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Pidocchi infarinati

La non-conoscenza può essere colmata, è l’ignoranza supponente che ci sta rovinando: una volta era esclusiva dell’alta borghesia, oggi è generalizzata, ed è la verità a farne le spese, e quindi noi.

di Marco Sommariva

“A opporsi alla verità è […] l’ignoranza supponente. Non tanto la non-conoscenza che può essere colmata e divenire sapienza, quanto l’arroganza dell’ignorante convinto di avere a sufficienza conoscenza e sapere e da quel suo perimetro, spesso sghembo e limitato, egli esclude ogni altro spazio di verità”: l’ha scritto Gianfranco Ravasi su Domenica, l’inserto culturale de Il Sole 24 Ore del 27 ottobre 2024.

Brutta bestia l’ignoranza, può generare ristrettezza di vedute, pregiudizi: “c’è chi vive totalmente separato dal resto del mondo e che ignora, per conseguenza, gli usi e i costumi più in voga nelle altre nazioni: questa ignoranza è sempre causa di molti pregiudizi e di una certa ristrettezza di vedute […]” – da I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift.

Se chi imputridisce nell’ignoranza ha del potere, potrebbe trascinare nel marciume interi popoli: “Credo nell’Essere supremo, in un Creatore, sia chi sia, che m’importa?, che ci ha mandato quaggiù perché facciamo il nostro dovere di cittadini e di padri di famiglia. Ma non ho bisogno, io, di andare in una chiesa a baciare piatti d’argento e a fare ingrassare di tasca mia un mucchio di buffoni che mangiano meglio di noi! Perché si può onorarlo lo stesso: in un bosco, in un campo, magari contemplando la volta celeste, come gli antichi. […] non concepisco un povero diavolo di buon Dio che passeggia nel suo giardino con il bastone in mano, che dà alloggio ai suoi amici nel ventre delle balene, che muore mandando un grido e resuscita dopo tre giorni. Cose assurde in sé e completamente in contrasto, d’altra parte, con tutte le leggi della fisica. E ciò dimostra, sia detto tra parentesi, che i preti sono rimasti sempre a imputridire in una torpida ignoranza, nella quale tentano di trascinare anche i popoli” – da Madame Bovary di Gustave Flaubert.

L’ignoranza può essere sconfitta, ma occorre fatica: “l’ignoranza […] andava sconfitta mediante l’osservazione dei fatti e un uso infaticabile della ragione” – da Martha Peake di Patrick McGrath.

L’informazione può sconfiggere l’ignoranza: “Prima d’ora è sempre stato possibile disarmare un popolo e tenerlo nell’ignoranza. Ora, questa gente ascolta la radio e non possiamo impedirglielo. Non riusciamo neppure a trovare i loro apparecchi” – da La luna è tramontata di John Steinbeck

Sperando non ci si dimentichi mai che, come scrive Léonora Miano in Notte dentro, “L’ignoranza non [può] essere una garanzia di innocenza”, torno sull’arroganza dell’ignorante citata da Gianfranco Ravasi.

L’enciclopedia Treccani spiega che l’essere arrogante è “insolenza e asprezza di modi di chi, presumendo troppo di sé, vuol far sentire la sua superiorità […] nel linguaggio giornalistico, arroganza del potere, il comportamento altezzoso, sprezzante e talora violento che spesso caratterizza chi detiene il potere”. https://www.treccani.it/vocabolario/arroganza/

Oso troppo scrivendo che l’arroganza, la violenza del potere, forte della sua convinta ignoranza, può arrivare a escludere ogni altro spazio di verità dal suo perimetro? Non credo.

Stavo pensando che questa arroganza del potere rischia di passare inosservata quando il potere non è riconosciuto. Provo a spiegarmi meglio. È “facile” accorgersi dell’arroganza di chi, evidentemente, possiede il potere, come l’esercito e la polizia: “Che la polizia o l’esercito siano corrotti rientra nell’ordine delle cose. Che la vita umana valga poco rientra nella tradizione russa. Ma l’arroganza e la brutalità dei rappresentanti del potere di fronte a semplici cittadini che si azzardavano a chiedere spiegazioni, e la certezza che avevano di restare impuniti: ecco quello che non potevano sopportare le madri dei soldati, né le madri dei bambini massacrati nella scuola di Beslan, nel Caucaso, né i familiari delle vittime del teatro della Dubrovka” – da Limonov di Emmanuel Carrère.

