Alla torsione del diritto per il caso Cospito, oggi si aggiunge la necessità di ribadire ciò che dovrebbe essere palese e chiaro: lo sciopero della fame non è un ricatto, bensì uno strumento di lotta.
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la vita come oggetto politico è stata in un certo qual modo presa allalettera e capovolta contro il sistema che cominciava a controllarla. È la vita, molto più deldiritto, che è diventata allora la posta in gioco delle lotte politiche, anche se queste si formulanoattraverso affermazioni di diritto.
M.Foucault “La volontà di sapere” Ed. Feltrinelli Settembre, 2013
Lunedì 27/03/23 i tribunali di sorveglianza di Milano e di Sassari hanno rigettato la richiesta dei domiciliari per motivi di salute per Alfredo Cospito.
L’avvocato Flavio Rossi Albertini ha dichiarato che “non confidavamo in nessun modo in questa iniziativa” e aggiunge che era necessario anche questo passaggio per rivolgersi alle giurisdizioni internazionali.
Il Comitato per i Diritti Umani dell’ONU si è già pronunciato il 01/03/2023 chiedendo all’Italia di applicare una misura per assicurare il rispetto degli standard internazionali e degli articoli 7 (divieto di tortura e trattamenti o punizioni disumane o degradanti e divieto di sottoposizione, senza libero consenso, a sperimentazioni mediche o scientifiche) e 10 (umanità di trattamento e rispetto della dignità umana di ogni persona privata della libertà personale) del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici.
La decisione di ieri conferma la linea dura di un governo che non ha mai aperto spiragli rispetto a questa vicenda. Le motivazioni del diniego individuano un’accusa verso Alfredo dell’uso strumentale dello sciopero della fame. Ancora una volta i giudici hanno sottolineato quanto sia una situazione di salute “certamente gravemente compromessa […] conseguenza dell’esercizio del suo diritto all’autodeterminazione attraverso il rifiuto, con scelta programmata, volontaria e autonoma, della nutrizione”, negando di fatto non solo la dignità umana della persona dello stesso Alfredo, ma la validità di un metodo di lotta estremo, che nuoce alla salute di chi lo porta avanti e non ad altri.
Come già sollevato sulle colonne de Il Domani da Gianfranco Pellegrino (Professore Associato di Filosofia Politica alla Luiss Giudo Carli), una decisione di questo tipo porta a farsi la domanda se per i giudici si possa curare soltanto chi si è ammalato involontariamente. Pellegrino aggiunge che l’estensione di questa decisione porterebbe ad affermare che un cittadino che si espone volontariamente a pericoli (per esempio, un cittadino che si espone al contagio di un virus) non merita le cure dello Stato.
Alla torsione del diritto ampiamente analizzata da diversi giuristi per il caso Cospito, oggi si aggiunge la necessità di ribadire ciò che dovrebbe essere palese e chiaro: lo sciopero della fame non è un ricatto, bensì uno strumento di lotta. Non sono di questo avviso coloro che hanno deciso un’ulteriore chiusura nei confronti di qualsiasi istanza portata avanti da Alfredo a partire dal 20 ottobre.
La determinazione di Alfredo Cospito ha permesso in questi lunghi 5 mesi di aprire una breccia nel muro invalicabile che nasconde le condizioni dei detenuti e delle detenute al 41 bis. Il suo gesto individuale, ma sempre collettivo per la sua portata, ha scalfito il silenzio e l’isolamento delle persone sottoposte a questo regime di tortura legale.
Non si tratta soltanto di un dispositivo punitivo di cui si sono finalmente evidenziate, anche da una parte del mondo giuridico, le caratteristiche inumane, si tratta di un tipo di vita che nessuna persona potrebbe desiderare.
Molte voci si sono sentite, molte anche distorte e quelle sì strumentali.
La voce di Alfredo è riuscita ad uscire da quei pochi metri di cemento e arrivare a tutte e tutti noi.
Lo sciopero della fame, sostenuto inizialmente da altri detenuti e detenute tra cui Anna Beniamino, co-imputata per l’inchiesta Scripta Manent, e Juan Antonio Sorroche, che si trovano in un regime di alta sicurezza, ha varcato i confini di un mondo attento alle lotte anti-carcerarie e anti-repressive per giungere ad un ambiente più esteso.
Nell’ultima dichiarazione Alfredo ribadisce: “Non ce la faccio ad arrendermi a questa non-vita, è più forte di me, forse perché sono un testone anarchico abruzzese. Non sono certo un martire, i martiri mi fanno un certo ribrezzo”.
Nonostante la sua condizione fisica, non stupisce l’ulteriore conferma di una determinazione lucida per una lotta verso una causa sicuramente ostica, ma importante per chiunque abbia interesse ad analizzare le forme della detenzione negli Stati che si fanno alfieri della democrazia occidentale, considerata superiore a tante altre. Il 41 bis una volta applicato sembra che non possa essere mai messo in discussione, ne sono prova le vicende di Alfredo e quelle di altre persone malate, allettate, anziane che scontano da anni questa condanna.
L’unico cambiamento può avvenire attraverso una volontà politica di cancellare una forma così crudele e senza appello di punizione.
Il corpo è sempre stata la questione da cui si parte per analizzare le istituzioni carcerarie. Il corpo di Alfredo Cospito, provato da una lotta iniziata il 20 ottobre, non viene visto dal sistema penale, viene ancora una volta confinato.
Da fuori non si può che raccogliere queste istanze e chiedere definitivamente la chiusura di tutte le sezioni del 41 bis e l’abolizione dell’ergastolo ostativo.
L’avvocato di Alfredo ha riferito che oltre ai ricorsi che si tenteranno, che difficilmente sono compatibili nei tempi con la situazione di salute al limite di Alfredo, la sua richiesta di 3 settimane fa di poter leggere un libro di Borges è ancora in sospeso.
Di questo stiamo parlando quando parliamo di 41 bis.
Di libri, di idee, di corpi che fanno paura.
Di parole, pensieri e vite che non possono esprimersi.