Le università indiane sono uno dei centri della mobilitazione contro l’autoritarismo e la discriminazione etnica, religiosa e castale condotta dal governo Modi e intensificata in questa tornata elettorale
di Maurilio Pirone da DINAMOpress
We agree that the primary purpose for a student is to gain an education; they should direct all their energies to it, but is it not a part of education to develop the capacity to reflect upon the conditions in the country and think of ways to improve it? If not, the we consider such education useless, which should be acquired only to get a clerical job. What is the use of such education? Some over-cleaver people say: ‘Kaka [young boy], you may certainly study and think about politics, but don’t take any practical part in it. You will prove to be more beneficial to your nation by getting greater competence.
Students and politics, 1928
Bhagat Singh
Stando al report annuale dell’istituto svedese V-Dem, quando si parla di India non si può più parlare della più grande democrazia del mondo ma di un regime di autocrazia elettorale, dove le elezioni avvengono regolarmente ma l’insieme di diritti costituzionali e libertà democratiche non è garantito. Negli ultimi dieci anni di governo Modi, restrizione degli spazi di libertà d’espressione, violenze etniche contro le minoranze, corruzione, uso discrezionale della legge per sospendere diritti costituzionali e violenze della polizia sono aumentate esponenzialmente. La componente universitaria non è stata esente da questo avvitamento autoritario, riflettendo e amplificando al proprio interno le dinamiche presenti nella società tutta. Jesse Lewine, avvocato di Scholars at Risk, ha dichiarato a riguardo: «La libertà d’espressione in Università e il libero scambio di idee rappresentano un ostacolo per un’ortodossia governativa sempre più forte, per questo le Università, la comunità accademica e gli studenti sono diventati il loro bersaglio primario».
La struttura dell’Università
Il sistema universitario indiano si divide in università pubbliche – centrali e statali – e università private. L’ammissione alle facoltà degli atenei pubblici avviene per test d’ingresso e valutazione dei risultati del test di completamento dell’ultimo anno delle scuole superiori, mentre per entrare negli atenei privati è sufficiente pagare una lauta retta. Tra università centrali – di buon livello – e università statali c’è una sostanziale differenza nella formazione, accentuata dalla sproporzione dei finanziamenti ricevuti a danno delle università più piccole. Come riportato da Newsclick, «nonostante l’aumento del tasso di iscrizione, non abbiamo raggiunto i livelli dei Paesi europei e degli Stati Uniti perché la spesa pubblica nella formazione è rimasta stagnante rispetto alla crescita del PIL». Il primo dato strutturale che emerge è quello del sottofinanziamento dell’Università da parte dello Stato, le cui conseguenze vanno a cascata su docenti e studenti.
Altre differenze si hanno nella scelta dell’università da frequentare tenendo in considerazione la distanza dal luogo dove si è cresciuti, le spese da affrontare per vivere nelle residenze universitarie e il tipo di facoltà che possa dare maggiori possibilità d’accesso a un lavoro ben retribuito – quindi medicina, scienze e ingegneria. Stando ai dati del 2023, si sono registrate oltre 300mila registrazioni ai test d’ingresso per 1000 posti in totale per l’accesso ai 16 istituti dell’All India Institute for Medical Sciences; oltre 1,11 milioni di registrati ai test per meno di 25mila posti nei 23 istituti dell’India Institute of Technology. Il sistema d’ingresso molto selettivo porta a deviare la scelta verso atenei meno rinomati o al suicidio: tra il 2019 e il 2021 sono oltre 35mila gli studenti a essersi suicidati, mentre, nel solo 2022 in 2mila si sono tolti la vita dopo aver fallito il test d’ingresso all’Università.
Inoltre, le previsioni di riserva di posti nelle 54 Università centrali per studenti sottocasta – 15% dei posti –, appartenenti a comunità tribali riconosciute – 7,5% dei posti – e altre caste svantaggiate – 27% – spesso non bastano per colmare i divari pre-esistenti e garantire efficacia reale al diritto allo studio. Questi elementi, uniti allo stigma ed all’inazione degli organi universitari, secondo N. Sukumar, professore della Delhi University, portano al rifiuto di riconoscere i «pregiudizi di casta nei campus perché se le Università iniziano a considerarli sono poi costretti a fare qualcosa contro le discriminazioni e a implementare delle politiche interne».
Le politiche governative
Il cambiamento passa anche dal punto di vista istituzionale. Un limite strutturale alla libertà accademica è determinato dalla scelta del Governo centrale di nazionalizzare la cultura, attraverso direttive governative annuali in materia di istruzione passate sotto il nome di New Education Policy. Tra le misure previste ci sono lo sviluppo di conoscenze olistiche, la definizione dei docenti come mentori, pur tenendo questi in posizioni precarie e con difficoltà negli avanzamenti di carriera, e un cambiamento dei programmi di studio, rivolgendo l’attenzione in modo selettivo a tematiche volte a rafforzare un nazionalismo culturale hindu-centrico.
