Ilaria in carcere da quasi un anno e Gabriele a rischio estradizione. Tra pochi giorni l’inizio del processo e la decisione sull’estradizione
L’estrema-destra europea, con il crollo del socialismo reale all’Est, ha iniziato a celebrare, tra le tante aberrazioni, il cosiddetto “Giorno dell’onore” (sic) in Ungheria. Si tratta di un episodio minore avvenuto nel febbraio del 1945 durante il sanguinoso assedio di Budapest da parte dell’Armata Rossa che stava ormai dilagando verso Berlino e Vienna (va ricordato che l’Ungheria, come del resto l’Italia fascista, furono alleati del Terzo Reich nazista). La celebrazione riguarda il tentativo di rompere l’accerchiamento sovietico da parte di alcune migliaia di soldati tedeschi e ungheresi finito nel sangue. Il neonazismo continentale su questi episodi ha costruito una sua narrazione mitologica “della difesa eroica e disperata dell’ultima trincea dell’Europa bianca e cristiana nei confronti dell’orda mongola e bolscevica alleata del giudaismo internazionale”. Farneticazioni simili valgono anche per la battaglia di Berlino che, all’epoca era difesa anche da quel che restava dei reparti delle Waffen-SS straniere di cui si cita spesso la Charlemagne. Negli anni però, ha iniziato a crescere una contromobilitazione antifascista che ha ribaltato in qualche modo i rapporti di forza che nell’Ungheria di destra di Orban permettevano ai nazisti di sfilare in tranquillità e tracotanza rendendosi responsabili di diverse aggressioni sicuri della propria impunità.
A febbraio 2023, nonostante i parziali divieti da parte delle autorità magiare, centinaia di neonazisti sono nuovamente sfilato per ricordare l’episodio contrastati in questo da circa 150 antifascist*. Durante le giornate del raduno nazista ci sono state alcune aggressioni nei confronti di alcuni militanti di estrema-destra. Per quegli episodi, due militanti antifascisti: Ilaria e Tobias sono in carcere in condizioni molto dure da ormai quasi un anno.
Le autorità ungheresi oltre a contestare le lesioni che avrebbero rischiato di cagionare la morte dei neonazisti (veramente difficile pensando che la prognosi massima delle parti lese è di 8 giorni!) hanno pensato bene, come da italica tradizione, di contestare il reato associativo. Per queste accuse la pena massima prevista è di 16 anni. L’accusa, che aveva chiesto di patteggiare una condanna a 11 anni (!), ha poi chiesto 11 anni per Ilaria e 3,5 per Tobias e un altra compagna. La magistratura ungherese ha chiuso l’inchiesta su questa vicenda emettendo un mandato di cattura europeo per diverse persone tra cui Gabriele, arrestato a Milano nella notte tra il 20 e il 21 novembre e Maja, detenuta in Germania in attesa che la sua estradizione sia discussa.
E proprio le autorità tedesche giocano un ruolo di primo piano nella costruzione di quest’indagine. Dagli scontri durante la dura contestazione al G20 di Amburgo nell’estate 2017 in Germania è in corso una stratta repressiva contro i gruppi di sinistra di movimento con continue indagini, perquisizioni e arresti. Magistratura e polizia tedesca hanno quindi offerto un non disinteressato supporto a quelle ungheresi in questa vicenda.
Per quanto riguarda la posizione di Gabriele, la Procura di Milano ha negato l’estradizione mentre la Corte d’Appello dovrà decidere il 16 gennaio. La magistratura milanese, oltre a valutare il mandato di cattura piuttosto fumoso non ha potuto non notare la sproporzione sia dell’accusa che parla di “atti potenzialmente idonei a provocare la morte” quando, come già detto, la prognosi massima delle parti lese è di 8 giorni sia della pena massima prevista ovvero 16 anni quando per reati simili in Italia si procede solo con denuncia di parte e la pena massima prevista è sotto i 5 anni. Sembra in qualche modo di assistere al ripetersi, a parti invertite, di un’altra vicenda dove era presente sulla scena, pesante come un macigno, il famigerato mandato di cattura europeo, ovvero quando, dopo il Primo Maggio NoExpo 2015 la Procura di Milano chiese l’estradizione di alcuni militanti greci per il reato di devastazione e saccheggio. Arrestati nel paese ellenico, gli indagati greci non furono estradati per l’eccessiva pesantezza del reato contestato che non trovava alcun riscontro nell’ordinamento greco.
Per quel che concerne le condizioni detentive di Ilaria va ricordato che l’Ungheria è stata spesso sotto accusa per il suo sistema carcerario. Come scriveva Radio Onda d’Urto in un articolo sulla situazione di alcune settimane fa:
“In una lettera scritta ai propri legali, Ilaria denuncia una situazione da incubo: detenuti al “guinzaglio”, obbligo di guardare il muro durante le soste nei corridoi, “malnutrizione”, scarafaggi, topi e cimici “nelle celle e nei corridoi”, “una sola ora di aria al giorno”. Per più di 6 mesi Ilaria non ha “potuto comunicare con la famiglia”, mentre durante l’unico interrogatorio, avvenuto senza avvocato, è stata umiliata pubblicamente, costretta “a indossare vestiti sporchi, malconci e puzzolenti”.
Il Governo Meloni, politicamente molto vicino a Orban, fino ad ora non ha mosso un dito. Dal Ministro della Giustizia Nordio, il “garantista a giorni alterni”, arriva un silenzio imbarazzante. Il tutto nonostante una decina di giorni fa ventidue garanti dei detenuti italiani abbiano scritto una lettera sollecitando un intervento istituzionale.
L’inizio del processo a Budapest è previsto per fine gennaio, nel frattempo, in Italia si sta organizzando una rete di solidarietà che ha lanciato un corteo a Milano per il 13 di questo mese. Prevista per il 7 gennaio un’assemblea organizzativa a ZAM, in via Sant’Abbondio 4.
Osservatorio Repressione è una Aps-Ets totalmente autofinanziata. Puoi sostenerci donando il tuo 5×1000
News, aggiornamenti e approfondimenti sul canale telegram e canale WhatsApp