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L’Italia processa la resistenza palestinese

Il 2 aprile 2025 presso la Corte di Assise dell’Aquila inizierà il processo contro tre palestinesi, Anan Yaeesh detenuto dal gennaio 2024 e Ali Irar e Mansour Doghmosh, attualmente in libertà.

Tutti e tre sono accusati di essere partecipanti ad una associazione con finalità di terrorismo prevista e punita dall’art. 270 bis del codice penale.

E’ una vicenda che finora ha avuto troppo poca attenzione e che invece merita di essere conosciuta e raccontata per sue molteplici implicazioni. Per gli addetti ai lavori è una vicenda che si inserisce nel grave quadro complessivo di smantellamento del diritto internazionale. Per i non addetti ai lavori aggiunge un altro grave tassello alle già troppe, inaccettabili, complicità dello stato italiano con lo stato d’Israele.

In generale rappresenta un altro brutto esempio di diritto asservito alle esigenze politiche degli Stati.

Abbiamo intervistato l’Avvocato Flavio Rossi Albertini del Foro di Roma, che fa parte del Collegio di difesa e che ringraziamo. Con lui proviamo brevemente a segnalare gli aspetti inquietanti del processo che si aprirà all’Aquila.

  • Ci puoi riassumere le tappe fondamentali della vicenda processuale?

Il primo aspetto da osservare con attenzione sono le date.Anan Yaeesh viene tratto in arresto inizialmente il 27 gennaio 2024. Si tratta di un arresto provvisorio a fini estradizionali a seguito di una richiesta d’estradizione avanzata da Israele. La richiesta di estradizione viene accolta benevolmente dal Ministro della Giustizia che la inoltra alla Corte d’Appello, tramite il Procuratore Generale. La Corte d’ Appello decide di disporre la custodia cautelare in carcere di Anan in vista della sua estradizione in Israele.

  • Di cosa è accusato da parte dello stato d’Israele Anan Yaeesh?

Di essere un membro attivo della resistenza palestinese in Cisgiordania, in particolare nella città di Tulkarem da cui lui proviene

  • Cosa è successo dopo l’arresto di Anan Yaessh?

La difesa ha provveduto a depositare istanza di revoca significando alla Corte d’appello che, ai sensi dell’art. 705, co. 2, lettere a) e c) c.p.p, non era possibile estradarlo perchè è notorio che Israele sottopone i prigionieri palestinesi a trattamenti inumani e degradanti, a vere e proprie pratiche di tortura. Numerosi rapporti sia di organizzazioni internazionali come Amnesty International e Human Right Watch sia di organizzazioni di difesa dei diritti umani israeliane come B’Tselem e palestinesi come Addameer confermano i maltrattamenti sistematici compiuti dalle forze di sicurezza israeliane nei confronti dei palestinesi.

La Corte d’Appello dell’Aquila decide in data 13 marzo 2024 di accogliere l’istanza presentata dalla difesa mettendo nero su bianco che Anan Yaeesh non può essere estradato in Israele perchè è fondato il timore che possa essere sottoposto a maltrattamenti e torture e ne ordina la immediata liberazione.

L’istanza difensiva era rimasta giacente nelle stanze della Cancelleria della Corte d’Appello per oltre 10 giorni, questa è la tempistica che ha impiegato la Corte d’Appello per fissare la Camera di Consiglio necessaria a decidere sulla richiesta. La procedura estradizionale si differenzia infatti dalle ordinarie regole processi normali, in cui il giudice decide con una tempistica ben più rapida, acquisendo entro 48 ore il parere scritto del Pubblico Ministero.

Nelle more della decisione della Corte di Appello la Procura della Repubblica dell’Aquila si attivava per agire in autonomia e due giorni prima della fissazione dell’udienza, l’11 marzo 2024, otteneva dal GIP l’emissione di una misura cautelare in carcere nei confronti di Anan Yaeesh e di altri suoi due amici. Si tratta di due ragazzi palestinesi anch’essi rifugiati politici residenti a l’Aquila, Ali Irar e Mansour Doghmosh, coinvolti nell’indagine italiana soltanto perché palestinesi e amici di Yaeesh. Per tutti e tre è scattata la carcerazione ai sensi dell’art 270 bis c.p..

Per la Polizia e l’Autorità Giudiziaria italiana, Anan Yaeesh più che un resistente e un partigiano palestinese sarebbe in realtà un pericoloso terrorista.

Capite bene come le date siano importanti per capire cosa è successo e svelare il ruolo di supplenza dell’Autorità Giudiziaria italiana.

