Un pogrom in piena regola quello consumatosi appena fuori Kiev la notte tra il 20 e il 21 aprile. Il famigerato gruppo neonazista ucraino S14 ha scelto l’anniversario della nascita di Adolf Hitler per penetrare dentro un campo Rom sulla collina di Lysa Hora (Monte Calvo) e terrorizzare i suoi abitanti.
I criminali, armati di pistole, spranghe, coltelli, gas urticanti hanno messo a sacco il campo, bruciato tende e roulotte, ferito uomini, donne e bambini. Alcune persone della comunità sono state ricoverate in ospedale, tra cui 4 bambini, con profonde ferite procurate da armi da taglio. Sono stati esplosi anche alcuni colpi di arma da fuoco, fortunatamente non andati a segno.
S14 ha persino rivendicato l’azione sulla sua pagina Facebook e ha promesso altre azioni dimostrative per la prossima settimana contro «gay, femministe e militanti di sinistra». La banda, che si richiama alle gesta del leader fascista Stepan Bandera durante la seconda guerra mondiale, non è purtroppo nuova a simili azioni. S14 ha al suo attivo una lunga scia di assalti contro discoteche Lgbt, associazioni ebraiche e dei diritti umani. Lo scorso 8 marzo il gruppo ha attaccato la manifestazione femminista nella capitale ucraina e minacciato di morte Elena Shevcenko, leader del movimento Lgbt in Ucraina e i giornalisti presenti.
L’evidente complicità nella vicenda della polizia municipale, la quale da sempre copre le scorribande di S14 e di altri gruppi di estrema destra, però è persino più agghiacciante. Quando il 21 aprile sono iniziate a circolare le prime voci sul pogrom di Lysa Hora, il capo della polizia di Kiev, Andrey Krishchenko, ha dichiarato a Depo Kiev che «i rom non hanno ragione di lamentarsi di presunti pogrom. Alcuni cittadini si sono semplicemente assunti il compito di bruciare la spazzatura che si trovava nel campo rom e che rischiava di rovinare una collina considerata parco naturale dalle autorità. I rom presenti in città per festeggiare la Resurrezione sono stati poi accompagnati alla stazione per far rientro nelle loro realtà».
Il giorno successivo la polizia aggiustava il tiro riconoscendo che l’azione era avvenuta «ma solo quando l’accampamento era ormai deserto». I giornali ucraini riprendevano le dichiarazioni della polizia e parlavano «di presunte azioni di nazionalisti per liberare la zona dai rifiuti». Ma l’altro ieri la verità è venuta a galla.
In rete veniva diffuso un video in cui si vedevano i nazisti attaccare il campo mentre alcuni poliziotti osservavano quanto avveniva senza intervenire. E le responsabilità della polizia – come denuncia Amnesty International nel suo comunicato – sono ancora più pesanti per quanto accadeva nelle ore successive.
Ai rom, circa 150 persone, rifugiatesi nella stazione ferroviaria della capitale veniva imposta – con lo stratagemma di garantire la loro incolumità – la deportazione in alcune località dei Carpazi, a oltre 500 chilometri da Kiev. Tuttavia le autorità garantivano solo un numero limitato di biglietti ferroviari cosicché un gruppo di persone, tra cui donne e bambini, erano costrette ad avviarsi con mezzi di fortuna, e perfino a piedi, verso le località indicate.
Purtroppo questo è solo l’ultimo caso di persecuzione dei rom nell’Ucraina di Poroshenko. Nel 2012 mentre il Paese ospitava gli Europei di calcio, era stato dato alle fiamme, a Bereznyaki, un campo nomadi da un gruppo neofascista. Nel 2016, vicino a Odessa, era stata poi bruciata una tendopoli di rom, dove trovava la morte, per le gravi ustioni, una ragazzina.
Anche nel 2017, sempre vicino a Kiev, si è assistito a un pogrom contro un acquartieramento di roulotte dove vivevano 180 nomadi.
Il clima in Ucraina si fa sempre più pesante per tutte le minoranze e per chi difende strenuamente i pochi diritti democratici ancora esistenti. Ormai da mesi il gruppo neofascista NazKorp, composta da veterani del tristemente noto Battaglione Azov, pattuglia le strade delle città ucraine con i suoi vigilantes che hanno ottenuto l’avvallo del ministero degli Interni.
Forse sarebbe ora che a Bruxelles si aprissero gli occhi sul degrado politico e morale di un Paese che si fregia di essere associato all’Unione Europea. Prima che sia troppo tardi.
da il manifesto