I sei feriti sono tutti migranti, sono stati fatti bersaglio dei colpi esplosi da un’automobile scura. Arrestato un giovane trovato in possesso di una pistola che ha ammesso le proprie responsabilità. Prima era andato al monumento ai caduti per fare il saluto fascista
I primi colpi sono stati esplosi alle 11,10 in via dei Velini: i proiettili sono stati indirizzati verso due giovani immigrati, uno è stato colpito e l’altro è riuscito a fuggire. Un altro immigrato il bersaglio dei proiettili esplosi lungo il Corso Cairoli e una donna di origini africane sarebbe stata ferita in una sparatoria segnalata in stazione. Secondo fonti locali altre sparatorie sarebbero avvenute in via Piave e via Pancalducci. In totale sono sei le persone ferite, tutte di colore: quattro verserebbero in gravi condizioni.
Si tratta di zone non lontane dal quartiere della città in cui si è consumato il delitto di Pamela Mastropietro. Le modalità adottate dagli aggressori lascerebbero pensare a una gravissima azione a sfondo razzista: smentite, infatti, le prime voci che a premere il grilletto sarebbero stati immigrati.
Il sindaco di Macerata ha commentato quanto accaduto a Fanpage: “Sono tutte persone di colore ferite, sei persone. Cinque uomini e una donna dalle ultime notizie. Il responsabile è stato catturato e poi sono state riaperte le scuole. Abbiamo avvertito la popolazione. Una mattinata incredibile per una città come Macerata, hanno sparato in varie zone e abbiamo avvertito tutti i cittadini. Legame con caso di Pamela? C’è un forte sospetto che ci sia un collegamento perché è strano che vengano colpite sei persone a pochi giorni dall’omicidio, occorre che le persone lascino a casa l’odio. I social diventano un vomitatoio dove la violenza viene alimentata. Bisogna riflettere, è successa una cosa inaudita, non è semplice poi fermare la spirale dell’odio”.
La foto dell’uomo che ha sparato contro i migranti: dopo aver colpito ha fatto il saluto fascista
Quando l’hanno fermato era sotto al monumento ai caduti di piazza della Vittoria, con il braccio destro teso per un saluto romano e un tricolore sulle spalle. Ha gridato «Viva l’Italia» e poi si è consegnato ai carabinieri, ammettendo di essere stato lui ad aver seminato il panico per tutta la mattinata di ieri a Macerata, sparando con una pistola dalla sua Alfa Romeo e ferendo sei persone, tutte originare dell’Africa subsahariana. Luca Traini, 28 anni, incensurato, fisico possente, un tatuaggio che rimanda alla simbologia nazista sopra al sopracciglio destro.
«Era innamorato di una ragazza romana tossicodipendente», ha dichiarato la segretaria provinciale di Macerata della Lega, per cercare di spiegare l’inspiegabile. Il pensiero, inevitabilmente, va a Pamela Mastropietro, la 18enne trovata fatta a pezzi mercoledì scorso a Pollenza, nell’entroterra. Per il suo omicidio è stato arrestato il 29enne nigeriano Innocent Oseghale. Lo zio della ragazza, comunque, ha poi negato ogni legame: «Mia nipote non ha mai avuto nessun rapporto di alcun tipo con lui». E d’altra parte sarebbe cambiato molto poco, benché su Facebook sono già arrivate le pagine intitolate a Traini e alla «vendetta per Pamela».
C’è voluto poco per scoprire che Traini, lo scorso giugno, si era candidato al consiglio comunale di Corridonia, con la Lega Nord. Zero voti per lui, ma ancora ci sono tracce di una campagna elettorale mandata avanti a colpi di slogan come «difesa preventiva» e «non rassegnatevi». Traini, evidentemente, non si è rassegnato, e ha messo in scena la sua versione della difesa preventiva.
Francesco Clerico, titolare della palestra Robbys di Tolentino, dove il 28enne andava ad allenarsi, ricorda di aver «cacciato Traini a ottobre» perché «aveva atteggiamenti sempre più estremisti, faceva il saluto romano e battute razziste». E poi? Per Clerico, Traini è stato rovinato dalle «amicizie sbagliate» e dagli «ambienti estremisti» che si sono sommati a «una situazione familiare disastrosa».
Al netto di ogni motivazione personale, l’azione appare pensata, studiata, programmata, come se fosse il copione di una recita. Un atto premeditato, lucidissimo nella sua follia. E forse la definizione di terrorismo dovrebbe essere estesa anche ad azioni del genere.
Da un paio d’anni a questa parte, le Marche sembrano diventate l’Alabama d’Italia: nel luglio del 2016, a Fermo, il nigeriano Emmanuel Chidi Namdi fu ucciso a botte da Amedeo Mancini, ultras della Fermana, molto vicino agli ambienti dell’estrema destra locale. All’inizio di quest’anno, poi, a Spinetoli, in provincia di Ascoli Piceno, una palazzina destinata a occupare dei migranti è stata data alle fiamme, al culmine di un periodo di tensioni e proteste che aveva dilaniato il paesino, con il sindaco Alessandro Luciani (Pd) che ha manifestato con Lega e Casapound contro «il business dell’immigrazione» e la «falsa accoglienza». Il clima è pesante da tempo, e quanto accaduto a Macerata era in fondo preventivabile: a forza di alimentare l’odio, è naturale alla fine che qualcuno metta in pratica i propositi ascoltati e ripetuti a reti e blog unificati.