È anche “facile” accorgersi dell’arroganza, benché candida, di un giovane militare: “La voce che gira al comando militare, – mi racconta, – è che in primavera ci sarà una massiccia offensiva contro i barbari, per ricacciarli dalla frontiera sulle montagne. […] rispondo: – Sono certo che si tratta solo di voci. Non è possibile che vogliano veramente fare una cosa del genere. Quelli che chiamiamo barbari in realtà sono nomadi, ogni anno scendono dalla montagna in pianura. Non si lasceranno mai imbottigliare sulle montagne! Mi guarda con un’espressione strana. Per la prima volta questa sera sento una barriera scendere tra noi, la barriera tra il militare e il civile. – Ma d’altra parte, – dice, – se vogliamo essere franchi, a questo serve la guerra: a imporre una certa scelta a gente che altrimenti non la farebbe –. Mi esamina col candore arrogante di un giovane diplomatico dell’Accademia militare” – da Aspettando i barbari di J. M. Coetzee.

Magari non a tutti riuscirà, ma non dovrebbe risultare troppo complicato accorgersi anche dell’arroganza fascista di un impiegato allo sportello: “rispondevano gli impiegati con la stessa arroganza di quando c’era il podestà. Il fascismo non era più legge ma era ancora tra noi, tale e quale, con tutto il suo armamentario di spocchia e prepotenza […]” – da Resto qui di Marco Balzano.

Ogni sfumatura d’arroganza fa dei danni, ma credo che fra le più pericolose ci siano quelle che non notiamo, che passano inosservate, come l’arroganza di un’abbondanza che non ti puoi permettere: “Si metteva in cammino, elemosinando un lavoro qualunque, finché le forze lo sorreggevano; ma non poteva rimaner fermo e non cessava di vagabondare per la città, sempre più magro, stravolto, volgendo intorno uno sguardo irrequieto e spiritato. Ovunque andasse, da un capo all’altro della città, incontrava centinaia di disgraziati come lui; ovunque, c’era il dispiego arrogante dell’abbondanza e la mano spietata dell’autorità che li ricacciava indietro. Ci sono prigioni e prigioni; c’è quella in cui l’individuo è costretto dietro le sbarre mentre tutto ciò che desidera si trova al di là e c’è quella in cui sono proprio le cose che desidera ad essere dietro le sbarre mentre l’individuo è al di fuori” – da La giungla di Upton Sinclair.

Ancora a proposito di opulenza, miseria e arroganza, anche Simenon ha qualcosa da dire: “non si sentivano molte voci allegre. Erano persone che tiravano avanti fra mille difficoltà, e in tutti c’era diffidenza, se non addirittura rancore. Avevano sofferto la fame, e avevano pensato che la fine della guerra avrebbe portato a tutti una vita nuova. Invece avevano visto i pezzi grossi arricchirsi grazie alla borsa nera e ai più vergognosi compromessi. Insomma, per alcuni le cose andavano a gonfie vele, c’erano opulenza, boria, arroganza, mentre i poveri continuavano a penare e a far la coda negli uffici per farsi vidimare le tessere annonarie” – da Memorie intime di Georges Simenon.

Ogni genere d’arroganza fa dei danni ma, fra quelli che non notiamo o che ci fa comodo non notare, credo che uno dei più pericolosi sia quello che ci appartiene: “Se in un primo momento erano state le forze laiche a iniziare le proteste, adesso cominciarono a farsi sentire anche l’ayatollah Khomeini e i suoi seguaci. E noi [giovani rivoluzionari], che eravamo troppo arroganti per considerarlo una minaccia e ignoravamo i suoi piani, lo appoggiammo. Eppure era già tutto chiaro fin dall’inizio: nel suo libro The Rule of Jurisprudence, Khomeini auspicava uno stato teocratico governato da un rappresentante di Dio. Inoltre, aveva ripetutamente denunciato il voto alle donne come una forma di prostituzione; aveva fatto innumerevoli dichiarazioni contro le minoranze, soprattutto i baha’i e gli ebrei. Noi applaudivamo i suoi violenti attacchi contro gli imperialisti e lo scià, dimenticando che non venivano da un campione di libertà” – da Le cose che non ho detto di Azar Nafisi.

Come già detto, ogni sfumatura d’arroganza fa dei danni ma, fra quelle che troppo spesso non notiamo, ce n’è una che mi disturba più di tutte ed è quella messa in atto dai “pigheuggi infainæ” (in italiano, dai “pidocchi infarinati”): così mio padre definiva in dialetto genovese coloro che, nati “con le pezze al culo” come lui, erano diventati boriosi e arroganti in forza della ricchezza accumulata – a volte semplicemente un po’ di benessere – dopo esser saliti sull’ascensore sociale che una volta funzionava per quasi tutti e che oggi, almeno in Italia, avrebbe bisogno di un bel po’ di manutenzione.

https://www.repubblica.it/economia/2024/10/28/news/italia_rischio_poverta_eurostat-423581606/

Ovviamente, non mi disturba che si desideri ciò che possiede chi sta meglio, lo trovo abbastanza naturale – specie se chi sta meglio è lo stesso che sfrutta chi sta peggio – mi dà parecchio fastidio, invece, che chi ha fatto uno scatto in avanti dimentichi chi è rimasto indietro, o al piano di sotto.

