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La vergogna internazionale dei campionati mondiali di calcio in Qatar

Con l’avvicinarsi dei campionati mondiali di calcio in Qatar, il 20 novembre prossimo, in tutto il mondo crescono gli appelli per denunciare le violazioni dei diritti umani in quel Paese. Parigi e altri sette comuni francesi hanno annunciato che non ospiteranno maxi schermi nelle città per seguire la manifestazione, denunciando la catastrofe umana e ambientale amplificata dall’evento.

Le condizioni di lavoro disumane nella costruzione degli stadi dei Mondiali e la generale precarietà dei diritti umani in Qatar sono state denunciate in Germania anche all’interno della Bundesliga. Il club Tsg Hoffenheim ha annunciato che non darà notizie sulla manifestazione durante il suo svolgimento.

Human Rights Watch ha chiesto alla Fifa e alle autorità del Qatar un risarcimento finanziario ai lavoratori migranti che hanno subito danni rendendo possibile la Coppa del Mondo. Dal 2010, data dell’assegnazione del mondiale al Qatar, almeno 6500 operai sono morti durante la realizzazione delle strutture per l’evento, 12 ogni settimana.

Human Rights ha anche lanciato un appello alle squadre del continente africano affinchè sostengano i migranti che hanno reso possibile il mondiale, ma non hanno ricevuto risposta. L’ipocrisia internazionale sull’argomento ha raggiunto livelli superiori alla norma.

La Danimarca, dopo aver annunciato un anno fa che avrebbe boicottato l’evento, giocherà con “divise di denuncia”, in cui lo sponsor ha deciso di non essere presente per non essere associato all’evento. In ogni caso almeno una presa di posizione c’è stata.

Le denunce delle organizzazioni umanitarie non sono servite a nulla, gli affari commerciali verso il Qatar sono troppo più importanti di qualche poveraccio che muore cadendo da un’impalcatura o della privazione di diritti per le donne.

In Qatar, denuncia Amnesty International, i lavoratori migranti hanno continuato a subire abusi sul lavoro e la limitazione della libertà di espressione è aumentata in vista della Coppa del Mondo. Le donne e le persone LGBTI hanno continuato a subire discriminazioni nella legge e nella pratica.

Nel maggio scorso gli avvocati Hazza e Rashed bin Ali Abu Shurayda al-Marri sono stati condannati all’ergastolo con l’accusa di aver contestato le leggi ratificate dall’Emiro. Nonostante l’introduzione di un nuovo salario minimo e le misure per monitorare il pagamento dei salari, i lavoratori migranti hanno continuato a essere vittime di furti salariali da parte dei loro datori di lavoro senza un ricorso effettivo alla giustizia.

Il 4 maggio dell’anno scorso le autorità del Qatar hanno fatto sparire con la forza Malcolm Bidali, una guardia di sicurezza keniota, blogger e attivista per i diritti dei lavoratori migranti. Lo hanno tenuto in isolamento per un mese e gli hanno negato l’accesso a un consulente legale.

L’estate scorsa 7 membri delle tribù, principalmente la tribù al-Murra, che avevano protestato contro la loro esclusione dalle elezioni del Consiglio della Shura sono stati arrestati e deferiti alla pubblica accusa.

Le donne sono rimaste legate al loro tutore maschio, di solito il padre, fratello, nonno o zio, o per le donne sposate, al marito. Le donne hanno bisogno del permesso del loro tutore per sposarsi, studiare all’estero, lavorare in molti lavori governativi, viaggiare all’estero e ricevere alcune forme di assistenza sanitaria riproduttiva.

La “sodomia” o condotta sessuale tra uomini dello stesso sesso è rimasta un reato ai sensi del codice penale, punibile con la reclusione fino a sette anni. Ma sono molte le violazioni dei diritti umani in Qatar, solo che non importa a nessuno.

Il motivo dell’indifferenza internazionale sulle violazioni dei diritti umani è naturalmente commerciale. Il Qatar nel 2019 è uscito dall’Opec, l’associazione degli esportatori di petrolio, passando dal predominio nel petrolio a diventare leader mondiale dell’esportazione di gas naturale liquefatto.

