Sono oltre 500 i civili uccisi dalle forze di sicurezza dal colpo di Stato militare del 1 febbraio a oggi, martedì 30 marzo, in Myanmar (ex Birmania): a dirlo l’Associazione per l’assistenza ai prigionieri politici, ong basata nella vicina Thailandia e vicina ai manifestanti antigolpisti.
“Abbiamo la conferma di 510 morti per le strade del Myanmar”, afferma l’ong specificando che il bilancio reale “è probabilmente molto più alto, con centinaia di persone arrestate di cui non si sa più nulla”.
Mercoledì 31 marzo è fissata intanto una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza Onu, indetta dopo la durissima giornata di sabato 27 marzo, quando per le strade di Yangon e delle più grandi città del Myanmar si erano contate con 114 vittime in sole 24 ore.
Da allora le violenze sono cresciute d’intensità, con migliaia di birmani in fuga verso la Thailandia. Si tratta in particolare di abitanti dello stato di confine del Karen, dove ha seguito di diversi bombardamenti aerei dei militari almeno tremila persone hanno attraversato il confine, dove il governo di Bangkok ha annunciato di avere istituito dei campi profughi.
Cosa succede in Myanmar? E come va letta l’attuale escalation di piazza?
Da Yangon, principale città birmana, la corrispondenza con Giorgio, cittadino bresciano che lì vive e lavora. Ascolta o scarica