Omicidio Uva: il Csm indaga sul pm che non indaga
- aprile 11, 2013
- in malapolizia, violenze e soprusi
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Un’azione disciplinare pende sul magistrato che non vuole interrogare il teste di quella notte ed è ostile a familiari e legali
Un’azione disciplinare del Csm pende sul pm del caso di Giuseppe Uva, morto nel 2008 nell’ospedale di Varese dopo essere stato fermato dai carabinieri. Ad Agostino Abate è contestato tra l’altro il comportamento ostile, in aula e fuori, nei confronti della sorella dell’uomo ucciso, Lucia, fatta allontanare durante un’udienza. La notizia proviene proprio dal Consiglio superiore della magistratura dove viene spiegato che proprio per la pendenza del procedimento disciplinare si sono dovuti archiviare gli esposti ricevuti sulla vicenda e che dunque non c’è stata nessuna inerzia del Consiglio.
Era stata Ilaria Cucchi, sorella di Stefano e dunque compagna di sventura di Lucia Uva, a lamentare il silenzio del Csm sugli esposti presentati dalla sorella di Uva e da Luigi Manconi. Di qui la decisione della Prima Commissione di Palazzo dei marescialli di avviare una ricognizione sulla sorte di queste denunce, su richiesta del consigliere togato di Unicost Giovanna Di Rosa. Il contrasto fra la famiglia di Uva e il pm dura da tempo soprattutto per il fatto che Abate ha sempre voluto interpretare quella morte come un “banale” caso di malasanità senza mai voler interrogare l’amico di Uva, Alberto Biggioggero, arrestato con lui quella notte e testimone delle urla di Uva nella caserma della polizia in cui avrebbe trascorso alcune ore in balìa delle forze dell’ordine. Un giudice, assolvendo in primo grado ilmedico portato alla sbarra da Abate, aveva ordinato – invano – la riapertira dell’inchiesta con l’accusa da parte del pm di essere lui stesso succube del clima mediatico.
Il contrasto era culminato qualche giorno fa con la presentazione di una denuncia a carico del pm alla Procura della Repubblica di Brescia per favoreggiamento e abuso in atti d’ufficio. Da parte sua Abate s’era scagliato più volte contro la sorella del ragazzo ucciso, contro il suo legale Fabio Anselmo (lo stesso dei casi Aldrovandi, Ferrulli e Cucchi) e contro i giornalisti che osavano riprendere la vicenda come un caso di malapolizia.
I famigliari di Uva (Lucia è stata perfino accusata di aver manipolato il cadavere di suo fratello) contestano la chiusura dell’inchiesta: secondo il pm non ci sono responsabilità delle forze dell’ordine nella morte dell’uomo, mentre per i parenti Uva avrebbe subito percosse in caserma. La Procura Generale della Corte di Appello di Milano ha bocciato la richiesta di togliere a quel pm l’indagine ed affidarla ad un altro magistrato.
«Era l’ultima speranza che si indagasse in caserma, e invece no – scrive Lucia – nonostante l’abbia chiesto anche il Giudice nelle motivazioni della sentenza di primo grado in cui è stato assolto il medico accusato di aver ucciso Giuseppe. Quindi ora siamo certi che scadranno i termini per la prescrizione. (Non faranno mai in tempo ad arrivare al terzo grado, e comunque il pm Abate non cambierà idea certo ora). Non sapremo mai la verità su ciò che accadde quella notte. Mai».
Martedì 16, all’udienza del processo d’appello al medico, Lucia sarà in aula con Patrizia Adrovandi, Domenica Ferrulli e Ilaria Cucchi. In loro solidarietà giungerà da Roma Paolo Ferrero, segretario del Prc. (continua a leggere su popoff)
Checchino Antonini
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