Un governo senza vergogna, in perfetta continuità con quello dei torturatori di Bolzaneto, quando a Palazzo Chigi c’era Berlusconi e nella caserma SanGiuliano di Genova il “redento” Gianfranco Fini. Un governo senza vergogna e senza onore che ha accettato di “patteggiare” la condanna davanti alla corte europea di Strasburgo per le torture inferte nella caserma di Bolzaneto, durante il G8 di Genova 2001. Ha patteggiato come un criminale che accetta di esser riconosciuto colpevole, ma punta a uscirne con il minimo della pena. In questo caso 45.000 euro a titolo di risarcimento per le violenze subite.
Conta poco che soltanto sei dei 65 cittadini italiani ed europei abbiano accettato questa transazione miserabile anche nella cifra. Certamente – come riferisce l’avvocato Laura Tartarini, che difende una ventina di persone tra le vittime della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto – “ha accettato chi, tra cui due dei miei assistiti, ha necessità economiche e personali. Per gli altri il ricorso continua”.
Quello che conta è che la condanna di una classe politica indegna sia avvenuta a livello continentale. Quello che conta è che questa classe politica indegna stia mentendo anche davanti alla corte dei diritti umani, dove il governo afferma di aver «riconosciuto i casi di maltrattamenti simili a quelli subiti dagli interessati a Bolzaneto come anche l’assenza di leggi adeguate. E si impegna a adottare tutte le misure necessarie a garantire in futuro il rispetto di quanto stabilito dalla Convenzione europea dei diritti umani, compreso l’obbligo di condurre un’indagine efficace e l’esistenza di sanzioni penali per punire i maltrattamenti e gli atti di tortura».
Mente perché sono passati pochissimi mesi da quando, per la centesima volta, un parlamento di “nominati” sotto ricatto individuale ha respinto l’inserimento del reato di tortura all’interno del codice penale. E persino il ben più innocuo numero sulle divise, adottato in quasi tutti i paesi dell’Occidente capitalistico.
Mente sempre, il governo, quando firma un accordo in cui si impegna anche “a predisporre corsi di formazione specifici sul rispetto dei diritti umani per gli appartenenti alle forze dell’ordine”. Sono di pochi giorni fa due decreti a firma Minniti-Orlando – approvati dall’intero governo – in cui si affidano poteri arbitrari alle polizie nazionali, tutti tesi a vietare qualsiasi manifestazione di dissenso e financo le celebrazioni della Liberazione dal nazifascismo, nonché i già scarsi diritti dei migranti.
Mente e, proprio attraverso questi decreti, prepara altre Bolzaneto, altri Cucchi e Aldrovandi; legittima prepotenze, violenze e torture (e sappiamo distinguere benissimo ogni singola figura qui indicata).
Mente e finge, come quando dice di voler favorire l’occupazione giovanile o il diritto dei pensionati a una vita decente.
Nei ricorsi riconosciuti dalla corte di Strasburgo si sostiene che lo Stato italiano ha violato il loro diritto a non essere sottoposti a maltrattamenti e tortura e si denuncia l’inefficacia dell’inchiesta penale sui fatti di Bolzaneto. Non quisquilie risolvibili con un’offerta economica degna di Arpagone.
Il processo di appello per le violenze di Bolzaneto si era concluso, nel giugno 2013, con sette condanne e quattro assoluzioni. La quinta sezione penale della corte aveva assolto Oronzo Doria, all’epoca colonnello del corpo degli agenti di custodia, e gli agenti Franco, Trascio e Talu. Erano invece state confermate le 7 condanne che erano state inflitte dalla Corte d’Appello di Genova il 5 marzo 2010 nei confronti dell’assistente capo di Pubblica sicurezza Luigi Pigozzi (3 anni e 2 mesi) – che divaricò le dita della mano di un detenuto fino a strappargli la carne – degli agenti di polizia penitenziaria Marcello Mulas e Michele Colucci Sabia (1 anno) e del medico Sonia Sciandra. Per quest’ultima la Cassazione aveva ridotto la pena, assolvendola solo dal reato di minaccia. Pene confermate a un anno per gli ispettori della polizia Matilde Arecco, Mario Turco e Paolo Ubaldi che avevano rinunciato alla prescrizione. La pene erano però quasi integralmente coperte da indulto.
Questa la cruda realtà dei fatti. Lo Stato italiano ha mandato di fatto assolti quei pochi colpevoli mandati a processo, senza peraltro punirli neanche con la misura più lieve possibile: il licenziamento.
