E’ lecito videoriprendere le forze di polizia mentre operano?
- marzo 30, 2021
- in misure repressive
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E’ tornata alla ribalta, in questo periodo di generalizzata limitazione delle libertà personali per motivi di ordine sanitario, l’annosa questione della liceità della pubblicizzazione dell’operato delle forze dell’ordine tramite video, foto e audio spesso montati ad arte con scopi ben precisi. Sono di questi giorni video diffusi sui vari canali social che mostrano i Carabinieri che richiedono i documenti di identità a persone che ritengono, a vario titolo, di non essere tenute ad esibirli o comunque cercano di sottrarsi ai controlli. Proprio queste persone hanno girato i video che poi pubblicati, spesso mancanti di parti fondamentali per la comprensione dell’accaduto, sono stati ritenuti violare le norme che tutelano la privacy e la dignità delle persone. La difficoltà di tutelare il diritto di cronaca e nello stesso tempo garantire la tutela della privacy sembrerebbe qui trovare la sua perfetta sintesi, ma non è proprio così, vediamo perché.
Preliminarmente va compreso come il momento della pubblicazione sia la fase finale di una serie di comportamenti che iniziano con la registrazione delle attività, e che ogni fase va analizzata e valutata separatamente:
registrazione: NON esistono allo stato leggi che proibiscano in modo generalizzato di fotografare, filmare o registrare l’audio di appartenenti alle Forze dell’Ordine durante lo svolgimento delle proprie funzioni.
Come esplicitato dal Garante della Privacy con nota 14755 del 5 giugno 2012 pubblicata nella Newsletter n.359 del 7 giugno 2012 “I funzionari pubblici e i pubblici ufficiali, compresi i rappresentanti delle forze di polizia impegnati in operazioni di controllo o presenti in manifestazioni o avvenimenti pubblici, possono essere fotografati e filmati, a meno che non vi sia un espresso divieto dell’Autorità pubblica” (Questo divieto può essere identificato nelle specifiche ordinanze afferenti un determinato ambito spaziale e temporale che riconducano a ragioni di sicurezza le motivazioni del divieto, oppure ad attività che ricadono in quelle tutelate dal segreto “istruttorio” o di Stato).
Tale impostazione ricalca di fatto quanto espresso dalla sentenza della Corte di Cassazione Penale, Sez. IV, datata 24 gennaio 2012, n.10697: “tutto quello che l’occhio umano può vedere, può anche essere fotografato e ripreso”. Per analogia può inoltre essere utilizzata a supporto anche la Suprema Corte Sez. I, l’8 febbraio 2013, sentenza n. 6339 (Nello stesso senso C., Sez.VI, 16 marzo 2011, n. 31342): “le intercettazioni regolate dall’art. 266 c.p.p., e segg., consistono nella captazione occulta e contestuale di una comunicazione o conversazione tra due o più soggetti che agiscano con l’intenzione di escludere altri e con modalità oggettivamente idonee allo scopo, attuata da soggetto terzo rispetto agli interlocutori mediante strumenti tecnici di percezione tali da vanificare le cautele ordinariamente poste a protezione del carattere riservato della comunicazione. Ne consegue che la registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe, o comunque sia ammesso ad assistervi, non è riconducibile, quantunque eseguita clandestinamente, alla nozione di intercettazione, ma costituisce forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l’autore può disporre legittimamente, anche a fini di prova nel processo secondo la disposizione dell’art. 234 c.p.p.”. Ne consegue che se un soggetto ha il diritto di assistere ad un fatto, se non espressamente vietato, ha parimenti il diritto di registrare quanto può lecitamente osservare/ascoltare e che tale registrazione può entrare come prova atipica nell’ambito processuale.
