L’ex militante dei Proletari Armati per il Comunismo è in sciopero della fame. Ecco perchè sulla nostra giustizia i francesi non avevano tutti i torti
Sabato 12 giugno Cesare Battisti è svenuto. È in sciopero della fame nel carcere di Rossano Calabro da undici giorni, per protestare contro il regime carcerario di alta sicurezza che gli è stato attribuito. Il suo avvocato, Davide Steccanella, che oggi ha avuto una videochiamata con lui, dice che è “visibilmente abbattuto” e che “ha perso circa 8,5 chili dall’inizio della protesta”.
Battisti ha sessantasei anni ed è affetto da varie patologie. Tuttavia, dice Steccanella, “parla con totale lucidità dell’idea di non tornare indietro dalla sua decisione di uscire, vivo o morto, dal corridoio dell’Isis”.
Il 9 giugno, Battisti ha scritto una lettera ai propri cari, per chiedergli un ultimo sforzo: “Quello di comprendere le ragioni che mi spingono a lottare fino all’ultima conseguenza in nome del diritto alla dignità”. Le sue parole, pubblicate dal “Riformista”, hanno suscitato qualche ironia sulla “gauche caviar” e un titolo liquidatorio del Secolo d’Italia, che dice: “Cesare Battisti frigna ancora sul trasferimento”.
In solidarietà, su Facebook, è stato promosso un “Digiuno staffetta per Cesare Battisti”. Il gruppo, al momento, ha ottantanove iscritti. Le altre coscienze democratiche del Paese non sono state scosse dalla vicenda. Anche se di mezzo c’è una questione che riguarda il diritto. Dunque, ciascuno di noi.
Battisti è stato condannato all’ergastolo, nel 1993, dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano. È stato ritenuto responsabile di quattro omicidi, più furti, rapine, violenze private, detenzione illegale di armi, tutti reati commessi tra il 1978 e il 1979, come militante dell’organizzazione Proletari armati per il comunismo. Quando, all’inizio del 2019, è stato riportato in Italia, il suo avvocato ha chiesto che la sua pena venisse commutata a trent’anni di carcere. Il tribunale di Milano ha rigettato l’istanza e ha scritto che “sarà la magistratura di sorveglianza a valutare se e quando Cesare Battisti potrà godere dei benefici penitenziari”. Il tribunale di Milano ha ribadito che Battisti sconterà l’ergastolo, specificando che dovrà stare in isolamento sei mesi. Il dettaglio giuridicamente significativo è che i sei mesi sono passati, ma il regime di isolamento in cui Battisti è detenuto no, da oltre due anni.
“Secondo la legge – dice l’avvocato Steccanella – dal 14 giugno 2019 Cesare Battisti dovrebbe essere detenuto in regime ordinario”. Tuttavia, fino al settembre del 2020, Battisti è stato detenuto a Oristano, in regime di alta sorveglianza, in un carcere in cui non c’erano altri detenuti classificati come lui, dunque di fatto in isolamento, perché quel regime impedisce il contatto con detenuti diversamente classificati. Battisti, scrive l’avvocato Steccanella in un lettera inviata al Ministero della giustizia, ha passato più di un anno “in palese violazione di quanto stabilito dal giudice e dalle leggi italiane”.
Ora Cesare Battisti si trova nel carcere di Rossano Calabro. Il ministero dell’interno l’ha trasferito lì dopo le proteste del detenuto e un piccolo clamore che la vicenda ha avuto sui media. “Questo carcere – dice il suo avvocato – è ancora più distante e difficile da raggiungere del precedente, sia per i familiari, sia per me, che sono il suo legale”. Ma il problema più rilevante – dice l’avvocato – è che è stato collocato nello speciale “padiglione di massima sicurezza riservato agli accusati di terrorismo islamico”, pur essendo Battisti estraneo al jihadismo, dunque “di fatto isolato” ancora una volta. L’avvocato Steccanella descrive la cella in cui Battisti è rinchiuso “minuscola” e “priva di luce solare” e sostiene che nel carcere di Rossano “risulta privato della possibilità di svolgere attività alcuna, compresa l’ora d’aria per camminare”.
A febbraio di quest’anno, Steccanella ha scritto l’ultima volta al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per chiedere quali sono le ragioni che hanno spinto il Dipartimento del ministero dell’interno a classificare Cesare Battisti nel regime di “Alta sorveglianza 2”, dal momento che i reati per cui è stato condannato risalgono a più di quarant’anni fa e sono avvenuti in un contesto politico e sociale completamente diverso da quello attuale. Nessuno, però, ha mai risposto alle domande dell’avvocato Steccanella. Così il 12 maggio, dopo l’arresto in Francia di sette ex terroristi, e approfittando di un’intervista alla ministra Marta Cartabia, in cui Cartabia spiegava che lo stato italiano non vuole vendetta, bensì giustizia, Steccanella ha scritto anche a lei. “Spettabile Ministro…”. Anche stavolta, nessuna risposta.
Vittorio Sgarbi, che è l’unico parlamentare che è andato a far visita a Battisti a Rossano, mi dice che il “Battisti che ho incontrato è un altro uomo rispetto a quello che ha compiuto quei crimini”. E chissà se ci si rende conto che il rischio è di dare ragione a chi ha avuto torto. Più di quindici anni fa, Guillame Perrault (oggi capo delle pagine dei commenti del Figaro) scrisse in Francia un libro, “Génération Battisti”, in cui accusava la politica, il giornalismo e gli intellettuali francesi di aver disconosciuto per anni il dolore delle vittime del terrorismo italiano e la storia del nostro Paese. Nessuno di loro parlava mai di chi era morto, della speciale situazione storica in cui si trovò l’Italia in quegli anni. Erano tutti troppo presi a considerare le leggi italiane come illiberali e lesive dei diritti individuali.
Quando i sette esuli politici italiani sono stati arrestati in Francia, Perrault è tornato sull’argomento denunciando “il delirio ideologico” che ha accompagnato culturalmente la vicenda degli esuli in Francia e confidando che, una volta consegnate nelle mani dello stato italiano, quelle persone sarebbero state trattate secondo le regole di uno stato di diritto. Oggi l’Italia chiede l’estradizione di quegli uomini e di quelle donne. E sarebbe sgradevole smentire la fiducia che Perrault ha risposto nelle nostre istituzioni, e anche macchiare la credibilità che l’Italia si è conquistata all’estero, per il trattamento che invece sta riservando a Cesare Battisti. Soprattutto, dopo che è passata liscia la parata che Salvini e Bonafede organizzarono quando Cesare Battisti venne riportato in Italia, mostrando bene all’opinione pubblica che la preda era ormai in gabbia. O bisogna pensare che si trattava, in realtà, di un manifesto programmatico nazionale?
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