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La violenza è del Governo

Esponenti del governo evocano il clima di odio e di violenza, scenari di altri tempi, per criminalizzare le manifestazioni degli studenti. Ma, a ben guardare, la violenza – che non è mai accettabile in democrazia – la esercita soprattutto il Governo: contro la magistratura, contro i migranti, contro chi dissente. Il tutto condito dal vittimismo di un potere che travalica i suoi limiti e pretende di incarnare anche l’oppresso dal potere.

di Alessandra Algostino da Volere la Luna

Sembra di vivere in una distopia surreale, ma è la realtà.

Esponenti del governo evocano il clima di odio e di violenza, scenari di altri tempi, per criminalizzare le manifestazioni degli studenti. È il diritto di protesta in sé ad essere stigmatizzato e delegittimato; si citano gli slogan come fossero prove di reato. Una democrazia – scriveva Passerin d’Entrèves – è improntata alla «tolleranza del dissenso sino all’estremo limite possibile». La violenza, certo, non è mai accettabile in una democrazia: non lo è quando proviene dai manifestanti (e qui la reazione certo non manca, tanto da far ragionare di un eccesso punitivo, con sovradeterminazione delle fattispecie, abuso di misure cautelari…); non lo è quando assume la forma di violenza verbale da parte di chi rappresenta le istituzioni o di violenza fisica ingiustificata da parte delle forze di polizia. E non lo è quando assume le vesti di una legislazione violenta, che chiude gli spazi del dissenso e punisce il disagio sociale, come emblematicamente fa il disegno di legge sicurezza in discussione.

E ancora non è tollerabile la violenza di un Governo che attacca frontalmente la magistratura, o di un magnate multimiliardario con prossimi incarichi di governo in altro Stato che rincara la dose, o la violenza esercitata contro le persone che migrano trattate letteralmente come pedine da muovere sullo scacchiere politico. L’aggressione del Governo e di Musk (sic!) alla magistratura mostra con chiarezza la rottura di due argini fondamentali della democrazia costituzionale: l’equilibrio dei poteri e l’autonomia della politica dall’economia (o, meglio, il controllo che la politica dovrebbe esercitare sull’economia). Certo, non è nulla di nuovo sotto il sole, ma colpisce la protervia con la quale, in Italia, il Governo attacca la magistratura, attraverso delegittimazione, falsificazione di dati di fatto (l’incontestabilità dell’applicazione delle norme in tema di rapporti tra ordinamento italiano ed europeo) e riforme ad hoc. Il tutto condito dal vittimismo di un potere che travalica i suoi limiti e pretende di incarnare anche l’oppresso dal potere. Ad essere travolti sono l’indipendenza della magistratura, il senso proprio della sua soggezione soltanto alla legge e il Parlamento, ancora una volta piegato al compito di dare forma legislativa ai voleri del Governo. D’oltreoceano, alle pretese assolutiste del neoeletto presidente, ahimè aiutate dal venir meno di fatto dei check and balances, si aggiunge una accettata – ma inaccettabile – sovrapposizione diretta del potere economico alla politica, con il conseguente asservimento delle istituzioni pubbliche al profitto dei privati.

Sono episodi e contesti diversi, ma che hanno un comune precipitato nel fotografare in modo nitido la concentrazione del potere, la deriva decisionista e autoritaria, e il suo legame con gli interessi dell’oligarchia che possiede le leve di un modello economico predatorio, imperniato sulla massimizzazione del profitto di pochi. Provvedimenti come il disegno di legge sicurezza chiudono il cerchio, blindando il modello, non a caso tenendo insieme la punizione della marginalità sociale e della divergenza politica. Sembra quasi irreale tanto è una realtà limpida sotto i nostri occhi. Tuttavia è reale. È reale come il genocidio – concretizzo il termine: la morte, la disperazione, la fame, la distruzione della possibilità di vivere – che il Governo di Israele sta compiendo in Palestina. È reale come il trattamento dei migranti come non-persone, moderni schiavi o eccedenti da confinare ed espellere. È tutto reale ma allo stesso tempo è giustificato e mistificato da menzogne, ripetute al di là di ogni evidenza, finché (è la “logica dell’insistenza” dei regimi autoritari) divengono la “verità”. Il genocidio è autodifesa, la disumanizzazione dei migranti è “difesa dei confini”, l’attacco alla separazione e all’equilibrio dei poteri è giustificato con il vittimismo.

Il diritto che stabilisce limiti, costituzionale e internazionale, è trattato alla stregua di un fastidioso orpello, da ignorare o modificare, inserito nella folta schiera dei nemici. La violenza si intreccia con la menzogna, per legittimarsi e delegittimare l’altro, esercitando una ulteriore violenza. È la costruzione del nemico, da espellere, da eliminare politicamente (quando non fisicamente). È il contrario della democrazia come pluralismo, discussione e conflitto; è il contrario dell’uguaglianza, dell’eguale riconoscimento, che è fondamento della democrazia, così come del diritto internazionale dei diritti umani.

Reale è un governo che pretende di esercitare un potere assoluto, delegittimando le altre istituzioni così come criminalizzando chi critica e contesta (il disegno di legge sicurezza facilmente sarà approvato e la repressione del dissenso è già in stadio avanzato); reali sono le diseguaglianze e la devastazione ambientale causate da poteri economici selvaggi; reale è il genocidio in diretta dei palestinesi. Se guardiamo al presente, con gli occhi di chi (si spera) vivrà il futuro, non vorrei che si dicesse, non avete voluto vedere. Non è la realtà che la nostra Costituzione e il diritto internazionale prescrivono, non è la realtà che vogliamo. E allora è necessario vedere la realtà e insieme tenere bene a mente, come la dialettica della storia insegna, che la trasformazione è possibile. Di scelte umane si discorre. È reale quanto vediamo, ma reali sono anche le tante piccole isole, persone, azioni, organizzazioni, movimenti che resistono, vivono e agiscono alternative.

Siamo realisti, ma proprio per questo, non arresi. È l’insegnamento della nostra Costituzione, un realismo emancipante: gli ostacoli esistono, rimuoviamoli. L’orizzonte, certo, è fosco, nero, ma proprio per questo è necessario agire e resistere in direzione contraria: non c’è un’unica via e non c’è una via già scritta.

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