diffusione: Una volta che la registrazione è stata fatta va affrontata la fase, eventuale, della diffusione. La comunicazione individuale, la pubblicazione anche online o la messa a disposizione in qualsiasi modo di un filmato a un terzo, comprese la pubblica autorità o le forze dell’ordine, sono un processo indipendente, che richiede una giustificazione separata da parte del titolare del trattamento dei dati, che nel caso della trasmissione alla pubblica autorità o forze dell’ordine trova motivazione nell’obbligo giuridico di collaborazione con le stesse. Di particolare rilevanza, in proposito, è la sentenza del 14 febbraio 2019 della 2^ Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea causa C-345/17. In tale dispositivo la corte europea tratta il caso di un cittadino lettone che dopo aver filmato l’operato di alcuni poliziotti intenti alla stesura di atti amministrativi nei suoi confronti all’interno di un commissariato, aveva pubblicato tale video sulla piattaforma “www.youtube.com”. La sentenza, oltre a trattare il caso specifico, fornisce volutamente delle indicazioni di carattere generale:
- preliminarmente ribadisce che non vi è alcuna eccezione nella Direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995 (relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, ora superata[1] dal GDPR- Regolamento generale per la protezione dei dati personali n. 2016/679, ma ancora in vigore per quanto non specificatamente normato dal GDPR) che escluda dal suo ambito di applicazione i trattamenti di dati personali concernenti funzionari pubblici;
- afferma che la registrazione e la pubblicazione di un tale video rientrano nel trattamento dati personali sottoposto alla giurisdizione del diritto comunitario e non sono ricompresi in quelli sottrattigli perché aventi come oggetto la pubblica sicurezza, la difesa, la sicurezza dello Stato o le attività dello Stato in materia di diritto penale;
- rileva come la definizione di tale attività come “a fini giornalistici”, che costituisce fondamento per l’applicazione dell’art.9 direttiva 95/46 CE (esenzioni e deroghe rilevando la primarietà del diritto all’espressione in caso di conciliazione con il diritto alla privacy) debba essere interpretata “in senso ampio” non rilevando se il soggetto esecutore della registrazione e/o pubblicazione sia classificato giornalista o meno, e nemmeno rileva in maniera esclusiva il mezzo di trasmissione utilizzato;
- ribadisce che è competenza del giudice nazionale, utilizzando i parametri interpretativi europei, stabilire se la pubblicazione delle registrazioni abbia “quale unica finalità, la divulgazione al pubblico di informazioni, opinioni o idee” e che per effettuare una ponderazione tra il diritto al rispetto della vita privata e il diritto alla libertà di espressione vanno presi in considerazione (cit. Corte Europea diritti dell’Uomo 27 giugno 2017 CE:ECHR:2017:0627JUD000093113, § 165):
- contributo ad un dibattito di generale interesse;
- notorietà dell’interessato;
- oggetto del reportage;
- condotta anteriore dell’interessato;
- contenuto, forma e conseguenze della pubblicazione;
- modalità e circostanze di ottenimento delle informazioni;
- veridicità delle informazioni.
Non irrilevante appare inoltre la forma della pubblicazione, è chiaro come il montaggio di scene video con l’esclusione di altre possa avere effetti suggestivi che possono arrivare anche ad integrare i reati di cui agli artt. 368 e 595 c.p.
Riassumendo possiamo affermare che:
- durante l’esecuzione di attività amministrative la ripresa audio/video degli operatori è di norma permessa, eventuali divieti devono essere preventivamente e specificatamente emanati dall’Autorità motivandoli non genericamente;
- nell’esecuzione di attività di p.g. andrà valutato se applicabile l’art.329 c.p.p.: non potrà il soggetto escusso a sit registrare l’atto così come non ne può avere copia; a seconda del luogo in cui l’atto avviene lo stesso dovrà essere preventivamente autorizzato dall’Autorità (aula di un tribunale, ufficio del comandante della stazione etc.) oppure dovrà nel caso essere vietato dalla stessa (perquisizione nella pubblica via, presso il domicilio del soggetto etc.);
- l’eventuale utilizzo delle registrazioni effettuate dovrà essere vagliato successivamente, e quindi NON dagli operanti oggetto della registrazione, ma dal giudice di merito. Nel caso di pubblicazione NON avente come unica finalità la divulgazione di informazioni, opinioni o idee, il giudice dovrà valutare la sussistenza di eventuali violazioni quali ad esempio quelle di cui all’Art.167 “trattamento illecito di dati” del codice della privacy (D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196) o altri sia di ordine penale che civile. Se la finalità è invece comunque ritenuta “unicamente giornalistica” dovrà comunque essere valutato, sempre dal giudice, se sono stati rispettati i criteri di essenzialità, interesse pubblico e veridicità dell’informazione, anche con il filtro interpretativo fornito dalle “Regole deontologiche relative ai trattamenti di dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica” pubblicate il 4-1-2019 e confluite nell’allegato A del Codice in materia di protezione dei dati personali aggiornato con il decreto 101 del 10 agosto 2018 “adeguamento della normativa nazionale al GDPR”[2].
Quali comportamenti dovranno in pratica assumere i vari soggetti per meglio tutelare i loro diritti?
Gli operatori di polizia, allorquando comprendano di essere videoregistrati, se non sussistono specifiche motivazioni che lo vietino, dovrebbero identificare compiutamente il soggetto operante, provvedere a far registrare la loro richiesta di non essere ripresi e che comunque non prestano il loro consenso alla diffusione delle immagini e/o dell’audio e che tuteleranno i loro diritti eventualmente violati nelle opportune sedi legali, sia civili che penali.
Eventuali intimazioni ad interrompere le registrazioni, o il sequestro delle apparecchiature in uso, o l’ordine di cancellare le immagini acquisite, potrebbero infatti integrare un abuso da parte degli operatori di polizia stessi.
In ultimo, riservando una eventuale successiva digressione sul diritto di cronaca ad un futuro articolo, una piccola nota aggiuntiva sulla vexata quaestio del divieto di riprese in ambienti militari:
l’articolo 261 del Codice penale punisce con la reclusione non inferiore a 5 anni
“chiunque rivela taluna delle notizie di carattere segreto (..) è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni; (..) se si tratta di notizie di cui l’autorità competente ha vietato la divulgazione, la pena è della reclusione da due a otto anni”.
