Qual è il convincimento nostro? Si susseguono eventi che, al di là delle apparenze, sono tra loro correlati: persone morte a seguito di interventi di polizia (basti pensare all’esecuzione del giovane Davide Bifolco a Napoli), crescente repressione politica (sia poliziesca che giurisdizionale) di avanguardie di movimenti di lotta (per decapitare preventivamente forme e tempi di rivolta sociale contro la recessione, la precarizzazione delle vite, l’impoverimento di massa).
La tesi della ricerca dell’Osservatorio sulla Repressione è che esiste un’unica matrice politico/governamentale che rende ragione di questi eventi. Che stia avvenendo, in altri termini, un processo di sostituzione della funzione di mediazione sociale propria delle istituzioni rappresentative con un apparato giuridico/legale volto al controllo.
Il conflitto sociale è ridotto a problema di ordine pubblico. I governi attuano strategie di contenimento sociale, per risolvere in senso repressivo l’insorgenza del conflitto sociale. Depenalizzazione e decarcerizzazione sono i parametri della nostra lotta radicalmente democratica, spesso nella più completa assenza e rimozione delle sinistre. Le quali sembrano non comprendere un dato strutturale: stiamo vivendo la seconda grande crisi storica del liberalismo politico. Anche le democrazie rappresentative parlamentari diventano oligarchie e plutocrazie. Quanta democrazia sopporta il capitalismo? Capitalismo e democrazia appaiono incompatibili e, addirittura, antagonistici.
La governabilità borghese si nutre di “stato di eccezione”. Crescono le “zone rosse”, le zone militari: Genova 2001 e, poi, Val Susa sono stati laboratori di sospensione della democrazia. Dispositivi normativi infami, come il piano casa di Lupi contro il diritto all’abitare (che attacca frontalmente diritti di residenza e di cittadinanza) sono emblemi di un processo in atto: l’avanzamento dello “stato penale globale” va di pari passo con il dissolversi dello “stato sociale”, con la spoliazione privatistica dei diritti di cittadinanza (ai beni comuni, al sapere, alla formazione). Vengono strumentalizzati rancori, paure di un popolo che, nella crisi, vive spaesamento e privazione di senso, nel contrasto all’immigrazione (presunta “clandestina”); perfino nella guerra contro il “terrorismo globale” Giorgio Agamben ha trattato temi importanti come quello della diffusione dei “dispositivi biometrici” (impronte digitali, videosorveglianza). ”E’ evidente che uno spazio videosorvegliato non è più lo spazio pubblico di identità comunitaria. E’ la deriva del potere moderno verso la biopolitica, cioè verso l’uso e l’occupazione anche dei corpi; di corpi docili ed ordinati dei sudditi”. E’ lo “stato del controllo”, per l’appunto.
Il mercato del lavoro precarizzato proietta la sua intrinseca violenza sullo Stato, che mette a punto strumenti repressivi sempre più sofisticati come parte fisiologica della “governabilità”(altro che “mele marce”; si tratta di una ristrutturazione sistemica). Quando i potenti, infatti, dicono che “stiamo in guerra” alludono alla connessione tra stato di guerra imperiale e diffusione del comando militare sul territorio. L’immaginario della sicurezza diventa metafora di una nuova “legge marziale”.
Vogliamo, allora, discutere collettivamente di diritto costituzionale alla “resistenza”, contro l’assolutismo della “ragion di stato”. Vogliamo discutere di “garantismo sociale”, ricercando i nessi tra conflitto, rivolta, spazi di libertà. Contro il paradigma del “diritto del nemico”, di cui è metafora il “nemico” migrante “clandestino”, oggetto della legislazione emergenzialista e proibizionista (e di tante orribili ordinanze di tanti sindaci, spesso di centrosinistra, che combattono i poveri, non la povertà). Proponiamo l’amnistia sociale, che non può essere un terreno caro solo ai garantisti; perché conflitto sociale e lotte per le libertà democratiche sono sempre più connesse. Anche in questo caso: il tempo è ora.
Italo Di Sabato – Osservatorio sulla Repressione