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Dove migrano gli africani? Solo il 2% di chi si muove va verso l’Europa

I dati reali. I numeri smentiscono la retorica allarmistica che spesso prevale in Europa . Un fenomeno vasto e anche trascurato. Se violenza e ingiustizia dilagano la situazione peggiora  

di Matteo Fraschini Koffi

Le migrazioni interne all’Africa quanto quelle al di fuori del continente hanno lo stesso obiettivo: cercare un futuro migliore per se stessi e la propria famiglia. Con lo scopo di raccogliere voti, slogan del tipo: “Non possiamo accogliere tutta l’Africa” o “I migranti africani ci stanno invadendo”, non si fa altro che promuove la disinformazione rispetto alla realtà di un fenomeno migratorio di grandi proporzioni ma che va inquadrato diversamente.

Ci si focalizza sul singolo albero, perché ci riguarda direttamente, senza però osservare l’intera foresta. Sebbene sia difficile ottenere cifre precise, si stima che meno del 2 per cento dei migranti africani più poveri viaggi verso l’Europa dopo anni di riflessione e complicati tentativi attraverso le vie legali. Un’altra parte migra verso Stati Uniti e Canada, sebbene Medio Oriente e Asia siano ormai le destinazioni più favorite. La stragrande maggioranza dei migranti, oltre 40 milioni nel 2022, migra all’interno del continente. In generale, circa l’80 per cento degli africani si muove all’interno del suo Stato d’origine.

«La migrazione interna africana avviene prevalentemente dai villaggi verso le zone urbane – sottolinea Muhammad Baba Bello, economista all’università Bayero di Kano, in Nigeria –. I poveri delle campagne fluiscono regolarmente verso le capitali o città relativamente più ricche». I dati dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) mostrano inoltre che la migrazione della manodopera in Africa «è in gran parte interregionale, circa l’80 per cento».

Escludendo quindi i milioni di migranti che fuggono a causa di conflitti o del cambiamento climatico, e omettendo quelli “qualificati” che si spostano internamente all’Africa per ragioni di carriera, sono decine di milioni i migranti che vivono con pochi dollari al giorno spostandosi tra Stati e regioni del continente africano.

Nel 2000, prima del conflitto civile, la Costa d’Avorio era la destinazione principale della migrazione interna all’Africa, sostituita poi dal 2017 dal Sudafrica. Nel quartiere di Nyekonakpoé, dove vivo a Lomé, capitale di un piccolo Paese come il Togo, a meno di 200 metri dal confine con il Ghana, sono i nigeriani la comunità più folta. Le strade della zona brulicano di modesti negozi di alimentari e abbigliamento, locande, baretti e atelier di artigiani di vario tipo.

Molti di loro fanno parte della comunità Yoruba, originaria della Nigeria occidentale. Uno dei residenti più famosi del quartiere è l’ex calciatore Emmanuel Adebayor (ha giocato anche nel Real Madrid), uno yoruba nato da una famiglia nigeriana immigrata in Togo. Famiglie che devono accontentarsi di vivere con meno di due dollari al giorno.

Gli yoruba sono 37 milioni e solo un milione vive fuori dall’Africa. Questa etnia è nota per essere una delle più feconde al mondo per i gemelli eterozigoti, con un tasso del 4,4 per cento rispetto alle nascite. Gli yoruba da sempre migrano soprattutto verso Benin, Ghana, Togo, e Costa d’Avorio. Nei mercati centrali delle capitali di questi Paesi costieri che si affacciano sul Golfo di Guinea, sono sempre più numerose anche le comunità di migranti provenienti da Stati saheliani come Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad. Commercianti nei settori agricolo, alimentare, tessile e artigianale. Anche i porti africani, sempre più trafficati e sofisticati, rappresentano un polo di attrazione importante per la forza lavoro regionale, non richiedendo particolari competenze professionali.