Il Regio Decreto 11 luglio 1941, n. 1161 (che indicava pedissequamente quali notizie fossero di vietata divulgazione ai fini di tale norma) è stato abrogato dal D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66, art. 2268, comma 1. Il richiamo però del Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri 12 giugno 2009, n. 7, che esplicitamente rimanda al R.D. 11 luglio 1941, n. 1161, indica che per tali fini la norma va ancora utilizzata. Infatti, il DPCM 7/2009 qualifica come “segretissime” le materie di cui al R.D. 11 luglio 1941, n. 1161 , concernente «Norme relative al segreto militare», che vieta la divulgazione delle notizie relative a:
- …
- Fortificazioni, basi ed impianti delle forze armate.
- …
Per tale decreto, nell’interesse della sicurezza dello Stato, deve intendersi vietata la divulgazione di notizie afferenti:
“Opere di fortificazione (permanenti, semipermanenti, campali); apprestamenti difensivi in genere; postazione di artiglierie, strade militari e di interesse militare; basi navali e punti d’appoggio costieri; stazioni di vigilanza costiera; impianti aeronautici, efficienza, ampliamenti, migliorie degli aeroporti ed idroscali armati e dei campi e specchi d’acqua di fortuna, siano essi adibiti a scopi militari, sia ad uso della navigazione aerea civile. Caserme, baracche, ricoveri, rifugi, stabilimenti militari (arsenali, fabbriche d’armi, di aggressivi chimici, proiettifici, polverifici, stazioni di carica per sommergibili, depositi munizioni e materiali, di combustibili, di carburanti). Incidenti di notevole gravità e relative cause, nei depositi ed impianti sopraddetti.”
Con sentenza n. 295 del 2002 la Corte Costituzionale ha precisato che le notizie “riservate” di cui all’art. 262 costituiscono categoria omogenea – sul piano dei requisiti oggettivi di pertinenza e di idoneità offensiva – rispetto a quella delle notizie sottoposte a segreto di Stato. Da ciò la considerazione che impone la verifica in concreto della idoneità della condotta rivelatrice a recare pregiudizio alla sicurezza nazionale.
Tale orientamento, confermato dalla Cassazione Sez. I sentenza n. 23036 del 30.4.2009, necessita di una analisi della condotta contestata che non può limitarsi a constatare la natura “classificata” di un documento oggetto di divulgazione, non potendo esaurirsi il giudizio in tale presa d’atto ma dovendosi approfondire, da un lato la legittimità dell’imposizione del vincolo (ai limitati fini penalistici) e dall’altro la concreta lesività (anche in termini di messa in pericolo) della condotta rispetto agli interessi protetti (testualmente, Cass. pen. Sez. I, sentenza 28.11.2013, n. 47224).
In sintesi: diffondere fotografie di caserme delle forze armate (ma anche di aeroporti, impianti ferroviari militari o di interesse militare; organizzazioni ferroviarie nelle zone prossime alla frontiera o alla costa; linee ferroviarie di grande traffico; ..) non è reato se non compromette la sicurezza nazionale in termini di “concreta idoneità lesiva”.
Stefano Nencioni
da Diritto.it
Note
[1] I provvedimenti del Garante, antecedenti al GDPR, rimangono validi in quanto compatibili; sebbene le loro prescrizioni rappresentino una valida guida l’interpretazione della norma rimane responsabilità del Giudice e il titolare del trattamento dei dati, conformemente al principio di accountability che informa il GDPR, dovrà adottare anche gli accorgimenti non contemplati dal Garante nei suoi provvedimenti, laddove ne ravvisasse la necessità.
[2]L’art. 12 delle regole deontologiche prevede una deroga al trattamento dei dati relativi ai procedimenti penali. Prevale infatti il diritto di cronaca tanto che il paragrafo 1 statuisce che al trattamento dei dati relativi a procedimenti penali non si applica il limite previsto dall´art. 10 del Regolamento (trattamento dei dati personali relativi a condanne penali e reati), nonché dall’art. 2-octies del Codice (principi relativi al trattamento di dati relativi a condanne penali e reati).
L’art. 10 del Regolamento (UE) 679/2016 prevede che il trattamento dei dati personali relativi alle condanne penali e ai reati o a connesse misure di sicurezza deve avvenire sotto il controllo dell’autorità pubblica o se il trattamento è autorizzato dal diritto dell’Unione o degli Stati membri, mentre l’art. 2-octies del Codice elenca tassativamente i casi in cui è consentito il trattamento di tali dati sempre previa autorizzazione di una norma di legge o di Regolamento. Il paragrafo 2 dell’art. 12 statuisce inoltre che il trattamento di dati personali idonei a rivelare provvedimenti di cui all’art. 686 commi 1, lettere a) e d), 2 e 3 del codice di procedura penale è ammesso nell’esercizio del diritto di cronaca, secondo i principi di cui all’art. 5.