L’idea di usare i percettori del reddito di cittadinanza per «lavori socialmente utili» non è del ministro degli affari regionali Francesco Boccia. Per lanciare gli «assistenti civici» quest’ultimo è stato ispirato dalla legge varata dal governo legastellato «Conte 1» che ha istituito la truffa semantica del cosiddetto «reddito di cittadinanza».
Non si tratta di un reddito di base incondizionato – è in questa direzione che andrebbe trasformato l’attuale «reddito di cittadinanza» – ma di un sussidio vincolato anche all’obbligo di lavorare fino a 16 ore, e non meno di otto, a settimana per gli enti locali, per 18 mesi, rinnovabili. Ai «Puc», i «progetti di pubblica utilità», varati a gennaio 2020, ora potrebbe aggiungersi anche quello del controllore del «distanziamento sociale», il verificatore della moralità di chi osserva la regola della cittadinanza virale: «Se ami l’Italia mantieni la distanza» ha detto il presidente del consiglio Conte in un recente brocardo.
La distribuzione dei vigili delle relazioni sociali sarà decisa dalla Protezione civile che stabilirà le quote in base alle esigenze dei comuni e delle regioni. A questo progetto i singoli potrebbero accedere volontariamente da giugno, per tre mesi, tre giorni e per massimo 16 ore a settimana. Non è al momento chiaro se il «reclutamento» di questi «assistenti» prevederà l’intervento dei centri per l’impiego, dei «navigator» e della macchina dell’ortopedia sociale pensata per «attivare» i poveri su un mercato del lavoro disintegrato dalla recessione. Un sistema ancora sospeso per la pandemia. Ma se così fosse non ci sarebbe nulla di strano. Chi oggi si indigna per gli «assistenti civici» che attenterebbero alle libertà individuali, potrebbe riflettere sul fatto che anche questi «volontari» sono stati creati da una legge che ha sdoganato, per il momento solo a livello formale, un regime del lavoro coatto giustificato in nome del bene della «comunità». In cosa sarebbe diverso questo uso dei percettori del «reddito» da quello prospettato dal governatore ligure Giovanni Toti il 20 maggio scorso: impiegarli come «steward», ma non bagnini, sulle spiagge? Toti ha attaccato gli «assistenti civici» perché non hanno la «competenza». In base a quale «competenza» chi percepisce un «reddito» farebbe lo «steward» in una spiaggia?
Anche cassintegrati e percettori di ammortizzatori sociali potrebbero fare gli «assistenti civici». Invece di porsi il problema che con la Cig non si vive dignitosamente, che andrebbe parificata al 100% della retribuzione, integrata con altre tutele e sostegni, si vogliono impiegare queste persone in un lavoro che potrebbe creare tensioni in una «movida». Altro che «utilità sociale». Del resto questa è una proposta ricorrente. Da anni si parla di «lavoro minimo di cittadinanza» rivolto a cassintegrati di lungo corso o a coloro che sono reputati essere «in debito» con la «comunità» e sono considerati in obbligo di donare lavoro gratis. Sotto il nome di «volontariato» qui si intende una concezione oblativa del lavoro di cura interpretato come un’offerta libera, performativa e senza contropartite, anche monetarie, di qualità e attitudini morali come la buona educazione, il «sorriso», la «ragionevolezza». E, se non funzionano, il malcapitato sorvegliante civico dovrebbe chiamare polizia e vigili.
Lo scambio tra «reddito» e presunti «lavori utili» confonde il sussidio con il salario. Dopo anni di bandi per lavori gratis nella pubblica amministrazione, oggi si tende a specificare che l’uso del volontariato al posto del lavoro contrattualizzato non deve sostituire le assunzioni che però restano bloccate. Al Comune di Roma mancano i giardinieri? Non saranno assunti, ma nel frattempo si mettono a lavorare gratis i percettori del «reddito di cittadinanza». Se rifiutano, perdono il sussidio. Il problema si è posto anche nel «Decreto rilancio» per il lavoro agricolo. Il governo vuole impiegare queste persone nei campi. È previsto un contratto entro i duemila euro, ma è assicurata la continuità dell’erogazione del «reddito». La precisazione si è resa necessaria perché, altrimenti, lo sfruttamento del lavoro sarebbe stato anche una riduzione in servitù.
In queste proposte il «reddito di cittadinanza» è considerato una colpa sociale da fare scontare con l’obbligo al lavoro, spesso ornamentale o in sostituzione della forza lavoro regolare. Le classi dominanti parlano di una «rabbia sociale» crescente in Italia. È grave che non si rendano conto che oggi sono loro a odiare i poveri e i precari.