Ne è un esempio la riscrittura dei libri scolastici, attuata a mezzo commissione universitaria costituita dal Governo. Nei testi si definiscono i Mughal – governatori dell’India tra il XVI e il XVII secolo – come oppressori islamici; sono cancellati i riferimenti di filiazione di Godse – l’assassino di Gandhi – all’organizzazione hindu-nazionalista di destra Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS, di cui è il BJP è braccio politico elettorale) e i riferimenti ai pogrom contro i musulmani avvenuti nel 2002 in Gujarat, stato di cui allora Modi era presidente, sono vaghi e frammentari.
Le minoranze musulmane e kashmire – la cui repressione è stata legittimata attraverso innumerevoli strumenti legali negli ultimi anni – sono state sostanzialmente marginalizzate attraverso l’uso di strumenti indiretti di negazione del diritto allo studio. In Kashmir, in seguito all’abrogazione dell’Art. 370 della costituzione che garantiva allo Stato autonomia decisionale su innumerevoli materie, dal 2019 Università e campus sono soggetti a chiusure arbitrarie. A questo si aggiungono le continue interruzioni delle linee elettriche e telematiche, essenziali per attività di studio e ricerca – 308 giorni di shutdown delle linee telematiche dal 2019 e la linea 4G è stata ripristinata solo nel febbraio 2021. Simile sorte sta toccando agli studenti del Manipur – Stato nel Nord-Est dell’India, al confine con il Myanmar – dove è in corso una guerra civile tra etnie hindu (Meitei) e cristiane (Kuki). Non esiste diritto alla formazione sotto un’occupazione militare o in guerra civile.
Diversa è la vicenda della Aligarh Muslim University (AMU), il cui status di Università dedicata alle minoranze islamiche garantito dall’Art. 30 della Costituzione – per cui le minoranze linguistiche e religiose possono fondare e amministrare da sé le proprie istituzioni formative – è sotto il tiro della destra hinduista da vari anni. Il 1 febbraio, 7 giudici della corte suprema hanno terminato le audizioni per la cancellazione dello status di istituzione formativa per le minoranze della AMU promossa da gruppi della destra hindu-nazionalista e dal Governo a guida BJP. Il giudizio sarà espresso nei prossimi mesi.
Le mobilitazioni studentesche
Le Università indiane sono un campo di battaglia. Nei campus principali del subcontinente, gli studenti sono in continua mobilitazione su tematiche come il sottofinanziamento degli atenei, la sottorappresentazione delle minoranze etniche, la creazione di istituti di alta formazione a cui vengono dirottati ingenti somme di denaro pubblico, l’opposizione alla destra hinduista insediatasi all’interno delle Università con gruppi organizzati, e la solidarietà internazionalista con le popolazioni sotto il giogo coloniale delle potenze imperialiste. A queste mobilitazioni è seguita immediatamente la repressione.
Il ciclo di mobilitazione apertosi nelle università indiane in concomitanza all’approvazione della nuova legge sulla cittadinanza Citizenship Amendement Act (CAA) ha riportato gli studenti ad essere protagonisti dell’opposizione politica al governo. Negli atenei della capitale Delhi, i giorni di dicembre 2019 sono ancora impressi nella memoria collettiva, sia per il portato politico dato al movimento generale che per i segni della brutale repressione arrivata fino alle biblioteche della Jamia Millia Islamia, alla Jawaharlal Nehru University, Delhi University e alla Aligarh Muslim University.
I segni della mobilitazione hanno mutato la vita delle persone che l’hanno attraversata: Umar Khalid, ex-rappresentante degli studenti della Jawaharlal Nehru University e attivo nell’associazione United Against Hate, è in carcere da più di 1300 giorni senza che vi sia un processo aperto a suo carico; Safoora Zargar, studentessa della Jamia Millia Islamia incarcerata mentre era incinta per aver partecipato alle proteste. è stata espulsa dall’Università mesi dopo le mobilitazioni; Sharjeel Usmani, studente della Aligarh Muslim University, incarcerato per due mesi a causa della sua partecipazione alle proteste resta sotto indagine per i propri discorsi. Questi sono solo alcuni dei nomi più ricorrenti fra i condannati per aver preso parte alle proteste.
Il ciclo di mobilitazione partito a fine 2019, nonostante la pausa forzata del lockdown, non si è mai interrotto. Nell’ultimo mese si sono susseguite le mobilitazioni per l’abrogazione della nuova legge di cittadinanza – implementata con direttive esecutive solo nel mese di marzo – e sono ripresi gli arresti sommari degli attivisti.
