I dati biometrici, specialmente le caratteristiche facciali e l’iride, non solo identificano una persona, ma sono anche di enorme rilevanza per interpretare le emozioni, il che è essenziale per la lucrativa industria della vendita di profili comportamentali, cioè la previsione e la manipolazione dei nostri comportamenti per spingerci a fare quello che desiderano le imprese/i governi, che pagano per questo. Sono inoltre fondamentali per il riconoscimento facciale attraverso videocamere di sorveglianza, anche in mezzo alla folla, sia a fini di controllo o di repressione, sia per scopi commerciali. I regolamenti nazionali e internazionali necessari per controllare e/o proibire queste attività, per opporsi ai monopoli, ecc., sono risibilmente insufficienti o inesistenti. Si riferiscono, inoltre, a scelte e diritti individuali, mentre si tratta di uno sfruttamento globale e generalizzato, a cui dobbiamo rispondere con dibattiti e diritti collettivi. In questo difficile contesto, rendere obbligatoria la consegna dei nostri dati biometrici – il sogno dei giganti tecnologici – è una pessima idea.
La recente creazione [in Messico] di un Registro nazionale degli utenti di telefonia mobile, che richiede la registrazione dei dati biometrici di tutti gli utenti, ha aperto un necessario dibattito sui suoi potenziali impatti. Tuttavia, mancano elementi contestuali chiave.
La conversione delle nostre caratteristiche personali e identificative in dati digitali è una componente chiave del capitalismo di oggi, giustamente chiamato da Shoshana Zuboff “capitalismo della sorveglianza” (ndt – Shoshana Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza, Luiss University Press, 2019).
I dati biometrici, specialmente le caratteristiche facciali e l’iride, non solo identificano una persona, ma sono anche di enorme rilevanza per interpretare le emozioni, il che è essenziale per la lucrativa industria della vendita di profili comportamentali, cioè la previsione e la manipolazione dei nostri comportamenti per spingerci a fare quello che desiderano le imprese / i governi, che pagano per questo. Sono inoltre fondamentali per il riconoscimento facciale attraverso videocamere di sorveglianza, anche in mezzo alla folla, sia a fini di controllo o di repressione, sia per scopi commerciali.
Tutto è reso più grave dal fatto che il volume di dati che questo tipo di registrazione di intere popolazioni comporta può essere memorizzato e gestito solo in enormi piattaforme informatiche (ndt – I cosiddetti cloud (letteralmente: nuvole), un settore ferocemente concentrato in poche aziende. Più della metà del mercato globale è detenuto dalle società americane Amazon AWS, Google Cloud, Microsoft Azure e IBM, seguite dalla cinese Alibaba. Anche Oracle e Dell hanno percentuali significative. Le prime tre, insieme ad Apple e Facebook, controllano inoltre più della metà del mercato globale delle piattaforme elettroniche, e insieme alle società cinesi Alibaba e Tencent, più dei due terzi. Anche se le grandi imprese telefoniche raccolgono i dati – e li possono usare per i loro affari – la maggior parte di loro, come Telcel e Telmex, si serve dei servizi di cui sopra.
Peggio ancora, diversi livelli di governo, da quello federale alle amministrazioni degli stati e dei municipi, collocano in quegli stessi cloud, connessi alle loro piattaforme, i dati elettronici di una parte o di tutte le loro attività – compresi i registri dell’anagrafe di tutta la popolazione o di alcuni settori (studenti, pazienti, beneficiari di vari servizi, ecc.). Diranno che quelle piattaforme devono rispettare determinate regole per l’accesso ai dati che raccolgono, gestiscono e/o utilizzano per fornire un servizio, ma sono regole molto insufficienti, e non c’è la possibilità di controllare realmente ciò che fanno quei giganti. Ci sono esempi di abuso con impatti terribili, come il caso di Cambridge Analytica che è sfociato nell’elezione di Trump, Macri, Bolsonaro e altri.
Questa nuova forma di organizzazione capitalistica si basa sulla digitalizzazione in tutti i settori industriali, insieme all’inserimento in piattaforme elettroniche di relazioni sociali, transazioni commerciali e finanziarie, acquisti domestici e altro. E anche all’installazione di meccanismi sempre più avanzati di sorveglianza dentro e fuori le abitazioni, per progredire nella connessione di tutti i dispositivi, allo scopo di conoscere – e suggerire, persuadere, indurre – i nostri comportamenti.
Tutto ciò ha provocato molteplici impatti sociali, economici, politici, ambientali, occupazionali, sanitari, per la maggior parte negativi. Con la pandemia, l’invasione elettronica della nostra vita e del nostro lavoro si è enormemente ampliata e ha incorporato in modo massiccio aspetti essenziali come l’educazione, l’assistenza sanitaria e riunioni di ogni tipo.
Anche se la sorveglianza a scopo di controllo e repressione da parte di governi e autorità è un effetto straordinariamente intensificato e facilitato in questa nuova era capitalistica, l’interesse principale delle grandi imprese è la sorveglianza della nostra vita quotidiana per influenzare e manipolare le nostre scelte di consumo, politiche, sociali ed educative.
L’estrazione e la memorizzazione di dati personali (oltre che su città, ecosistemi, territori) che vengono incrociati con altri archivi di dati e sono gestiti e interpretati con algoritmi di intelligenza artificiale, sono una delle principali fonti di profitto per i giganti della tecnologia. Le sue dimensioni sono tali che nove delle dieci maggiori imprese con più alto valore di borsa sono imprese tecnologiche, molte delle quali hanno un valore di mercato superiore all’intero PIL del Messico.
Quel profitto era basato sulla prima generazione di estrazione e sfruttamento dei nostri dati.
Il passo successivo è stato quello di vendere non solo dati aggregati per segmenti di interesse per la pubblicità delle imprese, ma anche previsioni su quali saranno e come si modificheranno i comportamenti di quei gruppi. A tale scopo sono fondamentali la quantità e la qualità dei dati che si possono aggregare e incrociare – come la posizione geografica, il grado di istruzione, il livello di reddito, le preferenze di consumo, lo stato di salute, ecc. Per questo motivo sono cresciute vertiginosamente le aziende che si occupano di biometria e riconoscimento facciale, in quanto tecnologie che permettono di sorvegliare, interpretare e manipolare meglio le emozioni, un prodotto di grande valore per le imprese.
Nonostante l’alta penetrazione di questa realtà, la discussione pubblica sugli impatti del capitalismo della sorveglianza è molto limitata; c’è tuttavia un importante dibattito portato avanti da organizzazioni e attivisti di base (si veda “¿Quién decide nuestro futuro digital?”, n. 552 della rivista dell’Agencia Latinoamericana de Información – ALAI, aprile 2021).
I regolamenti nazionali e internazionali necessari per controllare e/o proibire queste attività, per opporsi ai monopoli, ecc., sono risibilmente insufficienti o inesistenti. Si riferiscono, inoltre, a scelte e diritti individuali, mentre si tratta di uno sfruttamento globale e generalizzato, a cui dobbiamo rispondere con dibattiti e diritti collettivi. In questo difficile contesto, rendere obbligatoria la consegna dei nostri dati biometrici – il sogno dei giganti tecnologici – è una pessima idea.
Silvia Ribeiro
Fonte: La Jornada
Traduzione a cura di Camminardomandando
da Comune-info