È così che, complice la campagna elettorale, in giro si trova anche chi è disposto a giustificare lo sparatore di Macerata, addirittura a difenderlo, a farlo diventare un simbolo della «razza bianca» (altrove evocata in questa tremenda campagna elettorale) vessata e minacciata dall’invasione.
Si aspetta la dichiarazione di Salvini. Tempo mezz’ora e arriva. La condanna del gesto, se c’è, è nella rapida premessa – «chiunque spari è un delinquente» – la sostanza arriva dopo: «È chiaro ed evidente che un’immigrazione fuori controllo, un’invasione come quella organizzata, voluta e finanziata in questi anni, porta allo scontro sociale». Il terrorismo fascista è scontro sociale. La responsabilità è delle vittime.
Ormai da tempo il leghista ha dismesso ogni cautela, ingenuo chi in quella mezz’ora gli aveva già chiesto di prendere le distanze. Del resto il suo commento al feroce assassinio di Pamela Mastropietro, due giorni prima, era stato una specie di chiamata alle armi. «Immigrato nigeriano, permesso di soggiorno scaduto, spacciatore di droga – aveva scritto Salvini sui social – . è questa la risorsa fermata per l’omicidio di una povera ragazza di 18 anni. Cosa ci faceva ancora in Italia questo verme?». Il militante leghista, già forzanovista, di Tolentino deva aver ricevuto il messaggio. Forza nuova da Roma adesso si «schiera» con lui e promette di pagargli le pese legali. In rete non si fatica a trovare roba del genere, applausi al gesto.
Salvini ha una sua idea della serenità e aggiunge alla comprensione per le pistolettate una promessa elettorale: «Non vedo l’ora che il 4 marzo mi diate la forza per riportare ordine, tranquillità, sicurezza e serenità in tutta Italia». Il presidente uscente della Lombardia Roberto Maroni ne approfitta invece per segnalare il suo dissenso di linea con il nuovo proprietario del partito. «Che orrore – scrive a commento delle notizia da Macerata – questo è un criminale fascistoide, non c’entra nulla con la gloriosa storia della nostra grande Lega Nord». Che però non si chiama neanche più così ma «Lega per Salvini premier».
Prima e dopo le sue dichiarazioni, Salvini viene attaccato da Grasso – «è responsabile di questa spirale di odio» – Boldrini – «deve chiedere scusa» – e su twitter da Roberto Saviano che lo identifica come «mandante morale dei fatti di Macerata» e «pericolo mortale per la tenuta democratica». Renzi e Gentiloni, evidentemente preoccupati, cercano di raffreddare le reazioni. Il segretario del Pd parla dell’autore del gesto come di «una persona squallida e folle», dice che bisogna «abbassare subito i toni, tutti» e lasciare la campagna elettorale fuori da questo «terribile evento» perché «è tempo di calma e responsabilità». Il presidente del Consiglio dice di «confidare nel senso di responsabilità di tutte le forze politiche, i comportamenti criminali non possono avere alcuna motivazione ideologica», evidentemente neanche quando vengono accompagnati dal saluto romano. Il ministro dell’interno Marco Minniti, invece, dopo essersi recato a Macerata, parla di «un’iniziativa criminale individuale» ma «sicuramente organizzata e progettata» da un soggetto «con un background personale di destra che si rifà al nazismo e al fascismo». E aggiunge: «A legare i feriti è solo il colore della pelle, quindi è un’evidente questione razziale».
Da altre parti arrivano reazioni assai più allarmate, innanzitutto dall’Anpi. «Nessuno si senta escluso dal presidiare la democrazia e i principi fondamentali della convivenza civile. Il fascismo di ritorno, troppo spesso tollerato, va contrastato con fermezza. Ora basta», scrive la presidente dell’Associazione partigiani Carla Nespolo.
Forza Nuova, che ha indetto una manifestazione per il 6 febbraio ha preso le difese di Traini: «Sarà politicamente scorretto, sarà sconveniente, in campagna elettorale nessuno farà un passo avanti, ma oggi noi ci schieriamo con Luca Traini». Solidarietà che verrà recepita da tanti come Traini che cercano un motivo per esistere.
Sceglie invece la linea del silenzio il Movimento 5 Stelle. Luigi Di Maio lancia addirittura «un appello» al mutismo ai politici in campagna elettorale «nel rispetto della vittima di qualche giorno fa e dei feriti di oggi». Alessandro Di Battista sostiene che «quanti hanno responsabilità politiche hanno un solo dovere: stare zitti!». Il solo Roberto Fico aggiunge di «non potersi esimere dal dire che le parole di Salvini sono inaccettabili» e condanna «ogni idea che inciti al razzismo o alla violenza». Condanna che, restando in silenzio, il capo politico dei 5 Stelle può evitare di pronunciare.
«Un folle», hanno detto di Traini i più moderati. Un prodotto del clima di «esasperazione» dovuto ai troppi migranti nelle città. Mentre Macerata diventa Trendic topic mondiale su Twitter, sui social continua la bagarre isterica e senza senso alimentata dai giustizieri della tastiera: «Dovevi prendere meglio la mira», oppure l’utente Roberto G. che sintetizza così l’umore di chi non sono razzista però: «Non credo che Luca sia un eroe per il gesto fatto. Tuttavia capisco ciò che ha fatto…».
E già dietro alla costernazione si vede l’apologia. Perché se c’è una parola con la effe da usare in questo caso, non è «folle». È «fascista».