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Milano: Legato e picchiato in caserma. Imbavagliato col nastro adesivo e preso a manganellate. Ha subito lesioni permanenti.

Le mani legate dietro la schiena. La bocca incerottata con il nastro da pacco. Costretto a inginocchiarsi a terra. Poi giù botte. Pugni, manganellate. Il pestaggio prosegue anche quando l’uomo sta quasi per soffocare, perché il sangue che perde dalla bocca non può uscire. È il 12 agosto 2009.
In una stanza della caserma di via Montebello, sede del comando del nucleo radiomobile dei carabinieri, è notte fonda. L’uomo inginocchiato si chiama Luciano Ferrelli, 36 anni, originario di Foggia. Qualche precedente per droga, è stato l’autista-factotum di Giuseppe Aronna, il dentista dei vip con studio in via Montenapoleone arrestato nel 2007 – in manette anche Ferrelli – per una storia di carte di credito rubate e riutilizzate (venivano strisciate sul “pos” del professionista e trasformate in moneta sonante). Bene inserito nella Milano dei locali notturni, poi il declino personale, segnato soprattutto dall’abuso di sostanze stupefacenti.
La droga c’entra anche nella notte del 12 agosto.
Ferrelli è con altre due persone, un italiano e un nordafricano. Trattano l’acquisto di dosi di eroina in una delle piazze milanesi in mano ai pusher del Corno d’Africa: ma litigano per la qualità della “roba”. Gli spacciatori, forse minacciati, forse preoccupati per il possibile arrivo della polizia, si allontanano a piedi.
Restano due auto. Ferrelli e i suoi amici ne prendono una, ma non fanno molta strada: vengono fermati da una pattuglia del Radiomobile dei carabinieri. Li portano nella caserma di via Montebello. Qui – stando a un’inchiesta avviata dalla Procura: si ipotizza il reato di lesioni gravi e gravissime per un appuntato che avrebbe agito in concorso con altri militari – Ferrelli è vittima di una violenta aggressione. Il pm Antonio Sangermano apre un fascicolo. Notifica un avviso di garanzia a un carabiniere in servizio al nucleo radiomobile: l’ipotesi di reato è l’articolo 583, 1° e 2° comma (lesioni gravi e gravissime). È lui che avrebbe preso di mira l’uomo. Forse, secondo le indagini affidate alla sezione di polizia giudiziaria della Procura – e ancora in corso – non da solo. Nell’avviso di garanzia (con invito a comparire davanti al magistrato) il pm Sangermano scrive che l’appuntato avrebbe agito “in concorso con altri pubblici ufficiali”. Non sono escluse, nei prossimi giorni, altre iniziative.
Ma che è successo realmente nella pancia del comando del nucleo radiomobile dell’Arma? Per come li ha ricostruiti la Procura – e da come si può leggere nelle carte – i fatti hanno come triste epilogo l’immagine di un uomo – Luciano Ferrelli – “steso a terra, privo di forze e con numerose lesioni sul corpo”. Le botte subite – è scritto nel rapporto dell’Istituto di medicina legale di Milano, allegato agli atti – gli hanno procurato “l’incapacità ad attendere alle mansioni originarie”, con una “prognosi superiore a 40 giorni”. Motivata con un “indebolimento permanente dell’organo della masticazione e della prensione”, con una “deformazione dello spettro facciale mediante avulsione dell’incisivo anteriore con caratteristiche proprie dello sfregio permanente”. Una volta ammanettato dietro la schiena e con la bocca tappata dal nastro da pacco, Ferrelli sarebbe stato costretto a inginocchiarsi e poi colpito con pugni al volto (gli è caduto un dente) e con una raffica di manganellate sulle spalle, sulle mani e sui piedi. Al pestaggio in caserma assistono anche gli altri due uomini fermati.
Negli interrogatori, uno, l’italiano, conferma tutto; l’altro, il nordafricano, è reticente. Alle prime luci dell’alba Ferrelli viene trasferito nel carcere di San Vittore con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale. Condannato per direttissima, è tuttora dietro le sbarre. In merito al presunto pestaggio Repubblica ieri ha contattato il comando del reparto operativo dei carabinieri, che ha ritenuto di non rilasciare dichiarazioni.

Fonte: La Repubblica