, davanti all’Assemblea nazionale, è stata segnata dalla presenza del prefetto di polizia di Parigi, venuto a unirsi alle proteste sindacali nel luogo in cui ha sede la rappresentanza nazionale. Ma all’epoca era ancora sulle orme di Darmanin. Era un alto funzionario all’ombra del politico.

Con le dichiarazioni di Frédéric Veaux e Laurent Nuñez, abbiamo fatto un ulteriore passo avanti. Si sono concessi uno sbocco mediatico senza l’ombrello dell’autorità politica. Come se sostituissero l’autorità politica. E nessuno ha reagito, mentre nel 1983 François Mitterrand aveva licenziato i titolari di questi stessi due incarichi, che non avevano saputo far valere l’autorità dello Stato.

Lo vedo come il segno di una democrazia poliziesca, in cui alla polizia sono affidati – o possono assumere – mezzi e prerogative eccezionali.

 Diversi ricercatori e leader politici, tra cui Jean-Luc Mélenchon nelle nostre colonne, hanno sottolineato la “paura” che il potere avrebbe nei confronti della propria polizia. Alcuni parlano di deriva pretoriana.

I sindacati sono in un rapporto di dipendenza con la loro base, che non è felice. Al vertice della gerarchia, si cerca ovviamente di compiacerli criticando lo stato di diritto, ma si rimane comunque fedeli all’autorità politica. Il ministro dell’Interno, cerca di tenere la linea definita dal presidente della Repubblica: non tollerare le manifestazioni più evidenti di razzismo e violenza, e allo stesso tempo parlare bene delle forze dell’ordine.

I diritti fondamentali sono scalfiti, io denuncio, ma non c’è un attacco frontale contro l’intero sistema giudiziario. Dire che la polizia dovrebbe avere diritto a una protezione speciale non equivale a mettere in galera la metà dei giudici.

Certamente, ma immaginate un potere politico davvero determinato a riformare la polizia. Sarebbe in grado di farlo senza alienare l’apparato di sicurezza?

La polizia ha un dovere di lealtà, è un principio fondante di tutte le democrazie. E’ una forza che può esercitare un’influenza sul potere. La domanda è fino a che punto può arrivare questa pressione.

In passato, quando il potere politico faceva uso della sua autorità, la polizia non si è mai insubordinata.

Nel 1983, François Mitterrand “tagliò teste”. Ciò è accaduto di nuovo nel 1997, quando la polizia di prossimità è stata istituita dal governo di Lionel Jospin, suscitando forti resistenze. Questo è ancora possibile: ci sono persone leali che occupano posizioni di responsabilità, e non credo che un sindacato abbia la capacità di fermare il funzionamento delle normali istituzioni.

Semplicemente, il Presidente della Repubblica sta facendo un calcolo politico. Sente che dare pegni alla polizia gli fa guadagnare di più che non darli. A costo di maltrattare la giustizia.

All’indomani dei “gilet gialli”, in un’intervista filmata a Mediapart, lei ha parlato del rischio di una “sudamericanizzazione” della polizia. Gli ultimi tre anni confermano?

Non abbiamo visto lo stesso livello di frammentazione e azione caotica. La polizia non è più così sconnessa nei suoi modi di agire. Ma ciò che persiste da allora è la scelta strategica di orientarsi verso una “polizia d’attacco”. Nelle manifestazioni contro la riforma delle pensioni, ciò ha portato alla pratica di arresti preventivi, restrizioni alla libertà di stampa o all’uso di trappole illegali. E sempre le mutilazioni dei manifestanti.

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La polizia è riuscita a convincere il governo che sta a galla solo grazie a lei

Olivier Cahn & Christian Mouhanna https://www.lemonde.fr/idees/article/2023/07/26/l-institution-policiere-est-parvenue-a-convaincre-le-gouvernement-qu-il-ne-tient-que-par-elle_6183399_3232.html

 Alcuni poliziotti si sentono in una posizione di forza al punto da rivendicare uno status al di sopra della legge. La loro alta gerarchia, per “re-attaccarsi” al campo, aderisce a queste osservazioni estremiste, deplorate, in un forum nel “Mondo”, il professore di diritto penale Olivier Cahn e il sociologo Christian Mouhanna.

Alla luce del codice di procedura penale, che sottopone le misure coercitive ai principi di stretta necessità e proporzionalità e prevede la custodia cautelare solo in casi eccezionali, si può discutere sulla rilevanza dei recenti incarceramenti di agenti di polizia. Ma l’intervento di Frédéric Veaux, direttore generale della polizia nazionale (DGPN), a favore del poliziotto della brigata anticrimine di Marsiglia posto in custodia cautelare, seguito dall’approvazione data alle sue osservazioni dal prefetto di polizia e la “fiducia” mostrata dal ministro dell’Interno va oltre la solidarietà del corpo.

