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La guerra dei bottoni sull’ora in più

Coprifuoco. Il fronte della prudenza si attesta nella trincea della gradualità facendo del coprifuoco (e del suo attuale orario) con la simbologia bellica e disciplinare che lo caratterizza il ridicolo simulacro della saldezza dello stato. Quando scienza e coscienza avrebbero dovuto suggerire di attenersi a una semplice norma: quello che si può o non si può fare di giorno lo si può o non si può fare anche di notte

Dobbiamo al presidente francese Macron la prima introduzione del coprifuoco in tempo di pace. Accadeva nell’ormai lontano autunno dell’anno passato. A molti mesi di distanza la Francia continua ad avere un numero record di nuove infezioni.

La misura, pur senza precedenti, non provocò l’ondata di proteste che ci si poteva attendere.

Così ben presto altri paesi europei decisero di seguire l’esempio di Parigi, eccetto alcuni (come la Gran Bretagna) nei quali la sacralità dei diritti individuali non avrebbe mai potuto consentire una simile restrizione.

L’Italia, che seguì di poco la Francia nell’istituzione del coprifuoco col rassegnato silenzio della cittadinanza ha comunque assistito da allora a una forte crescita dei casi di infezione. Cosa era accaduto?

Molto semplicemente che l’esecrabile movida si era spostata e concentrata nelle ore immediatamente precedenti il coprifuoco, mantenendo, per quel che le competeva (e presumibilmente non molto), il suo potenziale di contagio. E, del resto, con la chiusura dei locali e della vendita di bevande la notte non offriva più grande attrattiva.

Tuttavia la bandiera del coprifuoco continuava a sventolare sulla roccaforte governativa, minacciando i singoli innocui trasgressori notturni e le loro privatissime motivazioni.

Accade così che con il passaggio dalla gestione uniforme della pandemia a quella modulare dei colori e delle restrizioni differenziate la questione del coprifuoco, da serio problema di libertà si trasforma in una guerra dei bottoni tra la destra e quella indefinita compagine che le si contrappone, tra «aperturisti» e paladini del rigore e della prudenza.

Tanto più grottesca, la tenzone, nell’avere come posta in palio un’ora in più o in meno di interdizione della mobilità notturna.

Per sgombrare il campo da ogni possibile equivoco converrà precisare che alle destre delle libertà individuali, quand’anche non le avversino frontalmente, importa poco o nulla. Basti ricordare in proposito le loro posizioni sugli orientamenti sessuali, sul fine vita, sull’interruzione di gravidanza, sulla cannabis, sulla libertà di circolazione. Per non parlare delle occasionali proposte di coprifuoco per i soli minorenni e di quella pioggia di proibizioni (fino alle più assurde) che i sindaci sceriffi riversarono in nome del «decoro» sulle rispettive cittadinanze.

Figuriamoci dunque quanto possa stare loro a cuore la libertà dei nottambuli. Non è un caso dunque che la crociata di Salvini e Meloni non riguardi la cancellazione della misura più inutile, vessatoria e simbolicamente odiosa tra quelle adottate per contrastare la pandemia, ma solo lo slittamento di una o due ore del coprifuoco. Con lo scopo comprensibile di facilitare i ristoratori cui sarà consentito di riaprire anche la sera e però con il risultato di concentrare comunque in poche frenetiche ore il movimento che prima si diluiva su buona parte della notte.

Sul versante dei «responsabili», le chiusure a oltranza non sembrano più sostenibili né «ristorabili».

Il fronte della prudenza si attesta così nella trincea della gradualità facendo del coprifuoco (e del suo attuale orario) con la simbologia bellica e disciplinare che lo caratterizza il ridicolo simulacro della saldezza dello stato. Quando scienza e coscienza avrebbero dovuto suggerire di attenersi a una semplice norma: quello che si può o non si può fare di giorno lo si può o non si può fare anche di notte.

Ma la scienza c’entra ormai assai poco e le ore notturne sembrano conservare ancora lo stigma del vizio e della «perdizione». Nonché, dopo l’ora di chiusura dei locali, anche quello ben più grave dell’improduttività e dell’irrilevanza commerciale.

Questa vicenda ci aiuta a mettere in luce uno degli aspetti più velenosi della politica al tempo della pandemia. Il sacrificio dello spazio aperto, pubblico, comune (al quale potremmo attribuire anche la notte), da sempre risorsa dei poveri, a favore di quello privato, chiuso, regolamentato dal padrone o dallo stato e a pagamento. Terreno irrimediabilmente infetto e improduttivo il primo, protetto e produttivo il secondo.

Tutta la storia di questa epidemia, a partire dalla tragedia annunciata delle valli lombarde, sta a testimoniare questa menzogna.

E la «ripresa» potrebbe muovere nella stessa direzione. Non andò diversamente la scorsa estate quando i balneari, col pretesto di rispettare le norme di sicurezza tentarono di mettere le mani su quel poco di costa italiana sfuggita alle concessioni.

Ma la difesa dello spazio pubblico non sembra essere la priorità di questo governo, e nemmeno degli epigoni della sinistra che ne fanno parte.

Marco Bascetta