Per mio padre fu un dolore scoprire che amici e conoscenti operai che nei primi anni Sessanta optarono, a differenza sua e di mia madre, per un modello di famiglia in cui s’era deciso che la donna non facesse la casalinga, iniziavano a far discorsi che col mutuo soccorso e la fratellanza operaia non avevano più nulla da spartire e che assumevano toni, appunto, arroganti: “la mentalità degli operai […] era molto cambiata. Percepivano adesso dei salari vistosi e le loro mogli si comperavano le calze di seta. La signora Bouffardier citava alla signora Fleurier dettagli preoccupanti: – La mia donna mi raccontava d’aver visto ieri dal rosticciere la piccola Ansiaume, che è figlia d’un bravo operaio di tuo marito e di cui ci siamo occupate quando perdette la mamma. Ha sposato un operaio specializzato in riparazioni di Beaupertuis. Ebbene! Ordinava un pollo da venti franchi! E con un’arroganza! Niente è abbastanza buono per loro; vogliono avere tutto quello che abbiamo noi” – da Il muro di Jean-Paul Sartre.

È vero che l’estratto da Il muro viene espresso da chi è moglie di un capo d’industria e che la sua vera preoccupazione è l’inizio di un pericoloso sbilanciamento dei ruoli, ma la percezione dell’arroganza dei “pidocchi infarinati” è stata palpabile per tutti, e ancora lo è, visto che è stata tramandata a figli e nipoti.

Che bello quando l’arroganza era un’esclusiva dell’alta borghesia: “Alice sapeva che Muriel apparteneva all’alta borghesia ed era per questo che non la poteva soffrire. Come in tutte le rappresentanti della sua classe, ogni sua parola, ogni gesto, era implicitamente arrogante” – da La brava terrorista di Doris Lessing.

Si è lottato per decenni per un mondo più giusto con l’idea di ridimensionare tante particolarità di chi stava meglio, arroganza compresa, e invece s’è finito per scimmiottare coloro che si doveva combattere, si voleva cambiare.

Più che dire di tenere gli occhi aperti riguardo l’arroganza-ignoranza che spesso caratterizza chi detiene il potere, mi raccomanderei di fare molta attenzione perché non passino inosservati coloro che detengono un “certo tipo” di potere; il rischio è che ci si focalizzi unicamente sulle strutture evidentemente gerarchiche: i governanti e le loro forze dell’ordine, i padroni e i capi da loro nominati – quasi sempre più ignoranti e arroganti dei primi – o le varie chiese, i tanti eserciti, eccetera.

Ci sono poteri che, seppur con modalità diverse, s’arrogano il diritto di condannarti a morte, e se questa è sicuramente una metafora, non sono ugualmente certo crei meno dolore; per esempio, abbiamo mai preso in considerazione quanta arroganza-ignoranza modelli e governi le famiglie? Di perimetri sghembi e limitati che escludono ogni altro spazio di verità, mi vengono in mente quelli tracciati da coloro che “portano i soldi a casa” o ne portano di più o hanno un conto in banca decisamente più consistente rispetto agli altri componenti il nucleo famigliare; oppure coloro che pretendono di comandare sui “vecchi” stravolgendo le loro abitudini perché credenze e pratiche di quest’ultimi sono ritenute superate dalle generazioni più giovani mandando, così, in confusione genitori o nonni, rendendoli più insicuri e fragili; oppure coloro che, forti di una leadership a volte sancita dall’età anagrafica a volte nata dalla pigrizia altrui di dire a ‘sti signori qual è la gigantesca portata della loro arrogante ignoranza, infangano senza ritegno consanguinei non temendo altre versioni dei fatti perché consapevoli che agli altri “pare brutto” mettere in discussione la loro parola. Mi fermo qui con le ipotesi perché le modalità capaci di rendere infelici i congiunti sono molte e variano da famiglia a famiglia: “Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece infelice a modo suo” – famoso incipit di Anna Karenina di Lev Tolstoj.

Il motto che non si sente più pronunciare, “‘a famigghia è sempre ‘a famigghia!”, continua a serpeggiare silenziosamente negli angoli più bui dei nostri salotti e consente di fare stragi evitabilissime se solo s’utilizzasse quell’ingrediente da tempo in disuso: sapienza quanto basta.

E non inganni il dialetto “sudista”: il concetto vale a tutte le latitudini e a ogni longitudine, benché i “nordisti” si considerino sempre esenti da modalità arcaiche.

Chiudo ammettendo che l’elenco dei poteri che direttamente o indirettamente condannano a morte non l’ho di certo evaso per intero, e che occorrerebbe aggiungerne altri; fra questi, quello nelle mani di chi scrive articoli.

www.marcosommariva.com

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