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Populismo penale e populismo politico: il diritto amministrativo ( 2 parte)

Intervista a Cesare Antetomaso (Giuristi democratici)

La seconda parte dell’intervista fatta da Serena De Bettin all’avvocato Cesare Antetomaso, membro dell’esecutivo nazionale dei Giuristi Democratici, che ruota attorno al tema del populismo penale.

Riprendendo quanto analizzato in merito alle novità ed alle strette legislative introdotte con i decreti a firma di Minniti e Salvini, si nota con disarmante evidenza come non vi sia più un’opera di legiferazione penale “pura”, ma una vera e propria fagocitazione della stessa da parte del diritto amministrativo, che nei temi dell’immigrazione e dell’ordine pubblico assume i tratti di un sistema para-penale e che entra a gamba tesa anche in un’ottica repressiva attraverso le cd. misure di prevenzione (due su tutte, l’avviso orale e la sorveglianza speciale).

Volendo dunque tracciare il modo di atteggiarsi del diritto amministrativo nell’ottica appena indicata, quali sono i suoi principali utilizzi e quali, da qui, i suoi aspetti più problematici?

L’aspetto veramente singolare, oserei dire deleterio, della nostra situazione è dato dal ricorso sempre maggiore alle cd. misure di prevenzione che, soprattutto qui a Roma, hanno conosciuto fino a qualche mese fa un’impennata (ad esempio, si considerino gli avvisi orali fatti sempre più spesso, che costituiscono il presupposto per l’emissione della misura di sorveglianza speciale). Sono misure che fino a poco tempo fa non riscontravano il necessario allarme nemmeno da parte degli operatori di giustizia, magistrati compresi, il cui ragionamento si può riassumere in maniera spicciola nel senso di “Ma in fondo è un avviso orale, ti dicono di rispettare le leggi, perché mi fai un ricorso amministrativo per fartelo togliere?”: peccato che da ormai sette anni, ovvero dall’ultima riforma del codice antimafia (si noti la perfidia nel voler sempre indicare questo testo, intoccabile, con la conseguenza che chi è colpito da queste norme è stigmatizzato perché sono norme che dovrebbero essere destinate a regolare un tipo ben diverso di fattispecie e invece tranquillissimamente vengono utilizzate per regolare il conflitto sociale) l’avviso orale non ha più una valenza triennale, ma ad vitam.

Inoltre, è previsto l’addebito delle spese processuali all’imputato in caso di soccombenza a seguito di impugnazione delle misure di prevenzione. Ovviamente solo per la parte privata: se poi l’imputato ha ragione, il pm non è che ci rimette del suo. Lui è l’autorità che ha richiesto la misura.

Qui a Roma gli esponenti della lotta per il diritto all’abitare sono stati particolarmente colpiti da queste misure e in particolare dall’avviso orale che, data la sua valenza ad vitam, può diventare presupposto in qualunque momento per costruire e chiedere l’emissione della sorveglianza speciale. Si capisce bene a questo punto che la sottovalutazione non è giustificabile in alcun modo. Non lo era prima, a maggior ragione non lo è oggi. E oggettivamente la cosa che fa spavento, e su cui la Corte EDU ci ha già richiamato, è che l’utilizzo e l’abuso delle misure di prevenzione in generale sono illegittimi ed anticonvenzionali (oserò dire di più: secondo me, incostituzionali).

Ci sono due pronunce molto risalenti della Corte costituzionale che evidenziano le criticità di queste norme, spingendo il legislatore quantomeno a rivederle, sebbene non si siano mai spinte fino a dichiararle incostituzionali. Vi è comunque una parte di dottrina che le ritiene incostituzionali e io, come detto, ritengo tuttora che siano tali, perché – pur senza voler entrare troppo in tecnicismi -, è evidente che nel momento in cui un soggetto viene privato di una serie di diritti, gli viene addirittura imposto il coprifuoco (per cui deve entrare in casa non oltre le 21 e non può uscirne prima di una certa ora), gli viene ritirata la patente di guida, gli viene imposto di non prendere parte a pubbliche riunioni (se non previo avviso) e gli viene imposto di trovarmi un lavoro (ridicolo, perché questo viene fatto anche nei confronti di chi un lavoro ce l’ha già, e sembrerebbe quasi voler dire “trovatene un altro”).

Al di là di questa congettura, tutta questa serie di fortissime limitazioni di diritti costituzionali viene irrogata sulla base di un fermo di polizia, di un cd. precedente di polizia, che non dà nemmeno luogo all’apertura di un procedimento. Una misura così fortemente invasiva come la sorveglianza speciale, dunque, può essere irrogata ad un soggetto nei confronti del quale non è stato nemmeno aperto un procedimento penale. Nella rosa delle applicazioni, partiamo da un soggetto che magari ha subito una condanna non definitiva (abbiamo avuto casistica), oppure nei confronti dei quali è stato aperto un procedimento, ma anche soggetti nei confronti dei quali è stata richiesta e disposta l’archiviazione e, ripeto, soggetti nei cui confronti addirittura non è mai stato aperto un procedimento penale.

Questa è una casistica che dovrebbe allarmare chiunque, torno a ripetere, perché potrebbe essere possibile nei confronti di chiunque e soprattutto l’avviso orale, come dicevo in precedenza, costituisce la base per richiedere l’emanazione di tutte le misure previste dal cd. codice antimafia. Perché sono incostituzionali? Perché derivano da una normazione addirittura preunitaria che è passata attraverso il tempo. Prima l’elemento di disturbo è stato individuato nel vagabondaggio (connesso all’attività politica degli anarchici, che spesso si spostavano per portare avanti la propria lotta politica), poi con il fascismo nell’oppositore politico e poi via via nell’individuo “molesto” o frequentatore di bettole, fino a quando poi negli ani ’50 si arrivò a rideterminarla fino a renderla conforme a Costituzione, cosa che noi come Giuristi Democratici (e una parte cospicua dell’avvocatura) riteniamo non poter trovare cittadinanza in Italia e tantomeno in Europa.

Come si spiega questo massiccio utilizzo dell’ordinamento amministrativo in tematiche che interessano la libertà personale?

A parere mio, per un motivo molto semplice: bypassa le garanzie previste dalla legge penale. Per cui è evidente che se in un procedimento e processo penale l’imputato ha il diritto di difendersi compiutamente dalle accuse che gli vengono mosse, con la misura amministrativa le possibilità di difesa sono molto ridimensionate.

Stiamo parlando di norme che sanzionano stili di vita e comportamenti ritenuti d’intralcio al godimento di diritti che fondamentalmente, almeno a livello costituzionale (e qui torniamo al discorso del diritto all’abitare) sarebbero secondari rispetto al soddisfacimento di quelli per cui la persona viene punita: il dritto alla casa vede la sua garanzia costituzionale collocata ben prima e in un titolo ben più importate della nostra Costituzione rispetto al diritto di proprietà, che è collocato – e tra l’altro ben limitato-  nei Rapporti Economici. Tale diritto dovrebbe quindi oggettivamente potersi esplicare con tranquillità, ma qualora un bisogno primario non trovi soddisfacimento,  bisogna fare i conti dal punto di vista sociale e, qualora invece l’amministrazione pensi di poter diventare guardiana di determinati interessi privati, forse non persegue più l’interesse suo proprio.

Serena De Bettin

da Global Project

Populismo penale e populismo politico: il diritto penale no-limits (1 parte)