Piantedosi vuole vietare la manifestazione nazionale per la Palestina
- settembre 16, 2024
- in lotte sociali
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di Valeria Casolaro da l’Indipendente
Le manifestazioni a sostegno della Palestina, previste per il prossimo 5 ottobre, potrebbero essere vietate. A dichiararlo è stato il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, in conferenza stampa. «Consentiremo ogni libera espressione, anche di critica legittima, ma non manifestazioni con un chiaro e esplicito invito alla celebrazione di un eccidio. Ci sono valutazioni in corso», ha affermato Piantedosi. Il riferimento è alla mobilitazione proclamata dai Giovani Palestinesi d’Italia che, in un comunicato, hanno sottolineato che la manifestazione è per «onorare i 40 mila martiri di Gaza e i loro valorosi combattenti che lottano senza tregua» e che l’operazione lanciata dalle sigle combattenti palestinesi il 7 ottobre 2023 è stata un «atto di resistenza». Questi passaggi, secondo Piantedosi, costituirebbero una «celebrazione dell’eccidio» dei civili israeliani. Lo stesso ministro, in passato, non ha mai vietato manifestazioni in solidarietà con Israele che prendevano apertamente le difese del genocidio in corso a Gaza. Il movimento dei Giovani Palestinesi d’Italia, appoggiato da decine di organizzazioni italiane in solidarietà con la Palestina, ha già annunciato che la manifestazione si svolgerà anche in caso di divieto.
«Dopo un anno il valore dell’operazione della resistenza palestinese e della battaglia del “Diluvio di Al Aqsa” è chiaro a tutto il mondo» hanno scritto i Giovani Palestinesi nel comunicato che annuncia la manifestazione. Parole che non sono piaciute al ministro Piantedosi, che sta valutando le misure da mettere in atto. Non sarebbe la prima volta che il governo italiano cerca di vietare le manifestazioni di solidarietà con il popolo palestinese dopo l’inizio dell’aggressione israeliana nella Striscia di Gaza, all’indomani del 7 ottobre 2023. Già in occasione della Giornata della Memoria, il ministro Piantedosi aveva invitato i gruppi pro-Palestina a non scendere in piazza, in quanto le manifestazioni avrebbero potuto «assumere connotazioni lesive, sotto l’aspetto formale organizzativo e contenutistico, del valore nazionale che la Repubblica Italiana» ha attrubuito «allo spirito commemorativo in favore delle vittime delle leggi razziali, nonché di condanna alla persecuzione del popolo ebraico». Di fatto, la repressione contro i movimenti per la Palestina si muove in Italia lungo molteplici assi. Mentre da un lato i partiti di governo avanzano proposte di legge che intendono criminalizzare ogni forma di critica a Israele, creando volontariamente confusione tra i ben distinti concetti di antisemitismo e antisionismo, dall’altro si portano a processo cittadini italiani per aver espresso pubblicamente sostegno alla Palestina e si persegue il dissenso della società civile contro il genocidio in atto a Gaza.
Nel frattempo, le stragi compiute da Israele avvengono a un ritmo tale che hanno smesso di fare notizia. È di pochi minuti fa la notizia che almeno dieci palestinesi sono stati uccisi nel campo rifugiati di Nuseirat, per la maggior parte donne e bambini. Gli attacchi dell’esercito israeliano proseguono senza sosta e contro qualunque obiettivo, che siano scuole, abitazioni o tendopoli di rifugiati, senza distinzioni tra le zone che l’esercito stesso ha designato come «sicure» per i civili. La popolazione di Gaza è allo stremo, tra mancanza di cibo e beni di prima necessità, epidemie diffuse sempre più su larga scala e massacri che avvengono ormai a ritmo costante, senza che sia rimasta in piedi alcuna struttura medica pienamente funzionante. Il conteggio dei morti certi è salito a 41 mila, ma potrebbero essere decine di migliaia i cadaveri seppelliti sotto le macerie della Striscia, ormai quasi del tutto rasa al suolo. Del massacro in corso in Cisgiordania, poi, si parla a stento. Nel frattempo, i ministri israeliani inneggiano – tra le altre cose – al genocidio del palestinesi e alla violazione dei loro luoghi sacri, ma il governo italiano fatica a condannare tali comportamenti per timore di «rompere le relazioni diplomatiche» tra i due Paesi.
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