Una classe politica indegna in ogni passaggio di questa lunghissima storia. Senza alcuna differenza tra governi berlusconiani, prodiani, dalemiani, renziani, montiani, lettiani e gentiloniani.
da contropiano
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Bolzaneto/Antigone. Gonnella: non ci sono più scuse, si approvi subito il reato di tortura
“Si approvi subito la legge che punisce la tortura”. A dirlo è Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, a seguito del patteggiamento dell’Italia con sei delle vittime delle torture all’interno della Caserma di Bolzaneto durante il G8 del 2001 a Genova.
Ad ognuna delle stesse andranno 45.000 € di risarcimento per quelle violenze, stessa cifra che lo stato fu costretto a risarcire ad Arnaldo Cestaro per le torture alla scuola Diaz all’indomani della sentenza della CEDU nell’aprile del 2015. Sempre 45.000 € furono offerti anche ai due detenuti vittime di torture nel carcere di Asti nel dicembre del 2004. In quest’ultimo caso fu però la stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che oggi ha riconosciuto chiuso il caso a seguito dell’accordo fra Stato e vittime, a scartare la possibilità della composizione amichevole offerta dal governo italiano. Caso questo per il quale si è in attesa della sentenza.
“Ancora una volta la Corte Europea ci dice che in Italia la tortura esiste e viene praticata” sottolinea Gonnella. Ancora una volta il governo italiano è chiamato a rispondere per episodi di tortura e per il fatto di non prevedere sufficienti rimedi interni che possano garantire giustizia alle vittime. Più volte gli organismi internazionali hanno sollecitato il nostro paese a dotarsi di una legge che punisse questo crimine contro l’umanità, per ultimo il Comitato Diritti Umani delle Nazioni Unite riunitosi a Ginevra lo scorso mese di marzo. L’Italia – prosegue Gonnella – da 28 anni disattende i suoi impegni”.
“È tuttavia importante e da sottolineare il fatto che, nel caso di oggi, il governo abbia riconosciuto per la prima volta le sue responsabilità assumendosi, dinanzia ai giudici della Corte, l’impegno a dotare l’Italia di un reato specifico. Ora – conclude Gonnella – si rispetti questo impegno e si approvi subito la legge contro la tortura”
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Il Governo italiano ha raggiunto un accordo di risoluzione con sei dei 65 cittadini, italiani e stranieri che avevano subito violenze da parte di agenti di polizia e medici all’interno della caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova del 2001, trasformata per l’occasione in un carcere temporaneo.
Vista anche l’inefficacia dell’inchiesta penale, avevano fatto ricorso alla Corte europea dei diritti umani ritenendo violato il loro diritto a non essere sottoposti a maltrattamenti e tortura, la quale ha riconosciuto colpevole lo Stato Italiano il quale si è offerto di versare ai ricorrenti 45 mila euro ciascuno per danni morali e materiali e per le spese di difesa, in cambio di ogni rinuncia “a ogni altra rivendicazione per i fatti all’origine del loro ricorso”.
Il servizio con Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. Ascolta o Scarica.
Inoltre nell’accordo, si legge nelle decisioni della Corte, il governo Italiano riconosce “i casi di maltrattamenti simili a quelli subiti dagli interessati a Bolzaneto come anche l’assenza di leggi adeguate. E si impegna a adottare tutte le misure necessarie a garantire in futuro il rispetto di quanto stabilito dalla Convenzione europea dei diritti umani. Inoltre, nell’accordo il governo si impegna anche “a predisporre corsi di formazione specifici sul rispetto dei diritti umani per gli appartenenti alle forze dell’ordine”.
Di fatto però in Italia non esiste il reato di tortura e da anni è ferma la proposta di legge che dovrebbe introdurlo nel nostro ordinamento come ci spiega Lorenzo Guadagnucci, all’epoca cronista Resto del Carlino e vittima delle violenze all’interno della scuola Diaz durante il G8 di Genova. Ascolta o Scarica.
da Radio Onda d’Urto
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Lorenzo Guadagnucci è uno di quelli che ha rifiutato il risarcimento come forma di patteggiamento da parte dell’Italia davanti alla Corte europea dei diritti umani. Torturato all’interno della scuola Diaz, durante il G8 del 2001, da uomini che ancora non hanno un volto né un nome. Tra i fondatori del «Comitato verità e giustizia per Genova», Guadagnucci sa solo a quale reparto appartenevano i suoi torturatori.