Dichiarando: “In generale, ritengo che prima di un eventuale processo un agente di polizia non abbia posto in carcere, anche se può aver commesso colpe o errori gravi”, il DGPN contribuisce alla differenziazione giuridica, rivendicata dalla polizia. I sindacati di polizia insistono sul fatto che “se la polizia non ha più diritti, ne ha meno” (ergo deve avere più diritti!).

La realtà è che, da anni, reclamano il privilegio dei diritti che li distinguerebbe dai cittadini, al di là dei mezzi legittimi devoluti alla forza pubblica. Dal 2016, hanno visto anche questo requisito gradualmente soddisfatto dal legislatore. Ciò si traduce in disposizioni materiali, come l’eccezione allo sconto sul cumulo occupazione e pensione o sul trasporto gratuito, o attraverso provvedimenti problematici: uso delle armi oltre l’autodifesa; rottura della tradizione repubblicana considerando di pari gravità la violenza illecita subita da un agente di polizia e quella da lui esercitata; dottrine poliziesche e tecniche di sorveglianza contrarie ai diritti europei.

Al di là dell’attacco alla separazione dei poteri, la dichiarazione della DGPN si inserisce nella contestazione da parte delle forze pubbliche della legittimità stessa di un controllo esterno, in particolare giurisdizionale, anche se, a partire dagli anni Venti, il giurista Raymond Carré de Malberg (1861 -1935) ha sottolineato che questo controllo stabilisce la distinzione tra stato di polizia e Stato di diritto. Tale contestazione passa anche attraverso la pretesa di una presunzione di legittima difesa o quella del divieto di filmare l’attività degli agenti, e si esprime con manifestazioni ostili organizzate attorno ai tribunali quando un agente di polizia viene giudicato lì.

Ammissione di debolezza

Tuttavia, se la polizia non smette di ottenere nuovi poteri, ciò non porta alla pacificazione né delle sue recriminazioni né dei suoi rapporti con la popolazione. Come capire, allora, che i sindacati di polizia sono così ben ascoltati dalle loro autorità di controllo, a volte anche difesi contro la legge? La DGPN è prigioniera delle richieste di alcuni poliziotti, impegnati in una escalation permanente. Le sue parole sono un’ammissione di debolezza di fronte alla frazione più sicura delle sue truppe. Screditati dal loro modo di gestione ancora largamente basato sulla politica dei numeri, i capi della polizia non sanno più riconnettersi con chi vede il ruolo della polizia solo nel confronto con individui considerati “dannosi”.

Tutto bene, quindi, per “rimanere” in campo, anche aderendo alle dichiarazioni più estremiste e attaccando lo stato di diritto. Lungi dal costituire un corpo di concezione e riflessione sull’azione pubblica nel campo della sicurezza, l’alta gerarchia del Ministero dell’Interno è così costretta ad aderire a effetti di gruppo dove contano solo le parole più forti. Ciò è tanto più necessario per la DGPN in quanto sta attuando una contestata riforma della polizia nazionale, il cui effetto è quello di annegare la polizia giudiziaria nelle strutture di pubblica sicurezza, dove la giustizia è vista spesso solo come un – cattivo – ausiliario della polizia. Per realizzare questa riforma, deve a tutti i costi mantenere l’appoggio degli agenti di pubblica sicurezza.

Potenziamento dell’intelligenza

Del resto, se certi poliziotti oggi si sentono in una posizione di forza al punto da rivendicare uno status al di sopra della legge, è perché l’istituto di polizia è riuscito, da diversi anni, a convincere il governo che tiene solo per esso. L’articolo 12 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, tuttavia, prevede che la garanzia di tali diritti “richiede una forza pubblica” e precisa che questa è “costituita a vantaggio di tutti, e non per l’utilità particolare di coloro ai quali è affidato.

Denunciata dal sociologo Dominique Monjardet (1943-2006), l’inversione gerarchica, dove non è più la base a obbedire al vertice ma il contrario, è diventata una modalità di funzionamento politico-istituzionale, e i poliziotti più radicali si sentono in grado di monetizzare la stabilità delle istituzioni.

A pochi giorni dalla morte di Jean-Marc Erbès, primo direttore dell’addestramento della polizia nazionale e grande difensore dell’ascolto della polizia, non possiamo che rammaricarci per l’atteggiamento assunto dall’istituzione poliziesca, dominata da discorsi che non prediligono la forza. La professione di agente di polizia è una professione dura, esigente, necessaria, e non può ridursi all’azione violenta e ai mezzi per sottrarla al controllo del giudice e dei cittadini. Se vogliamo ripristinare l’autorità della polizia, questa passerà attraverso lo sviluppo della sua intelligenza, della sua capacità di analizzare le situazioni e risolverle legalmente, e non imponendo la paura, che non scoraggia né i criminali né gli individui emarginati, esonerando la polizia dai principi dello stato di diritto.

Olivier Cahn est professeur de droit pénal au Centre de recherches sociologiques sur le droit et les institutions pénales (Cesdip) ; Christian Mouhanna est sociologue (Cesdip-CNRS).

traduzione a cura di Salvatore Palidda

 

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