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La pioggia dopo lo tsunami. Le accuse contro il giornalista catalano Jesús Rodríguez

Jesús Rodríguez, fondatore del giornale cooperativo La Directa,  è stato inserito nell’inchiesta che riguarda lo Tsunami democratico, l’ondata di proteste di massa del 2019 contro la criminalizzazione del movimento repubblicano e indipendentista catalano. E’ accusato dal giudice Manuel García Castellón di aver gestito il meccanismo informatico che convocava le manifestazioni attraverso un’app anonima

di Stefano Portelli  e Victor Serri da Napoli Monitor

Come i mercanti di armi hanno bisogno di guerre, l’antiterrorismo ha bisogno del terrorismo; quando non trova terroristi deve inventarli. Tenere viva la paura del terrorismo serve soprattutto a isolare e creare sfiducia intorno a chi fa politica fuori dai partiti e dalle reti clientelari. Nello stato spagnolo – già richiamato dalle Nazioni Unite per violazioni dei diritti politici – l’ultimo bersaglio di questa strategia è il giornalista catalano Jesús Rodríguez, fondatore del giornale cooperativo La Directa, oltre che amico e compagno degli autori di questo articolo. Non c’è nessuno che abbia fatto politica seriamente a Barcellona negli ultimi venti anni che non conosca Jesús, il cui pseudonimo online da anni è Albert Martínez, dal nome di un poliziotto infiltrato nel movimento okupa di Barcellona negli anni Novanta.

Nato a Santa Coloma de Gramanet, nell’hinterland di Barcellona, una zona abitata per lo più da famiglie di migranti spagnoli (ha un nome spagnolo, come molti sostenitori dell’indipendenza nelle periferie di Barcellona), Jesús è uguale a migliaia di altre persone che a Barcellona hanno militato ininterrottamente nei movimenti sociali dagli anni Novanta a oggi: dal movimento okupa alle lotte contro il Partido Popular e la guerra in Iraq, dalle proteste contro la speculazione urbanistica e la distruzione del territorio fino alle mobilitazioni per la liberazione della Catalogna dalla dinastia dei Borboni, ultima propaggine della dittatura franchista.

Jesús è uguale a tanti altri che ci sono stati sempre, e che hanno reso Barcellona una delle città politicamente più interessanti d’Europa. Era dentro il Cine Princesa durante la mitologica occupazione del 1997, la prima okupa di Barcellona; redigeva lo storico giornale murale Contrainfos, con cui gli spazi autogestiti della città si sono scambiati le informazioni per oltre un decennio; è stato un membro della trasversale Assemblea di resistenza al Forum 2004, contro l’evento che segnò il nuovo ciclo di speculazione urbanistica e turistificazione della città; ha collaborato al documentario Ciutat Morta, poi trasmesso in televisione, che mostra la corruzione della polizia catalana dietro alla morte della poetessa Patricia Heras; ed è stato tra i fondatori de La Directa, da cui Monitor ha sempre tratto articoli e informazioni di alto livello.

La Directa, che ha sempre indagato a fondo sugli abusi della polizia, sia spagnola che catalana, ultimamente ha svolto un’indagine capillare sugli infiltrati nei movimenti di base, scoprendo un’ondata di infiltrazioni tra gli anni 2020 e 2022. Quattro agenti della polizia nazionale hanno assunto quasi contemporaneamente le identità false di Dani, Maria, Marc, Ramón, per infiltrarsi nei movimenti di lotta per la casa ed ecologisti della Catalogna. Hanno mentito e ingannato per anni senza neanche un’inchiesta giudiziaria che giustificasse la loro operazione, mantenendo relazioni sentimentali e rapporti sessuali al solo scopo di ottenere informazioni. L’inchiesta ha alimentato una causa importante contro la polizia, per le iscrizioni false degli agenti alle università di Barcellona e Valencia, per i delitti contro l’integrità morale delle persone ingannate, e anche per abuso sessuale. Il Tribunale spagnolo naturalmente ha rifiutato tutte le accuse. Il recente attacco contro Jesús è evidentemente una vendetta per l’intera azione, giornalistica e legale, nonché per un ventennio di militanza politica e di monitoraggio e denuncia degli abusi della polizia.

Formalmente il nome di Jesús è stato inserito nell’inchiesta che riguarda lo “Tsunami democratico”, l’ondata di proteste di massa del 2019 contro la criminalizzazione del movimento repubblicano e indipendentista catalano. Il giudice Manuel García Castellón dell’Audiencia Nacional spagnola lo accusa di aver gestito il meccanismo informatico che convocava le manifestazioni attraverso un’app anonima, basata su software libero, criptata e fuori dalle piattaforme proprietarie. Quando il Tribunale spagnolo il 14 ottobre 2019 annunciò la condanna dei leader indipendentisti a quasi cento anni di carcere per manifestazioni completamente pacifiche, l’app Tsunami democràtic fu resa disponibile sul canale Telegram dallo stesso nome, che aveva già trecentotrentamila iscritti. Quasi duecentomila persone la scaricarono in un solo giorno. L’app geolocalizzava le persone che potenzialmente potevano partecipare a una manifestazione e le indirizzava verso una concentrazione o l’altra, calcolando quante avrebbero partecipato per valutare se mantenere o spostare la chiamata. Un sistema di attivazione decentralizzato con un codice QR e la condivisione di informazioni solo tra utenti geolocalizzati come vicini, rendevano molto difficile la presenza di infiltrati, che comunque avrebbero ricevuto informazioni solo sulla propria area.

