La connettività, la tecnologia, la logistica sono gli strumenti che il processo di globalizzazione ha impiegato per spostare continuamente ingenti flussi di merci, denaro, garantendo una continua trasformazione delle organizzazioni aziendali, continue delocalizzazioni, frammentazione dei processi, aumento della produttività e allungamento dell’orario di lavoro.
Oltre ai perdenti, la new economy ha creato figure vincenti, ha iniettato lo spirito dell’auto-imprenditorialità, ha messo in crisi o ha bloccato il lavoro così come il fordismo ci aveva abituati a vederlo. Il profitto si estrae nelle forme più diversificate e ha garantito un tenore di vita e uno stile di abbondanza nei consumi per una larga parte della popolazione, ma qualcosa è cambiato.
A fianco alle aziende strutturate rigidamente che ancora conservano la mentalità e la cultura del prodotto, presenti in alcuni distretti, operano aziende caratterizzate da una mentalità del breve periodo. Poche e appartenenti per lo più alla categoria delle PMI sono i modelli imprenditoriali che vogliono imprimere un segno nel territorio, investendo sul prodotto e a volte, creando sistemi di welfare o fidelizzazione del tipo “Siamo una grande famiglia”, intrattenendo rapporti collaborativi con il sindacato. Le grandi aziende, quelle spesso sovvenzionate dalla Stato nelle perdite hanno da tempo investito sul rendimento a breve termine e sulla gestione dei manager della flessibilità. La filosofia non è produttiva, ma finanziaria.
Entrambi i modelli, hanno in comune il lavoro sommerso, il caporalato, il cottimo velato, il non riconoscimento di una condizione, con o senza Codice Etico imposto alla filiera, vedono i nodi secondari del sistema a rete d’impresa scaricare sulle subforniture i costi e le responsabilità.
Dentro tutto ciò, le vite di chi la ricchezza la produce dentro e fuori la fabbrica “del materiale e dell’immateriale”.
Come riconoscersi nei bisogni dentro e fuori il lavoro, come unire andare oltre le rivendicazioni sindacali delle categorie rappresentate e tutelate e le migliaia di persone che per Legge non hanno diritti e tutele né sul lavoro né nella vita?
Lo stress, gli straordinari, il potere disciplinare, l’assoggettamento della vita personale al lavoro, gli affitti, i mutui, le bollette, il costo dei trasporti, il carico fisico e mentale, l’accesso ai servizi sanitari, all’istruzione, il costo dei libri.
Giuseppina 66 anni schiacciata da una pressa, Zaccaria che scarica 15 pacchi al minuto da 40 kg in un magazzino, Soumalia che raccoglieva gli agrumi e per una lamiera è stato ucciso, Dafne che gira il mondo per un progetto di ricerca che serve ad ingrossare i titoli accademici di un professore ordinario, Zohaid 31 enne che è morto investito da un’auto durante una consegna, cosa hanno in comune?
Tutto.
A questo immenso lavoro da fare, si aggiungono le problematiche ambientali che il sistema produttivo ha lasciato in eredità e che ora, con parole ingannevoli chi ne ha tratto profitto prova a farci sentire tutti e tutte coinvolti allo stesso modo. Ma le condizioni di vita quotidiane di tutte queste persone, sono comuni e lo smontaggio dell’immaginario costruito grazie alla narrazione mendace è la base per unire queste istanze.
L’esperienza che il movimento trans-femminista e il proletariato meticcio stanno portando avanti da noi e nel mondo è preziosa, perché non parte da assunti teorici-ideologici, ma dal vissuto e ha il sapore della dignità.
Ed è da qui che si intravede quello che non vi lascerà dormire.
Renato Turturro