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Papa Francesco contro l’ergastolo, e un appello per i 9 italiani rifugiati a Parigi

Le dichiarazioni con le quali anche in questi giorni Papa Francesco ha preso posizione contro l’ergastolo, “perché deve restare una finestra di speranza”, consolidano l’esclusione di pene detentive senza possibilità di redenzione e scarcerazione dal magistero sociale dell’attuale Pontefice.

Un insegnamento che purtroppo molti cattolici lasciano cadere nel vuoto, seguendo filoni di pensiero diversi e non molto evangelici che intendono le pene carcerarie come vendette sui colpevoli (che poi non sempre lo sono) e non come la strada per un reinserimento.

Il professor Luciano Vasapollo, docente di economia all’Università La Sapienza oltre che vice presidente dell’Associazione Padre Virginio Rotondi per un giornalismo di pace ed esponente del capitolo italiano della Rete in difesa dell’umanità, ha avuto più volte la possibilità di confrontarsi con Papa Francesco su questi temi, in particolare quando il Pontefice ha appoggiato le iniziative per la liberazione dall’ergastolo di Ramon Labañino e la scarcerazione dei suoi compagni ingiustamente detenuti in USA per la loro attività di antiterrorismo in difesa della loro patria Cuba che li considera i suoi cinque eroi.

Ed anche nei giorni scorsi Vasapollo ha potuto consegnare al Papa il libro scritto insieme a Labañino e nell’occasione è tornato a dialogare con Francesco anche del tema delle carceri e in particolare del destino senza speranza che potrebbe toccare ai 9 italiani rifugiati da 40 anni a Parigi, dove erano stati accolti in base alla “Dottrina Mitterand”.

Per questo il professor Vasapollo ci ha autorizzato a diffondere il testo di un proprio rispettoso appello che ha fatto avere al Pontefice.

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“Al Santo Padre Papa Francesco,

mi rivolgo a Lei con la più grande umiltà per domandare un intervento attraverso una preghiera in favore di 9 persone (etichettate dalla stampa pur se con antiche storie diverse appartenenti a differenti organizzazioni politiche come “I Nove terroristi brigatisti rossi da estradare in Italia”); sono nove persone ormai anziane, che rischiano di finire la loro vita in prigione.

Hanno fatto parte, negli anni ‘70 – ‘80, quando avevano fra i venti e i trenta anni, di quel profondo movimento sociale che attraversò la società italiana e mondiale e ne contrappose in modo duro, diretto alcune componenti, mettendo in gioco e purtroppo distruggendo anche vite umane.

Fu un conflitto radicale, violento, dalle due parti. Esercitarono violenza e la subirono. Quegli anni furono una tragedia per tutti e il dolore resta iscritto in tutti coloro che ne furono protagonisti. Furono condannati per infrazioni penali gravi a pene durissime e lunghe.

Dopo qualche anno d’imprigionamento furono rimessi in libertà in attesa della condanna definitiva e decisero di “esiliarsi” in Francia dove la “dottrina Mitterand” permetteva loro di non essere estradati. Dichiararono la loro presenza alla luce del sole appena arrivati in Francia.

Si sottrassero quindi all’esecuzione di condanne lunghe decenni, senza nascondersi. Ma si obbligarono a delle rinunce dolorose e a una forma di espiazione che passa per la sofferenza intima: una partenza senza ritorno possibile, delle rotture familiari definitive, l’impossibilità di tornare sul suolo natale e di seppellire i propri morti. Il dolore e la compassione per le ferite provocate e subite, sono inscritti per sempre nei loro cuori e nei loro corpi.

Al tempo stesso l’accoglienza e la protezione della Francia permise loro di rimettersi in discussione, di ricostruirsi una vita all’insegna della solidarietà umana e della pace, di diventare socialmente utili e attraverso questo reinserimento sociale, di compiere una specie di riscatto simbolico e di risarcimento sociale: essere utili agli altri, aiutare i più bisognosi, fare del bene al prossimo: le loro vite e il loro lavoro lo testimoniano.

Richiederne la estradizione e rimetterli in prigione oggi, dopo più di 40 anni trascorsi dalle infrazioni penali commesse, non renderebbe giustizia agli altri protagonisti e discendenti dei protagonisti di quel conflitto sociale i quali, come tutte le parti in causa, hanno bisogno di pace e di raccoglimento.
Rimettere queste nove persone in prigione oggi non renderebbe giustizia allo Stato che, negli ordinamenti giudiziari moderni, non trova più l’utilità di punire, passato un tempo troppo lungo e compiuta il reinserimento sociale del condannato.

Vorrei ultimare questa mia umile domanda riportando alcune Sue struggenti e sentite parole di grande senso umano e spirituale :

Una parola, che vorrei indirizzare ai detenuti è la parola coraggio”, “Gesù stesso la dice a voi. ‘Coraggio’ deriva da cuore. Coraggio, perché siete nel cuore di Dio, siete preziosi ai suoi occhi e, anche se vi sentite smarriti e indegni, non perdetevi d’animo. Voi che siete detenuti siete importanti per Dio, che vuole compiere meraviglie in voi”. “Immagino di guardarvi e di vedere nei vostri occhi delusioni e frustrazione, mentre nel cuore batte ancora la speranza, spesso legata al ricordo dei vostri cari. Coraggio, non soffocate mai la fiammella della speranza”.

Rimetterli in prigione oggi, tenuto conto della loro età avanzata (quasi tutti intorno ai 70 anni) e per questo motivo dell’impossibilità di usufruire dei benefici accordati ai detenuti dopo numerosi anni d’imprigionamento, significherebbe non tanto assegnarli a scontare la pena, ma assegnarli al supplizio di aspettare la morte in prigione.

Più volte Santo Padre, dall’alto della Sua bontà, lungimiranza e magnificenza, ha dichiarato:
“L’ergastolo non è la soluzione dei problemi, lo ripeto: l’ergastolo non è la soluzione dei problemi ma un problema da risolvere. Perché se si chiude in cella la speranza, non c’è futuro per la società. Mai privare del diritto di ricominciare!”; “Non soffocate mai la fiammella della speranza”, “non lasciatevi mai imprigionare nella cella buia di un cuore senza speranza, non cedete alla rassegnazione. Dio è più grande di ogni problema e vi attende per amarvi”.

Con questo Suo illuminante grido di speranza voglio darLe un affettuoso abbraccio e chiederLe umilmente una preghiera per queste nove persone e i loro familiari sofferenti.

Con affetto e devozione

Luciano Vasapollo

* da Il Faro di Roma

http://placestpierre.fr/le-pape-francois-contre-la-reclusion-a-perpetuite-vasapollo-lance-un-appel-pour-les-9-refugies-italiens-a-paris/