Tsunami democràtic permise di organizzare l’occupazione dell’aeroporto di Barcellona, dove all’improvviso si presentarono diecimila persone che bloccarono tutti i voli per nove ore, facendo crollare le azioni della compagnia aeroportuale Aena, finché la polizia non intervenne sgomberando i manifestanti a manganellate e facendo quaranta feriti. Pochi giorni dopo, Tsunami mobilitò migliaia di automobilisti sull’autostrada AP-7 al confine con la Francia, bloccando la frontiera e quindi l’entrata dei camion merci che di fatto riforniscono la città. La rivista di tecnologie Wired scrisse che questa app potrebbe “rivoluzionare il mondo dell’attivismo online”.

Nella causa sono coinvolte altre otto persone oltre al giornalista Jesús Rodríguez. La polizia ha descritto l’organizzazione delle proteste come una cupola che comunicava in segreto, usando pseudonimi, database della polizia e conti bancari in Svizzera. L’accusa usa strumentalmente la morte per infarto di un passeggero francese proprio durante il blocco dell’aeroporto, tentando di scaricarne la colpa sulle persone accusate. Lo stesso pubblico ministero considera esagerate le accuse di terrorismo, ma essendo la causa in mano all’Audiencia Nacional – erede del famigerato Tribunal de Orden Público franchista – dopo l’interrogatorio gli imputati potrebbero essere messi in prigione preventiva fino all’inizio del processo. Chiaramente l’obiettivo di tutta l’operazione è punirne nove per educarne milioni: fare in modo, insomma, che tra chi nel 2019 ha manifestato la propria rabbia contro lo stato spagnolo, qualcuno si senta manipolato o usato da questi presunti “terroristi”, potenzialmente assassini, e perda fiducia nell’azione politica collettiva. L’uso dell’evento fortuito ricorda l’assurdità giuridica impiegata contro Alfredo Cospito, accusato di strage perché l’ordigno era potenzialmente in grado di uccidere. Non si tratta neanche più di un processo alle intenzioni: la prova è lo stesso panico indotto dagli inquirenti.

Uno degli esiti del processo potrebbe però essere l’amnistia. Nel frattempo infatti il governo Sánchez sta preparando una legge per annullare tutte le cause del “processo” indipendentista, dal 2012 al novembre di quest’anno. Non è detto che il caso Tsunami vi rientri, visto che la data è posteriore, visto che l’accusa cerca di infilarci dentro una persona morta, e soprattutto che il delitto di “terrorismo” non rientra tra quelli amnistiati. Inoltre, la legge sull’amnistia dovrà affrontare il veto del Partido Popular e il probabile blocco del Tribunale costituzionale: i giudici saranno chiamati a decidere su ogni singolo caso, e mentre la legge forse permetterà il rientro in Catalogna dell’ex presidente del parlamento catalano Puigdemónt, tuttora esiliato in Belgio, non è detto che questi processi esemplari siano revocati. È possibile che l’intero teorema accusatorio contro Jesús e le altre persone accusate cada; ma è importante ricordare, come ha scritto il giornale online Vilaweb, che “la legge sull’amnistia concordata dai partiti politici che faranno Pedro Sánchez presidente del governo spagnolo è la cosa politicamente più lontana dalla posizione indipendentista di tutte le proposte di amnistia che avevamo visto finora”.

L’esigenza di un’amnistia sugli anni di repressione a chi aveva organizzato il referendum indipendentista era in discussione da mesi, ma la legge proposta dal Psoe, da Podemos e dai partiti indipendentisti Junts, Erc e Sumar, paradossalmente include anche i poliziotti colpevoli di gravissime violenze contro chi manifestava o tentava di votare. Così architettata, l’amnistia servirebbe soprattutto a lasciare impunita l’applicazione del “diritto penale del nemico” contro i manifestanti repubblicani, e tutte le violazioni dei diritti fondamentali da parte dello stato spagnolo negli anni del conflitto. Contro la Spagna è ancora aperta una causa al Tribunale europeo per i diritti umani, oltre che diversi fascicoli delle commissioni Onu, come quella sugli arresti arbitrari.

Qualcosa di simile avvenne con la fine del regime di Francisco Franco, quando la legge per l’amnistia del 1977, richiesta a gran voce da partiti e sindacati antifascisti, servì per cementare un “patto dell’oblio” che cancellò soprattutto quarant’anni di crimini della dittatura. Allora come oggi, c’è chi crede che il perdono per i delitti di stato sia una contropartita necessaria per evitare le durissime condanne ai militanti politici. Ma, come scrisse Paul Preston sull’amnistia del 1977, “non si trattò di un patto tra uguali”. La violenza istituzionale, i crimini di stato, la tortura in carcere, non si possono equiparare alle azioni di chi si ribella contro un regime, in qualunque luogo o momento storico sia. Il processo a Jesús Rodríguez è un attacco a tutte le mobilitazioni contro il regime borbonico, ultima propaggine della dittatura franchista, ma anche a venti anni di movimenti sociali della città.

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