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Come procede l’inchiesta sull’assassinio di Deniz Poyraz?

Come forse ci si doveva aspettare l’inchiesta sull’uccisione della ventiduenne Deniz Poyraz, militante di HDP, non solo procede a rilento, ma con estrema negligenza (eufemismo).

La giovane curda era stata assassinata a Izmir il 17 giugno mentre si trovava nella sede provinciale del Partito democratico dei popoli (HDP).

L’edificio era stato oggetto di un attacco armato da parte di Onur Gencer, un uomo di 27 anni dai probabili legami con gruppi armati anti-curdi attivi nel nord della Siria (o almeno questo si intuisce dalle foto da lui stesso pubblicate dove appare in mimetica, pesantemente armato e mentre fa il gesto dei Lupi Grigi) dove potrebbe aver avuto addestramento militare. L’autore dell’aggressione armata (quantomeno una “provocazione”, stile da strategia della tensione) aveva anche tentato di incendiare la sede di HDP dichiarando di “aver agito da solo per odio nei confronti del PKK e di aver sparato a caso”.

L’attacco, appare evidente, si sarebbe potuto mutare in una vera e propria strage se Deniz, sequestrata e freddata con tre colpi, non fosse stata l’unica persona presente in quel momento all’interno dei locali. In realtà – e presumibilmente Gencer ne era stato informato (vien da chiedersi “da chi?”) – quel giorno avrebbe dovuto svolgersi una riunione, poi spostata per ragioni organizzative, con la presenza di una quarantina di esponenti del partito.

In questi giorni la Commissione per i diritti umani di HDP, attraverso il portavoce Turkan Aslan Agac e l’Associazione degli avvocati per la libertà, rappresentata da Imdat Atas, nel corso di una conferenza stampa, hanno denunciato il modo in cui (non) procede l’inchiesta.

Secondo i due portavoce “sia gli attuali detentori del potere, sia le forze dell’ordine hanno agito con il tacito consenso reciproco in modo da non essere indagati”.

Sottolineando come “sia prima che dopo il fatto, la presenza delle forze di polizia davanti alla sede di HDP era più scarsa di quanto avviene normalmente”. Nonostante, particolare non secondario, proprio di fronte vi sia una stazione di polizia. Inoltre, il ritardo con cui le forze dell’ordine hanno reagito (ad un attacco, va spiegato, contro il terzo grande partito della Turchia e nella terza grande città del paese), la mancanza di intervento durante l’attacco stesso e la negligenza mostrata nel raccogliere prove, viene definita come una “catena di carenze”. Forse previste, calcolate.

Un metodo già intravisto in analoghe circostanze, quando cioè a subire aggressioni armate sono le organizzazioni per i diritti umani o appunto le sedi di HDP.

Imdat Atas non ha esitato nel definirlo “un crimine politico premeditato e preannunciato” in quanto il responsabile (che tra l’altro non era nemmeno stato arrestato, ma si è consegnato spontaneamente) aveva già pubblicato esplicite minacce contro il partito HDP nelle reti sociali.

Gianni Sartori