  • L’autorità giudiziaria italiana ha preso il posto di quella israeliana nella persecuzione contro Anan Yaesh?

Siccome non era possibile estradarlo in considerazione di tutto ciò che notoriamente avviene in Israele a sfavore dei palestinesi, l’autorità giudiziaria italiana ha deciso motu proprio di detenere Anan e di arrestare anche due suoi amici. Per fortuna Ali Irar e Mansour Doghmosh, dopo 6 mesi di carcere sono stati rilasciati in quanto la Corte di cassazione ha deciso di annullare la misura cautelare a loro carico.

I due amici di Anan sono stati arrestati al solo verosimile fine di mascherare la sovrapponibilità dell’iniziativa giudiziaria italiana a quella israeliana, le reali ragioni dell’indagine con la quale l’Italia ha inteso sostituire Israele nella repressione della resistenza palestinese incarnata in Italia da Yaeesh. E’ emerso infatti dalla documentazione depositata nel fascicolo del PM, il ruolo svolto da Anan a sostegno della lotta di liberazione del suo popolo, in particolar del lavoro delle Brigate di Resistenza e di Risposta Rapida presenti a Tulkarem ed in altre città, tra cui la Brigata Jenin e altre ancora assurte anche agli onori della cronaca negli ultimi mesi.

  • E’ normale che una autorità giudiziaria italiana spicchi un mandato di cattura, apra un procedimento per attività di terrorismo svolta in un altro paese, all’estero, senza che ci sia alcuna connessione con reati commessi in Italia?

Non è proprio così usuale e lo si vede anche dalle cronache giudiziarie.

In questo caso c’è un rapporto di stretta vicinanza, di cointeressenza dello stato italiano nei confronti dell’alleato israeliano. Sappiamo perfettamente quali sono i rapporti commerciali tra i due stati. La collocazione geopolitica dell’Italia. Sappiamo inoltre che l’Italia nell’anno e mezzo in cui si è consumato un genocidio a Gaza ha proseguito a sostenere le ragioni di Israele a dispetto di tutto ciò che avveniva sotto i nostri occhi. Dentro questo quadro d’insieme più politico che giudiziario si possono comprendere le ragioni per cui l’Autorità giudiziaria si sia prestata a questa operazione.

  • Stiamo perciò parlando di una pratica inusuale che deve preoccupare tanto più se iscritta in un clima che sembra unire il piano giudiziario a quello politico?

Come dicevo quello che è successo non è una pratica usuale, soprattutto nel momento in cui il soggetto arrestato appartiene al popolo vittima di un genocidio da parte di una potenza coloniale e quest’ultima ne richiede la consegna ottenendo prima il beneplacito politico del Ministro della Giustizia e poi la supplenza dell’autorità giudiziaria dello stato richiesto nella sua repressione.

Con questa indagine l’Italia si è schierata nei confronti del più forte contro il più debole, ossia dalla parte di chi è privo di alcuna legittimità invece di appoggiare e sostenere chi lotta per il diritto alla propria liberazione.

Dal punto di vista del diritto internazionale, infatti, le ragioni volgono a sostegno della causa palestinese e non di quella israeliana. Questo ovviamente se ci fosse ancora un diritto internazionale valido, visto che eminenti professori di diritto internazionale ne hanno espressamente dichiarato la morte con la perpetrazione del genocidio a Gaza. In ogni caso, che sia messo quantomeno in crisi lo possiamo vedere anche con l’asimettria, la differenza, di atteggiamento dei paesi occidentali nei confronti della guerra in Ucraina e del genocidio in Palestinesa.

  • Soffermiamoci sull’uso dell art. 270 bis, che troppe volte in Italia abbiamo visto adoperare in maniera creativamente estesa contro le opposizioni sociali. Quali possono essere le ragioni alla base del fatto che venga usato dalle autorità giudiziarie italiane contro Anan Yaeesh e di conseguenza contro l’intera resistenza palestinese?

In primo luogo l’utilizzo della incriminazione per partecipazione ad associazione terroristica è stata necessaria per radicare la giurisdizione italiana.

Il perimetro applicativo dell’art. 270 bis è stato infatti ampliato a partire dall’attentato alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001 con l’inserimento nell’ottobre dello stesso anno dell’attuale terzo comma che prevede la possibilità di reprimere in Italia fatti di terrorismo anche quando sono commessi nei confronti di uno stato estero o di una organizzazione internazionale. In questo caso lo stato estero è Israele.