Centinaia di migliaia di migranti dell’Africa occidentale vivono in Nord Africa. Molti di essi risiedevano in Libia da decenni prima che scoppiasse la guerra civile. «Ho vissuto a Tripoli per molti anni lavorando come muratore – spiega Kojo, tornato ad Accra, capitale del Ghana, per lavorare come guardiano di un palazzo –. Guadagnavo mille dollari al mese, dieci volte tanto rispetto a quello che mi danno in Ghana per la stessa professione».

Il Senegal è un altro importante hub per la migrazione interna. Nella capitale, Dakar, impieghi come addetti alle pulizie di abitazioni e uffici, babysitter, tassisti, cuochi, e operai per le costruzioni sono spesso occupati da migranti non-senegalesi. Per costruire la nuova città di Diamniadio sono stati assunti migliaia di migranti da Sierra Leone, Liberia, Gambia, Guinea Conakry, Mali, ma anche da Nigeria e Congo Brazzaville. Nel crescente settore minerario africano, vengono occupati soprattutto migranti burkinabé, maliani, sudafricani, zambiani, e guineani. Anch’essi, come tutti gli altri, spediscono ogni mese gran parte dello stipendio verso il loro Paese d’origine.

Tanto in Europa quanto in Africa i flussi migratori possono avere conseguenze molto complesse da gestire. L’esempio più lampante è il Sudafrica, dove il tasso di disoccupazione supera attualmente il 32 per cento. Migranti che una volta provenivano quasi esclusivamente dai Paesi limitrofi, ora arrivano da Kenya, Congo, Etiopia, Sudan e Somalia in cerca di un’occupazione che però si fatica sempre di più a trovare.

Da anni sono però regolari le violenze e discriminazioni dei sudafricani contro i migranti e persino tra le stesse comunità. «Le politiche migratorie in Sudafrica sollevano molti interrogativi – spiegano alcuni esperti del tema -. Le autorità vogliono favorire l’attrazione di manodopera qualificata invece di quella poco qualificata».

Secondo la Banca mondiale, sono tre i Paesi dell’Africa sub-sahariana dove è più facile avviare un’impresa: Mauritius, Ruanda, e Kenya. Altri studi affermano che tra le principali nazioni che stanno sviluppando buone condizioni di lavoro ci sono Malawi, Nigeria, Zambia, Capo Verde e Eswatini (ex Swaziland), mentre l’ambiente imprenditoriale è «migliorato in modo significativo in Zimbabwe, Congo, Gabon, Niger (prima del colpo di Stato) e Senegal».

Con la relativa crescita di Juba, capitale del Sud Sudan diventato indipendente nel 2011, folte comunità di ugandesi e keniani si sono riversate oltre confine per fare business investendo quel poco che avevano. Per le stesse ragioni molti sudsudanesi hanno messo radici in Kenya, Uganda e Sudan (prima del colpo di Stato).

Sudafrica, Costa d’Avorio e Nigeria sono quindi tra le prime cinque destinazioni. Ad eccezione della Costa d’Avorio, con la più grande comunità estera proveniente dal vicino Burkina Faso, i migranti africani rappresentano comunque meno del 5% della popolazione locale. Sono molti anche gli “studenti-migranti” provenienti da modeste famiglie africane che lavorano per finanziare gli studi dei loro figli in università come la Cheikh Anta Diop a Dakar, la Makerere University a Kampala, capitale dell’Uganda, la Nairobi University in Kenya e molti altri aenei in Sudafrica, Costa d’Avorio, Nigeria, Togo, Ghana, e Tanzania.

Gli studenti hanno pochi soldi, vivono nei dormitori e cercano di lavorare part-time per guadagnare qualcosa. Nel contesto della prematura de-industrializzazione dell’Africa e dell’impatto crescente dell’intelligenza artificiale, la migrazione interna al continente continua a crescere notevolmente. Questo fenomeno, rispetto alle spesso drammatiche migrazioni verso l’Europa, non fa però notizia.

da Avvenire

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