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Prorogato ancora lo stato d’emergenza. Pessimo segnale

Lo “stato di emergenza” per la pandemia di Covid è stato prorogato dal governo fino al 31 marzo del 2022. Lo prevede la bozza di decreto approvata ieri dal Consiglio dei ministri. Mario Draghi lo ha reso un ossimoro con le parole pronunciate poco dopo in Parlamento, secondo le quali “dobbiamo difendere la nostra normalità con le unghie e con i denti”. Uno stato d’emergenza per difendere la normalità è decisamente un tema da “approfondire”.

Si tratta di 11 articoli che prorogano tutte le misure legate all’emergenza. Il decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale  e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.

Nell’art.1 del testo è scritto che: “Nell’esercizio dei poteri derivanti dalla dichiarazione dello stato di emergenza” il Capo del Dipartimento della protezione civile e il Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure occorrenti per il contenimento e il contrasto della pandemia adottano “anche ordinanze finalizzate alla programmazione della prosecuzione in via ordinaria delle attività necessarie al contrasto e al contenimento del fenomeno epidemiologico da Covid-19“.

Il provvedimento secondo il governo viene ritenuto necessario a causa dell’evolversi della situazione epidemiologica. “L’attuale contesto di rischio impone la prosecuzione delle iniziative di carattere straordinario e urgente intraprese al fine di fronteggiare adeguatamente possibili situazioni di pregiudizio per la collettività“.

Si ritiene dunque che “la predetta situazione emergenziale persiste e che pertanto ricorrono i presupposti per la proroga dello stato emergenza dichiarato con le delibere del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, del 29 luglio 2020, del 7 ottobre 2020, del 13 gennaio 2021 e del 21 aprile 2021, e prorogato con l’articolo 1, comma 1, del decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 settembre 2021, n. 126“.

Nel decreto si sottolinea “la straordinaria necessità e urgenza di adeguare i termini relativi al quadro delle vigenti misure di contenimento della diffusione del predetto virus“. Da qui “la necessità di provvedere alla proroga e alla definizione di termini di prossima scadenza connessi all’emergenza epidemiologica da Covid-19“.

Dunque fino alla fine di marzo saremo ancora in emergenza, con tutto ciò che ne consegue sia sul piano delle misure restrittive e organizzative già adottate, sia per ulteriori misure che potrebbero essere adottate. Intanto ieri, per la terza volta in pochi giorni, è stata superata la soglia dei 100 decessi in un giorno.

I peana dei mass media pubblici e privati evitano accuratamente ogni rilievo critico alla decisione del governo. In fondo lo “stato d’emergenza” serve anche a disciplinare opinioni e comportamenti.

Nessuno ha il coraggio di ammettere che siamo ormai da due anni in stato d’emergenza, e lo saremo ancora, perché i due governi in carica (Conte II e Draghi) si sono rifiutati di fare quello che andava fatto (isolare i focolai, avviare il tracciamento di massa). Ossia perché i due governi che si sono succeduti hanno guardato più al Pil che alla protezione della salute pubblica.

Lo “stato d’emergenza” viene prorogato, avvicinandosi sempre più alla soglia dello “stato di eccezione”, perché alla fine è prevalsa l’idea di dover convivere con il virus sperando che una massiccia campagna vaccinale potesse funzionare come barriera.

Ma i dati ci dicono che questo ha funzionato solo parzialmente, sia in Italia che in Europa e negli Usa. Ed ancora ci si ostina a tenere fuori dalla disponibilità i vaccini non made in Usa (vedi quello cubano) e a tenere escluse dalla vaccinazione le popolazioni dei paesi più poveri, dove la circolazione senza ostacoli del virus produce sistematicamente nuove variabili e contagi.

Infine, e non certo per importanza,  poiché i guai arrivano sempre a grappoli, all’orizznte si staglia adesso una nuova, possibile e minacciosa emergenza: quella informatica.

Il 9 dicembre scorso è stata rivelata l’esistenza di una vulnerabilità in Log4j. Viene battezzata Log4Shell. Per un paio di giorni la notizia è rimasta confinata solo tra gli esperti di sicurezza informatica e dei siti di settore. A rivelarlo è l’Agi, secondo cui non sono a rischio solo le aziende, ma server e programmi di gruppi finanziari, stati, istituzioni nazionali. E tutti concordano sul fatto che si tratta di una delle più gravi vulnerabilità scoperte negli ultimi anni.

Il 9 dicembre dei ricercatori hanno scoperto che uno tag usati per i sistemi Java conteneva una vulnerabilità che consente ad eventuali aggressori di eseguire del codice da remoto su un computer di destinazione. Potevano quindi rubare dati, istallare malware, prendere il controllo dell’intero sistema.

Cosa avviene generalmente quando si scoprono queste vulnerabilità?

Alcuni esperti sentiti da Agi hanno spiegato che nella community degli sviluppatori generalmente si opta per rendere pubblica, o semi-pubblica, la vulnerabilità stessa. Una questione etica, ma anche pratica: prima si sa, prima si può fare in modo che tutti trovino una soluzione.

Ma d’altra parte succede che l’informazione arriva anche ad attori malevoli: hacker, migliaia di hacker che da allora hanno cominciato a cercare questa vulnerabilità nei software di istituzioni, organizzazioni, aziende.

Secondo la Check Point, una azienda di sicurezza informatica israeliana, c’è stata una escalation di attacchi in questi giorni. Il 10 dicembre sono stati registrati qualche migliaio di tentativi di attacco informatico; l’11 dicembre sono diventati 40.000; il 12 dicembre 200.000; il 13 dicembre sono già saliti a 840.000.

Lo “stato di emergenza”, in questo caso andrebbe incontro a serissimi problemi. Anzi, proprio un blackout informatico di grandi dimensioni potrebbe renderlo inapplicabile.

Siamo così di fronte ad un altro aspetto della crisi sistemica in cui si sta rivoltolando l’Occidente neoliberista, senza neanche provare a trovare una via d’uscita. Che del resto, se si deve lasciar campo libero all’impresa privata in qualsiasi caso – anche nel pieno di una pandemia globale – si sta rivelando fattualmente impossibile.

da contropiano