Il lavoro che cambia. Quali strade per la dignità?
- giugno 21, 2018
- in lotte sindacali, lotte sociali
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Cosa si rischia, in termini di agibilità e autonomia, se sempre più spesso, viene utilizzato il governo come “mediatore” nei conflitti e nella contrattazione tra lavoratori e aziende? La vicenda dei “riders”, accolti dal neo ministro del lavoro Di Maio, qualche giorno dopo l’insediamento del nuovo governo, dovrebbe far riflettere sulla strada che le lotte devono intraprendere, sia per le tradizionali categorie lavorative ( si pensi ai mille tavoli aperti in questi anni per varie vertenze, Whirpool, Ilva, Acciaierie di Terni, coop della logistica, per dirne solo alcune), che per quelle emergenti (es. Almaviva). Da “semplici lavoretti” a veri e propri lavori salariati, strumento di sopravvivenza e reddito nell’economia globalizzata, dove i colossi della logistica e della Gig economy avanzano a ritmo serrato. E’ nel verso del riconoscimento di categoria lavorativa dotata di coscienza e consapevolezza, rivendicando dignità e diritti, che per esempio i riders dei circuiti del delivery food hanno intrapreso una serie di battaglie fatte di azioni pratiche e legali. Spesso mettendo in campo nuove forme di lotta, dovute alla nuova tipologia di padronato, l’interfaccia digitale. Non ci sono più gli sgherri, i picchiatori, spesso, i nuovi capitalisti si nascondo dietro piattaforme digitali e algoritmi, hanno più sofisticati strumenti di controllo (ancora è aperta la discussione sul limite tra strumento di lavoro e controllo per le nuove attrezzature tecnologiche di lavoro), parlano un linguaggio “amichevole” ( friendly). Mutano le forme, ma non la sostanza delle lotte.
Ed è per questo, che a mio modesto avviso, è importante capire quali siano le azioni da intraprendere per essere riconosciuti come categoria lavorativa a tutti gli effetti. Capire, se sia efficace o meno, percorrere la strada della contrattazione o quella del riconoscimento tramite “decreti e leggi” sui minimi orari, salariali, delle tutele e dei diritti, nonché della loro estensione. Spesso nell’imminenza e nella necessità si possono intraprendere strade che ci portano, sì, a risolvere una problematica contingente, ma subito dopo, a finire come strumento mediatico nella mani di chi ci governa, che oggi, rimanendo realisti rappresenta quella parte di società che non vuole alcun conflitto, ma è convinta che, con il giusto equilibrio, tutte le contraddizioni di questo sistema economico possano essere superate. Come a dire che, se ogni tanto concedo qualche briciola, nessun “poveraccio” si accorgerà della tavola apparecchiata per pochi e si ribellerà. Basta consultare i dati economici sull’aumento esponenziale dei patrimoni e redditi delle classi dominanti ( “classe” questa sconosciuta!).
La contrattazione o il conflitto tra le parti, rappresentanze dei lavoratori e aziende private, assume sempre più spesso, dei caratteri simili a quelli tra Aran (istituita dall’art. 50 del d.lgs 3 febbraio 1993, n. 29 “Razionalizzazione della organizzazione delle Amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 nell’ambito dell’attuazione della cosiddetta “privatizzazione del diritto del lavoro pubblico in Italia”) e le rappresentanze sindacali dei lavoratori pubblici, dove l’agenzia rappresenta la controparte pubblica in sede negoziale e gestendo la contrattazione con le controparti sindacali, ne certifica la loro “rappresentatività”.
Vi è una trasformazione in corso. La democrazia rappresentativa, assume con sempre più velocità, le sembianze di una democrazia “deliberativa”, dove qualsiasi rivendicazione e conflitto viene stabilito preventivamente. E’ importante quindi, nella lotte di avanzamento e ricomposizione, stabilire quali debbano essere le rivendicazioni che hanno bisogno di essere fissate per legge e quelle che debbano essere stabilite in sede contrattuale, in modo da non limitare le spinte e finire intrappolati in queste maglie.
Il filone di decreti e leggi promulgate dagli ultimi governi (poco amici della classe lavoratrice), l’atteggiamento di alcune grandi aziende, hanno già attaccato la disciplina dei contratti collettivi nazionali e alcune norme fondamentali, provando a far passare il principio che la contrattazione di secondo livello ( territoriale, aziendale) potesse superare anche in peggio quanto stabilito da quella di primo livello e dalla normativa ( si pensi ai licenziamenti e alla retribuzione). Dal 2011 fino ad oggi, passando tra articoli infilati in qualche finanziaria per passare inosservati a decreti come quelli attuati del Job Act, ai referendum e scioperi in FCA con relativi dispositivi di repressione e una mutata sensibilità in ambito giuslavorista, i rapporti di forza sono ancora più deboli, per la nostra parte. Senza tralasciare la verità storica, che proprio in fasi come questa, a emergere è il senso di solitudine e le risposte psicologiche e sociali da collettiva si fanno individuali.
“Se non raggiungeranno un risultato, interverremo con delle norme”, “Voglio risolvere prima possibile questa questione. Possibilmente con un tavolo, altrimenti interverremo noi”, ha detto Di Maio, dopo le tensioni sulle condizioni dei lavoratori del Food delivery, i cosiddetti riders.
Tutto questo sarà per accorciare i tempi? Limitare i danni derivanti da un conflitto? Forse, perché nessun meccanismo di questo sistema economico debba arrestarsi, perché ogni secondo, ogni ordine on line, ogni consegna, ogni ora, creano profitto, con il lavoro “utile” e “non utile” di migliaia di lavoratori e molto spesso anche di disoccupati ( si pensi alla creazione di plusvalore su internet !) per soddisfare quella che Marx definiva “l’autovalorizzazione del capitale”?.
Questo scritto non è un invito a rimpiangere vecchi feticci normativi e vecchie lotte, restando ancorati a strumenti forse superati dai continui mutamenti del sistema economico. E’ un invito a riflettere su quali siano le strade e le armi più vantaggiose per le vecchie e nuove categorie lavorative, considerando gli equilibri e i rapporti tra le fonti del diritto e le parti sociali, nell’ambito della nuova divisione e organizzazione sociale del lavoro, sia a livello globale che territoriale, per provare come sempre a ribaltare quelli che sono gli attuali rapporti di forza.
Renato Turturro