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Processo omicidio Stefano Cucchi: convocati otto carabinieri

Con la convocazione dei primi testimoni, otto carabinieri, è iniziata la prima udienza dibattimentale del processo che si occuperà della vicenda relativa alla morte di Stefano Cucchi, il romano di 31 anni fermato dai carabinieri per droga il 15 ottobre 2009 al parco degli Acquedotti di Roma, e morto il successivo 22 mattina nella struttura di medicina protetta dell’ospedale ‘Sandro Pertini’.
Davanti alla III Corte d’assise di Roma, presieduta da Evelina Canale, sono dodici le persone imputate. Si tratta di sei medici che ebbero in cura il giovane (Aldo Fierro, Silvia Di Carlo, Flaminia Bruno, Stefania Corbi, Luigi De Marchis Preite, Rosita Caponetti), tre infermieri (Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe) e tre guardie carcerarie (Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici). A seconda delle specifiche posizioni processuali, i reati contestati sono: lesioni e abuso di autorità, favoreggiamento, abbandono di incapace, abuso d’ufficio e falsità ideologica. I testimoni citati dai pm Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy per l’udienza di oggi sono otto carabinieri che il 15 ottobre 2009 effettuarono l’arresto di Cucchi per detenzione di sostanza stupefacente a fini di spaccio.
Il racconto del maresciallo dei carabinieri. “La sera del 15 ottobre, dopo l’arresto e fu portato nella caserma dei carabinieri della stazione Appia, Stefano Cucchi era tranquillo e spiritoso. Non disse di avere particolari problemi di salute, accennò a una sofferenza di fegato. Aveva profonde occhiaie marroni, forse dovute all’uso di stupefacenti”. Inizia così, durante il processo, l’interrogatorio durato due ore del maresciallo dei carabinieri Roberto Mandolini, che era comandante della stazione Appia la sera in cui il giovane fu arrestato.
Il sottufficiale ha ricordato che a Cucchi, fermato insieme con Emanuele Mancini, che stava comprando da lui droga nella zona dell’Appio Claudio, al parco Lemonia, furono sequestrati hashish, ecstasy, cocaina e un’altra pasticca, compreso del denaro. Poi il sottufficiale ha ricordato che , senza dare alcuna spiegazione, il ragazzo si rifiutò di firmare il verbale dell’arresto. Non disponendo alla caserma della stazione Appia delle camere di sicurezza, il giovane, verso le tre di notte, fu portato al comando di Tor Sapienza, in attesa del trasporto il giorno dopo per l’udienza di convalida in tribunale.
Nel processo per la morte di Stefano, dove sono costituiti parte civile oltre ai famigliari, il Comune di Roma e ‘Cittadinanza attiva’, rispondendo alle domande dei pm, Vincenzo Barba e Francesca Loi e degli avvocati di parte civile e della difesa, il maresciallo ha ricostruito momento per momento i fatti della notte del 15 ottobre 2009 spiegando che quando alle 23.30 fu portato in caserma, si mostrò restio a macchiarsi le dita con l’inchiostro per rilasciare le sue impronte. “Non indicò una dimora fissa – ha aggiunto Mandolini – Disse di abitare saltuariamente da qualche amico e ogni tanto anche a casa dei genitori. Andammo a fare una perquisizione nella casa di famiglia che diede esito negativo”. Poi, quando nel cuore della notte, fu portato nella caserma di Tor Sapienza, ”era stanco dopo la perquisizione, non volle mangiare ma solo bere, voleva andare a riposare; niente di strano o di diverso nelle sue condizioni rispetto al momento dell’arresto”.
fonte: La Repubblica