Allargando il fuoco, si nota come la repressione coinvolga molteplici ambiti della vita studentesca: eventi come le proiezioni del documentario della BBC The Modi’s Question – in cui si ripercorre l’ascesa dell’attuale primo ministro – sono state vietati in varie Università con la motivazione di essere iniziative anti-nazionali. 24 studenti della Delhi University e 11 iscritti alla Central University of Rajasthan sono stati arrestati per aver visto e promosso la visione di quel documentario. Non solo, sotto gli occhi degli inquirenti vi sono anche le manifestazioni in solidarietà al popolo palestinese. Il 23 ottobre, oltre 200 studenti della Jawaharlal Nehru University, Jamia Millia Islamia e Delhi University, sono stati arrestati mentre cercavano di portare la loro voce nei pressi dell’ambasciata israeliana. Tali iniziative internazionaliste hanno lo stesso trattamento anche all’interno dei campus universitari.
Ad accompagnare l’azione delle forze dell’ordine ci sono i gruppi universitari della destra hindu-nazionalista raccolti sotto l’organizzazione Akhil Bharatiya Vidyarthi Parishad /ABVP, affiliata e finanziata dalla RSS). Dall’insediamento del Governo del BJP nel 2014, i casi di violenza organizzata nei confronti di studenti musulmani, dalit e affiliati ad associazioni di sinistra sono aumentati quantitativamente e qualitativamente. Il caso dell’aggressione ai limiti del linciaggio di 75 studenti internazionali provenienti da paesi africani, Afghanistan e Sri Lanka all’Università del Gujarat del 16 marzo di quest’anno è esemplificativo del modo d’agire di questi gruppi. Quella sera, gli studenti musulmani sono stati assaltati da un gruppo di 20-25 studenti a volto coperto durante il namaz. Gli assalitori hanno distrutto le loro proprietà, fatto irruzione nelle camere e percosso gli studenti musulmani, rei di festeggiare il Ramadan. A questo esempio si potrebbero aggiungere i casi degli attacchi della ABVP a studenti di sinistra alla JNU, all’Università di Hydrebad, di Gokharpur e l’elenco potrebbe continuare ancora per molto. Tra i nessi che tengono assieme questi attacchi vi sono l’impunità degli assalitori davanti alla legge, il continuo perseguimento delle minoranze etniche, e la volontà di spazzare via con la forza organizzazioni politiche antagoniste in assenza di legittimità sociale all’interno degli atenei. In ultimo, è doveroso ricordare il silenzio degli esponenti della destra di Governo davanti a questi casi: mai il BJP ha proferito parola contro questi atti.
Il caso della Jawaharlal Nehru University
La Jawaharlal Nehru University di Delhi è uno dei casi più interessanti di resistenza generalizzata al nazionalismo culturale hindu-nazionalista. L’Università, fondata nel 1969, è stata fin da subito laboratorio politico da parte dei giovani di sinistra, infatti, tra i suoi primi rappresentanti eletti nel 1974 si registra una “prima generazione arrivata di militanti di sinistra arrivati dalla Gran Bretagna dove avevano acquisito coscienza politica da avanguardie di sinistra”. Nel corso degli anni, associazioni studentesche legate ai partiti della sinistra comunista, hanno acquisito egemonia nell’ateneo grazie a uno strenuo lavoro politico mirato all’inclusione degli studenti emarginati – in particolare nei confronti di dalit e minoranze religiose – all’interno dell’Università, e a una continua mobilitazione politica su temi di portata generale; battaglie il cui successo è stato possibile grazie al doppio lavoro nei movimenti e nelle sedi istituzionali. Il risultato delle attività ha portato continue vittorie nelle elezioni degli organi di rappresentanza studentesca – JNUSU, JNU Student Union –, interrotte solo con le sconfitte del 1991 e del 2000 – anno in cui le elezioni sono state vinte dall’ABVP.