Il Qatar possiede il 14% sul totale delle riserve mondiali di gas, terzo per esportazioni dietro Russia e Iran. Sono cifre che per l’occidente ipocrita giustificano da sole qualche morto qua e là e la sistematica violazione dei diritti umani.

da Diogene

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Amnesty contro Qatar 2022, i Mondiali della vergogna

Amnesty e HRW chiedono un fondo di solidarietà per ripagare i lavoratori migranti morti o infortunati durante la preparazione del Mondiale

di Luca Pisapia

Ci provano anche Amnesty International e Human Rights Watch. Se non a fermare i Mondiali della vergogna, mission impossible, almeno a inchiodare la Fifa e gli sponsor alle loro tragiche responsabilità. Ma ogni richiesta è persa nel vento che da una delle autocrazie più ricche e autoritarie del Pianeta arriva a posare la sua sabbia sui forzieri delle banche svizzere in cui la Fifa custodisce gelosamente il suo patrimonio finanziario, qualche miliardo di dollari di ricavi, di cui almeno uno dovrebbe entrare quest’anno solo per i Mondiali di Qatar 2022.

Le due organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno proposto un sondaggio da cui è emerso che tre quarti degli intervistati sono favorevoli alla loro proposta: che la Fifa e gli sponsor della manifestazione istituiscano un fondo di solidarietà per ripagare le decine di migliaia di lavoratori migranti morti o infortunati sul lavoro durante la preparazione del Mondiale. Secondo l’ultima inchiesta del Guardian del 2021, sarebbero almeno 6.500 i lavoratori provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka morti per permettere il calcio d’inizio dei Mondiali.

Questa cifra non tiene conto degli infortuni sul lavoro, delle malattie, delle pessime condizioni igienico-sanitarie in cui versano questi lavoratori. Se è vero che, solo la settimana scorsa, lo stesso Guardian è andato a visitare l’hotel che ospiterà la squadra inglese, e ha trovato una situazione «di squallore», con «condizioni di lavoro prossime alla schiavitù». Per fortuna l’Italia non si è qualificata, così almeno ci risparmiamo le gallerie dei migliori alberghi e dei più bei ristoranti con cui ci avrebbe ammorbato la nostra stampa sportiva, ignorando consapevolmente tutto il resto.

Nonostante le promesse della teocrazia del Qatar – Paese di cui Gianni Infantino, presidente della Fifa, è talmente innamorato da esserne diventato cittadino – non è mai stato abolito il sistema della kafala che permette ai datori di lavoro di requisire i documenti dei lavoratori migranti. E di esercitare su di loro un’autorità di stampo medievale prossima al diritto di vita e morte. E le poche e strombazzate riforme, rilanciate da tutti i media occidentali, come le tutele mediche per i lavoratori, riguardano solo quelli che lavorano negli stadi. Chi si occupa di infrastrutture, strade, e tutto quello che si trova appena un poco lontano dal prato verde illuminato dalle telecamere, può continuare ad ammalarsi o a crepare in silenzio.

Ma di tutto questo, alla Fifa e ai suoi sponsor – tra gli altri Budweiser, Adidas, Coca-Cola, McDonalds, Visa, Hyundai-Kia e Wanda Group, nomi di cui bisognerebbe ricordarsi ogni volta che si va fare la spesa – non frega assolutamente nulla. Anzi, a domanda precisa sui risarcimenti, Infantino ha fatto un discorso atroce sulla dignità del lavoro. Parole degne di altri terribili e oscuri tempi. E ci sta. Perché in fondo questi non sono nemmeno i primi Mondiali della vergogna, non avendo la Fifa voltato le spalle a tutte le dittature che attraverso i Mondiali ha di fatto sempre sostenuto, dal fascismo italiano alle giunte militari brasiliane e argentine. Per tacer della Russia e oggi del Qatar.

da Valori.it

#boycottqatar2022