Intervista a Rihan Loqo, portavoce di Kongra Star sulle violenze dei gruppi finanziati da Ankara nel nord est della Siria: «Per Erdogan i curdi sono il primo ostacolo. Chiunque non prenda le distanze dal regime precedente, aprirà la strada a nuovi conflitti. Questo pericolo esiste se guardiamo alle politiche di Ha’yat Tahrir al Sham»
di Marilù Mastrogiovanni da il manifesto
Da dodici anni l’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est rappresenta un esperimento di innovazione sociale e politica basato su tre pilastri: jin, jîyan, azadî, che in lingua kurmanji (il curdo parlato in quella zona della Siria), significa Donna, vita, libertà. Il confederalismo democratico che si sta sperimentando nel Rojava è oggi a rischio: non ha mai smesso di essere un target né per la Turchia, né per il regime di Assad o per le truppe jiadiste che oggi voglio mostrare il loro volto più rassicurante.
Ne abbiamo parlato conRihan Loqo, portavoce di Kongra Star, la confederazione di tutte le organizzazioni democratiche delle donne che, nel mondo, si riconoscono nella Jineoloji, la scienza delle donne.
C’è il rischio che l’ex dittatura venga sostituita da un altro regime dispotico?
Il regime di Assad era un regime dittatoriale e ha perso l’opportunità storica di democratizzare il proprio governo. Nelle condizioni attuali è tempo di creare qualcosa di nuovo. L’arrivo di un regime che aspira al vecchio è un rischio che rientra nel campo delle possibilità. Chiunque arrivi, chiunque non prenda le distanze dallo status quo, dalla mentalità monistica, dittatoriale, reazionaria, crudele e maschilista del passato, aprirà la strada a nuovi conflitti piuttosto che a soluzioni. Questo pericolo esiste se guardiamo alle politiche di Ha’yat Tahrir al Sham che ha rovesciato il regime di Assad. Anche se di recente hanno adottato un’immagine molto moderata – e lo fanno consapevolmente – vediamo qual è stata la loro politica a Idlib, vediamo già a Latakia come stanno reprimendo i dissidenti e il pericolo che adottino un atteggiamento islamista estremista verso i diritti delle donne. Tuttavia, se non si sviluppano politiche corrette, una forte resistenza sociale e un’autodifesa a favore delle donne, dei popoli e delle dinamiche sociali, il regime successivo avrà pochissime possibilità di sopravvivenza.
Il presidente turco Erdogan sottolinea l’importanza dell’«integrità territoriale della Siria»: lui e la nuova “leadership” rispetteranno l’esistenza e la volontà del popolo curdo e di tutti gli altri popoli?
L’Isis, che ha subito una grave sconfitta con la rivoluzione nel nord-est della Siria, ha continuato a organizzarsi attraverso lo Stato turco con strutture come l’Sna (Syrian national army). Gli attacchi turchi contro la popolazione sono continuati per 12 anni. Dal 27 novembre, numerose città e villaggi all’interno dei confini dell’Amministrazione autonoma democratica sono stati attaccati. Equipaggiamento militare, armi, munizioni, intelligence e logistica di queste organizzazioni malavitose sono forniti dallo Stato turco che mira a impedire una possibile soluzione per l’Amministrazione nella situazione politica emergente, a privare il popolo curdo di qualsiasi status sul territorio. L’obiettivo di Erdogan è mantenere e rafforzare la sua posizione geostrategica ed economica nei mutevoli equilibri regionali basati sugli interessi degli Stati-nazione e di conquistarne una quota maggiore. Vede i curdi come il principale ostacolo al raggiungimento di questo obiettivo. Erdogan è il portatore della concezione turca dell’islamismo. Le pratiche oppressive, negazioniste e fasciste in Turchia ne sono gli indicatori più importanti. Un capo di stato che non riesce a sviluppare la democrazia nel proprio paese difficilmente la svilupperà per un altro.
Ci sono le basi per costruire accordi e mantenere l’autonomia dell’Amministrazione o l’autonomia è a rischio?
Nel nord-est della Siria esiste un’amministrazione autonoma da 12 anni. È un tempo breve per ricostruire un paese e una società, ma i popoli della regione sono così assetati di democrazia che in questi 12 anni hanno cercato di organizzare rapidamente il loro desiderio di libertà e democrazia. Nella prospettiva di una nazione democratica, hanno creato un’economia, una politica, una vita sociale, un’autodifesa e, soprattutto, un’organizzazione femminile. Per questo motivo le donne, che più desideravano la libertà, sono diventate le pioniere della rivoluzione e della ricostruzione sociale. Per la prima volta, anche altri popoli oltre ai curdi e ad altre comunità religiose hanno trovato grande fiducia e speranza nell’approccio liberale dell’Amministrazione autonoma democratica. D’altra parte, la rivoluzione è costata migliaia di martiri, costi materiali e morali. Per questo motivo, le basi per la protezione dell’autogoverno sono più forti che mai. Sarebbe irrealistico affermare che l’autonomia non corre rischi. D’altra parte, c’è la realtà di un popolo e di una società che nella nostra regione è diventata una tavola di lupi, frammentata, diasporizzata, assimilata, impoverita, vittima di genocidio e isolata.
C’è il rischio reale di un massacro della popolazione civile curda e in particolare delle donne?
La popolazione civile, soprattutto le donne, è a rischio di massacro. Gli autori di questi attacchi sono l’Sna e le bande dell’Isis sostenute dallo Stato turco. D’altra parte, la Turchia continua a compiere attacchi aerei con i droni contro la popolazione civile, gli attivisti e i politici all’interno dei confini dell’Amministrazione autonoma. Negli ultimi attacchi tre donne della comunità femminile Zenubya di Manbij sono state massacrate dalle bande. Dopo il ritiro dell’Esercito democratico siriano da Manbij, in città si sono verificati saccheggi, furti ed estorsioni. Attualmente, gli abitanti hanno chiuso i loro posti di lavoro e hanno iniziato uno sciopero contro queste pratiche delle bande. Uccisioni di massa hanno avuto luogo nelle città di Kobane ed Eynisa. Ci sono centinaia di vittime tra le persone emigrate nelle regioni di Shahba e Tel Rifaat, che sono state occupate per prime dalle bande. La loro sorte non è ancora nota. Centinaia di donne sono state rapite e violentate nel cantone di Afrin, occupata da anni da bande affiliate allo Stato turco. Migliaia di ulivi, unica fonte di sostentamento per la popolazione di Afrin, sono stati distrutti.
Che tipo di soluzioni politiche immagina per la stabilizzazione della Siria?
La vita che sogniamo è una vita democratica, ecologica e rispettosa delle donne. La radice dei problemi sociali nella regione e nel mondo è una mentalità monistica, centrata sull’uomo e dominata dagli uomini. Vogliamo creare un sistema che permetta una vita sociale equa e democratica per tutti i popoli, le fedi e le differenze. Questo si può ottenere solo costruendo una Siria democratica in cui si esprima la volontà di tutte le forze sociali.
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