Anche a te lo Stato italiano ha chiesto di accettare il patteggiamento?
Sì, la proposta mi venne fatta nell’ambito del ricorso collettivo alla Cedu presentato da un gruppo di persone, vittime sia alla Diaz che a Bolzaneto, coordinato dallo studio Onida di Milano. Mi vennero offerti 45 mila euro perché quella era la cifra che l’Italia ha dovuto versare ad Arnaldo Cestaro, come indennizzo accessorio alla condanna emessa esattamente due anni fa. Quello fu il primo ricorso individuale esaminato, tra i tanti casi ancora pendenti davanti alla Corte. Il governo italiano cerca così di chiudere tutti i procedimenti per evitare le decine di condanne analoghe.
Dei 65 cittadini italiani e stranieri che si sono rivolti alla Cedu, solo sei hanno accettato il risarcimento come forma di «risoluzione amichevole». Tu perché hai rifiutato?
Perché ho fatto ricorso alla Corte di Strasburgo non per avere un risarcimento economico ma, da cittadino, perché credo che il governo italiano debba fare i conti con le proprie responsabilità, che sono aver negato una vera giustizia alle vittime di Genova, non aver preso sul serio gli abusi commessi, non aver fatto nulla per prevenire il ripetersi di tali violazioni in futuro.
L’Italia questa volta ha dovuto ammettere che la tortura c’è stata, e non è stato un singolo caso isolato. Ha preso anche impegni, labili, ma li ha presi. Non basta?
La sentenza Cestaro del 2015 dice che l’Italia ha gravi problemi strutturali nel rispetto dei diritti fondamentali delle persone. Tant’è che si è ricorso alla Cedu malgrado le sentenze di condanna dei tribunali italiani sia per Bolzaneto che per la Diaz. Quelle condanne però non hanno fatto giustizia, perché i responsabili non sono stati individuati e le pene non sono state adeguate. Strasburgo parla di violazione dell’articolo 3 – tortura e trattamenti inumani e degradanti – della convenzione a cui aderisce l’Italia. Quella sentenza dà precise prescrizioni. Innanzitutto, una legge specifica sulla tortura, nel rispetto tra l’altro dell’impegno preso dall’Italia nel 1988 in sede Onu. Infatti, tutti i reati di Bolzaneto e quasi tutti quelli commessi alla Diaz, escluso il falso, sono caduti in prescrizione. La Cedu poi ha chiesto all’Italia se ha preso provvedimenti di sospensione o di rimozione dei responsabili di quegli abusi. Il governo italiano non ha risposto.
Non poteva: è stata condannata solo la catena di comando, mentre gli autori materiali degli abusi, non avendo alcun codici di riconoscimento, non sono stati identificati.
Appunto. Io, da cittadino che ha vissuto questa esperienza che però riguarda tutti e che fa parte ormai della storia di questo Paese, sarei disposto ad accettare un risarcimento se ci fosse almeno l’applicazione di quella sentenza. Credo invece che il governo sia in malafede: cerca il patteggiamento perché non sa e non vuole applicare la sentenza europea. Basti guardare la legge sulla tortura, che è diventata una barzelletta: nel testo la tortura non c’è, e la legge si è addirittura arenata in parlamento. Quest’anno, poi, scadranno i provvedimenti disciplinari applicati ai condannati, e quei funzionari riprenderanno il loro posto nelle forze dell’ordine. I codici di reparto promessi da Minniti? Sono una presa in giro: alla Diaz sappiamo quali reparti hanno partecipato, non sappiamo i nomi dei torturatori. È il codice identificativo personale che manca.
Dici che questa pagina fa parte della storia italiana, ma come mai un italiano su due, secondo un’indagine Amnesty-Doxa, crede che la tortura da noi non sia praticata?
La distorta percezione della realtà è colpa dei governi, e dei media complici, che hanno fatto sì che parlare di polizia sia da noi argomento tabù. La storia ci dice che la tortura è stata praticata con continuità nel tempo e sistematicamente. E che quello che è successo nel 2001 è solo ma vistosa manifestazione di quella pratica, perché applicata su gruppo grande di persone qualunque e non nelle segrete di un carcere. Ma non mi sorprende, perché se vai a leggere gli atti parlamentari ti accorgi che quelle persone, che dovrebbero essere le più avvedute e responsabili, hanno parlato di tutto – di Argentina, di Beccaria, del Medioevo, degli strumenti di supplizio -, di tutto, tranne della tortura reale che viene praticata in Italia.
Eleonora Martini da il manifesto