Sostanzialmente tutta l’indagine è pervasa e penetrata da una valutazione sempre sfavorevole ai palestinesi. Ogni azione armata condotta dai palestinesi è per l’autorità giudiziaria italiana sempre riconducibile alla categoria del terrorismo, come se non esistesse un diritto per i palestinesi a liberarsi, anche con il ricorso alla lotta armata, dal giogo dell’occupazione.

Fin quando la difesa non ha potuto apportare degli elementi di critica giuridica, in tutta l’indagine ogni arma vista, immortalata o comunque evocata veniva immediatamente ricondotta all’immaginario delle cellule jihadiste in Europa, come se la brigata Tulkarem si identificasse con gli attentatori del Bataclan. Tutto il piano era completamente decontestualizzato non solo dal punto di vista storico ma anche giuridico. Quando la difesa ha ricondotto il ragionamento nel suo alveo naturale e quindi al sistema giuridico applicabile al conflitto israelo-palestinese, a quel punto l’autorità giudiziaria è andata alla ricerca spasmodica di qualche azione che fosse riconducibile anche per il diritto internazionale ad un reato di terrorismo.

  • Puoi spiegare meglio questo passaggio?

E’ stata valorizzata la Convenzione di New York del 1999, volta sostanzialmente a reprimere il finanziamento delle attività terroristiche, ratificata in Italia con legge nel 2003, che stabilisce un limite al diritto all’autodeterminazione dei popoli.

Il concetto che vi si stabilisce è che in un contesto bellico c’è differenza quando i soggetti colpiti non siano militari, ovvero militari che partecipano all’occupazione, ma bensì persone riconducibili alla categoria dei civili, non partecipanti alle operazioni militari. In questo caso le azioni compiute contro questi soggetti rientrerebbero nella categoria del terrorismo e non sarebbero più scriminate come atto di resistenza legittima.

Nel caso di questo processo, essendo avvenuti i fatti esclusivamente nei territori della Cisgiordania occupata, gli unici civili presenti sono rappresentati dai coloni israeliani.

In ragione di ciò, vi è stata una ricerca spasmodica da parte dell’autorità giudiziaria italiana per individuare qualche attentato riconducibile alle Brigate di Risposta Rapida di Tulkarem compiuto contro insediamenti di coloni.

Tuttavia, anche in ragione del fatto che l’Italia sta procedendo a migliaia di chilometri di distanza dai luoghi nei quali si sono svolti i fatti, ciò che è emerso, nonostante i mesi di indagini, è che non è nemmeno chiaro se vi sia mai stato un attentato che abbia queste connotazioni ovvero se sia stato mai commesso alcun attentato contro una colonia israeliana.

Al contrario, ciò che emerge pacificamente dalle indagini, è che decine e decine di ragazzi palestinesi, tutti uccisi sistematicamente dalle forze armate israeliane, hanno tentato in mille modi di ribellarsi all’occupazione militare combattendo contro l’esercito israeliano, incarnando il più fulgido esempio di lotta per l’indipendenza e per l’autodeterminazione, di lotta di liberazione nazionale.

  • Il 26 febbraio 2025 si è svolta l’udienza preliminare, c’è stato il rinvio a giudizio. Il 2 aprile 2025 innanzi alla Corte d Assise dell’Aquila inizierà il processo con Anan Yaeesh ancora in carcere.  Cosa pensi sia importante fare per amplificare le contraddizioni di questa vicenda così emblematica?

E’ importante che il processo veda una ampia partecipazione di pubblico, per far capire che quello che succederà nell’aula non resterà chiuso in quattro mura isolate dal mondo.

E’ da auspicare che il processo sia seguito dai media italiani ed internazionali e che la gravità di questa iniziativa giudiziaria sia pubblicamente raccontata.

L’intera vicenda si inserisce in una pericolosa deriva, ben esemplificata dall’oltraggio costante del diritto internazionale messo in pratica con l’attacco alle Corti Internazionali, alle loro decisioni, al tentativo di contenere le prevaricazioni dei forti sui deboli.

Per tutti questi motivi non possiamo far passare sotto silenzio questo processo che si inserisce in un arretramento complessivo del diritto in favore dell’affermazione della legge del più forte, della legge della giungla.

(intervista a cura dei Giuristi Democratici)

Di seguito la Dichiarazione spontanea di Anan Yaeesh ex art 421 cpp in Aula

Dal carcere di Terni dichiarazione di Anan Yaeesh

 

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