Dal 2014 il contesto politico nell’ateneo è drasticamente cambiato. Con il successo elettorale del BJP, la JNU è passata sotto le lenti del Governo in quanto istituzione progressista e con una comunità studentesca di sinistra-comunista. Nel 2016, il governo ha nominato Jagadesh Kumar alla carica di Vice-Chancellor. Il suo ruolo è stato cruciale nello sdoganare l’agenda politica della RSS in Università in molteplici modi: dall’invito al santone Sri Ravi Shankar per tenere la prestigiosa Nehru Memorial Lecture, alla promessa di mettere un carrarmato nel campus per instillare negli studenti valori patriottici. Kumar è stato ampiamente criticato negli anni da parte di docenti e studenti. L’associazione dei docenti della JNU – JNUTA – accusa Kumar di aver ripetutamente negato loro diritto di parola all’interno delle sedute degli organi deliberativi, di convocare riunioni decisionali senza adeguato preavviso e avanzamenti di carriera selettivi. Per quello che riguarda la controparte studentesca, sono più i divieti di manifestazione nelle aree amministrative del campus e i silenzi sulle violenze subite dagli studenti ad aver fatto rumore durante il suo mandato. La nomina di Santishree D Pandit a nuovo Vice-Chancellor nel 2022 non ha segnato alcun tipo di discontinuità.
Ciò che resta di continuo è il grado di attivazione degli studenti. L’attivazione dal basso e attraverso organizzazioni studentesche attive nel campus in molteplici modalità: discorsi nelle mense, manifestazioni nei campus, marce notturne, sit-in a oltranza, fiaccolate, ecc. – pratiche che portano gli studenti a diventare dei militanti a tempo pieno, soprattutto nel periodo delle elezioni studentesche per il rinnovo della JNUSU. In questa fase assumono notevole rilievo i discorsi dei candidati alle cariche di rappresentanza, poiché la sfida elettorale tra le associazioni è molto sentita dai circa 8000 studenti della JNU. In passato, questa pratica aveva ancor più rilevanza data la competizione quasi chiusa tra le sole associazioni di sinistra e comuniste; oggi, pur conservando le proprie specificità, la sinistra comunista si ritrova compatta nella coalizione della United Left comprendente Students Federation of India, All India Students Association, All India Students Federation e dal 2016 la Democratic Students Federation, coalizione fatta per evitare la frammentazione di voti che lascerebbe campo libero alla destra hindu-nazionalista.
Il caso delle elezioni alla Jnusu
Dopo quattro anni di fermo del rinnovo delle cariche della JNUSU, il 22 marzo si sono tenute le elezioni studentesche nell’ateneo indiano. Il clima politico all’interno dell’ateneo è molto teso. Nelle settimane precedenti le elezioni, gli studenti del fronte della sinistra unita si sono trovati a fronteggiare l’ABVP in una competizione impari per risorse economiche a disposizione e agibilità politica data dall’amministrazione. Ci si accorge di questo divario passeggiando per la città dove molti muri riportano la sigla dell’organizzazione di destra hindu-nazionalista, nel campus col cancello principale adornato con bandiere e banner della sola ABVP, e nei muri esterni dei campus tappezzati di manifesti della stessa organizzazione. Data la sproporzione di mezzi economici, la sinistra unita ha puntato sulla mobilitazione continua: discorsi pubblici nelle aule, pranzi comunitari, discussioni attorno all’accessibilità del campus, lotta alla violenza di genere e solidarietà internazionalista sono stati parte della strategia usata dagli studenti di sinistra per affrontare la tornata elettorale.
La campagna elettorale si è chiusa il 20 marzo con una doppia manifestazione notturna nel campus, con da una parte l’ABVP e dall’altra la fiaccolata notturna della sinistra unita. Oltre duemila studenti hanno partecipato a quest’ultimo corteo, sfilando dietro i quattro candidati ed intonando cori inneggianti alla giustizia sociale e alla solidarietà internazionalista. Un corteo rumoroso che si è chiuso con gli interventi dei candidati.
Poche ore prima del voto, l’ABVP ha consegnato all’amministrazione un documento per escludere dalla competizione elettorale la candidata Swati Singh appartenente alla Democratic Students Federation, causando scompiglio nelle prime ore di voto dato che sulle schede era ancora presente il suo nome. La mossa non ha pagato. La sinistra unita ha invitato tempestivamente la comunità studentesca a votare per Priyanshi Arya della Birsa Ambedkar Phule Students Association – BAPSA, organizzazione che si batte per l’inclusione sociale di dalit (intoccabili) e minoranze – per evitare di lasciare il posto di segretario generale al candidato dell’ABVP. Allo scrutinio del 25 marzo, la sinistra unita ha vinto in modo schiacciante le elezioni, riportando una donna dalit alla segreteria generale dopo 20 anni. Avjit Ghosh, segretario della Students Federation of India e neoeletto vice presidente della JNUSU, ha dichiarato in seguito alla vittoria: «le elezioni hanno portato a un risultato storico. La JNU ha sempre lottato per i diritti degli studenti e continuerà a farlo. La lotta contro le violenze etniche continuerà. Il cambiamento che vogliamo portare è questo: se qualcuno parlerà male della JNU, l’università risponderà con fermezza. La lotta contro la privatizzazione e le scarse risorse continuerà senza sosta».