Processo sulla morte di Stefano Cucchi; in udienza audizione di undici testimoni
- maggio 25, 2011
- in carcere, violenze e soprusi, vittime della fini-giovanardi
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Undici i testimoni citati per la nuova udienza del processo che, davanti alla III Corte d’assise di Roma, si occupa della morte di Stefano Cucchi, il romano di 31 anni fermato il 15 ottobre 2009 nei pressi dell’Appio Claudio mentre stava cedendo sostanza stupefacente e poi morto una settimana dopo nella struttura di medicina protetta dell’ospedale Sandro Pertini.
Tra coloro i quali è prevista l’audizione ci sono Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, nonché il magistrato e il pm che il giorno dopo l’arresto del giovane furono presenti all’udienza di convalida.
Sul banco degli imputati ci sono dodici persone: i sei medici che ebbero in cura il giovane (Aldo Fierro, Silvia Di Carlo, Flaminia Bruno, Stefania Corbi, Luigi De Marchis Preite, Rosita Caponetti), tre infermieri (Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe) e tre agenti della polizia penitenziaria (Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici). I reati contestati, a vario titolo e a seconda delle posizioni, vanno dalle lesioni, all’abuso di autorità, al favoreggiamento, all’abbandono di incapace, all’abuso d’ufficio e alla falsità ideologica. Secondo l’accusa, rappresentata dai pm Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy, Stefano Cucchi fu picchiato nelle camere di sicurezza del tribunale in attesa dell’udienza di convalida, caddero nel nulla le sue richieste di farmaci, e in ospedale praticamente fu reso incapace di provvedere a se stesso e lasciato senza assistenza, tanto da portarlo alla morte.
Agente: mi disse che lo picchiarono i Carabinieri
Quando Stefano Cucchi, dopo la convalida del suo arresto per droga, entrò in carcere a Regina Coeli, disse all’agente dell’ufficio casellario della struttura penitenziaria “che lo avevano arrestato per droga e che era stato menato all’atto dell’arresto”. La prima volta disse “che era stato picchiato dai carabinieri”; in un secondo momento sottolineò solo che “era accaduto all’atto dell’arresto”, senza andare oltre. Lo ha detto l’assistente della polizia penitenziaria Bruno Mastrogiacomo, sentito come testimone al processo per la morte di Cucchi avvenuta una settimana dopo quell’arresto.
“Cucchi mi disse – ha aggiunto Mastrogiacomo – che fino a quando, durante il suo arresto, era stato in piedi, era riuscito a parare qualche colpo; poi non più”. L’agente, sollecitato con domande sui tratti somatici e sulle movenze di Cucchi quando lo vide, ha precisato che “era violaceo in viso, tumefatto, rossastro sotto gli occhi, ma non so dire se erano lividi. Tant’è che mi venne spontaneo chiedergli Ma hai fatto un frontale con un treno?. Poi, aveva un segno rosso all’altezza dell’osso sacro. Camminava a fatica, trascinava un po’ la gamba e non poteva stare seduto”.
Un’altra frase di Cucchi è rimasta impressa alle forze dell’ordine. Portato con urgenza al pronto soccorso del Fatebenefratelli due giorni dopo l’arresto, nel lamentarsi per dolori alla schiena, disse all’agente Mauro Cantone: “I servitori dello Stato mi hanno fatto questo. Lo dirò al mio avvocato”. Dal Fatebenefratelli fu poi portato al reparto detenuti del Pertini. E, secondo Cantone, lì, all’agente della penitenziaria che lo accolse, Cucchi disse “Accetto il ricovero, accetto tutto; basta che mi fate parlare con il mio avvocato”.
Sorella: Stefano scrisse lettera, fu spedita dopo sua morte
Stefano Cucchi, la sera prima della sua morte, scrisse una lettera indirizzata a un operatore della Comunità per tossicodipendenti che frequentava. Ma quella lettera fu spedita due giorni dopo la morte. La circostanza è stata confermata oggi in aula da Ilaria Cucchi, nel corso della sua testimonianza.
“Caro Francesco – si legge nella lettera datata 20 ottobre 2009 – sono al Pertini in stato di arresto. Scusami se ora sono di poche parole, ma sono giù di morale e posso muovermi poco. Volevo sapere se potevi fare qualcosa per me. Adesso ti saluto a te e agli altri operatori. Ciao. Stefano Cucchi. Ps: per favore almeno rispondimi. A presto”. Ilaria Cucchi ha raccontato in aula le difficoltà a ricevere e leggere le parole del fratello.
“Dagli atti dell’inchiesta del Dap – ha detto – abbiamo saputo che una Sovrintendente della polizia penitenziaria aveva detto che la sera prima della sua morte aveva visto Stefano scrivere una lettera. Ma nella scatola dei suoi effetti personali, che con difficoltà riuscimmo ad avere, quella lettera non c’era. Credevo ci fossero scritte parole indirizzate a me; successivamente fummo contattati dalla Comunità che l’aveva ricevuta. Scoprimmo che era stata spedita due giorni dopo la morte di Stefano”.
fonte: Agi
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