Daspo, sanzioni, decreti e manganelli che reprimono le nuove generazioni
Punire per educare? Parliamo dell’ordine e della sicurezza pubblica e il contrasto alle cosiddette “baby gang” in Italia, meglio definite come espressione del disagio giovanile, alla luce di nuovi dati e nuovi decreti che sono stati messi in campo dal Governo per contrastarle, come (da ultimi) il ddl Caivano e il Daspo Willy.
Il Daspo, cioè il divieto di accedere alle manifestazioni sportive (questo l’acronimo con cui è nato), ora Daspo urbano e il Decreto Caivano sono sempre più utilizzati dalle Questure italiane per sanzionare o allontanare momentaneamente dalla città, in particolare dal centro storico, i giovani che trasgrediscono, protagonisti di risse in piazza o crimini minori.
All’inizio del 2024 sono circa 500 i giovani detenuti nelle carceri minorili italiane. E’ uno degli effetti dell’introduzione delle nuove norme che mirano, sorvegliando e punendo, ad arginare il fenomeno delle “baby gang”, dell’abbandono scolastico, della povertà educativa e della criminalità minorile. Ma il Governo, con questo decreto, non ha stanziato milioni di euro per finanziare progetti di educazione e tutela: i milioni di euro sono serviti a reprimere i soggetti coinvolti, con inasprimento di pene, misure preventive e reclusione.
A conferma di tutto ciò, l’associazione Antigone ha presentato a febbraio il rapporto sulla giustizia minorile in Italia dal titolo “Prospettive minori”, alla sua settima edizione. L’intervista di Radio Onda d’Urto a Alessio Scandurra, Coordinatore osservatorio di Antigone sulle condizioni di detenzione. Ascolta o scarica.
“Gli ultimi dati ci dicono che c’è stato un aumento della penalità e dell’utilizzo del carcere nei confronti dei giovani residenti in Italia”, fa sapere il professor Carlo Alberto Romano ai nostri microfoni, “ma l’approccio prioritario dal punto di vista normativo tende a essere quello impulsivo e muscolare per fare vedere attraverso un’azione normativa che esiste una capacità repressiva dello Stato. Ma non può essere l’unico approccio”. L’intervista al docente Carlo Alberto Romano, anima dell’Associazione Carcere e Territorio. Ascolta o scarica.
L’evoluzione del Daspo urbano, divenuto poi Daspo Willy per il contrasto alla “malamovida” e per le risse che scaturiscono fuori dai locali, e poi il decreto Caivano che estende le sanzioni anche ai minorenni vengono ampiamente utilizzati anche dalla Questura di Brescia. In particolare per le risse che si susseguono da tempo in Piazza Vittoria e che ora vedono in pianta stabile la presenza di forze di polizia e militari. “C’è in atto una forte situazione di contrasto tra gruppi di ragazzi che tentano di recuperare spazi urbani e dall’altra parte una richiesta di ordine“, segnala ancora Carlo Alberto Romano.
Ma il “contenimento” dell’espressione giovanile, che sia di un disagio o di una forma di protesta, non si limita agli ultimi decreti. Non bisogna dimenticare il ddl anti-rave con cui il Governo ha aperto la sua stagione di norme sanzionatorie, o l’ennesimo reato (che già c’era) sul blocco stradale contro i giovani attivisti climatici, o ancora le violente cariche contro la manifestazione studentesca a Pisa, le sanzioni alle occupazioni delle scuole messe in campo da giovani studenti e studentesse, come i casi del Tasso di Roma e del Severi Correnti di Milano dove gli alunni sono stati bersagliati da critiche e punizioni.
Le violenze poliziesche gratuite che abbiamo visto a Pisa e Firenze seguono quelle di Bologna e Napoli, sempre in manifestazioni a favore della popolazione palestinese, ma il processo repressivo non comincia certo col governo Meloni.
Quest’ultimo sembra comunque metterci del suo, come testimoniano l’apologia senza condizioni del vicepremier Matteo Salvini all’operato delle forze dell’ordine, ma anche con la volontà del ministro Carlo Nordio di smontare la già flebile legge sul reato di tortura e la stessa riforma del premierato, che avrebbe l’effetto di zittire il presidente della Repubblica.
A fare un quadro della situazione ai microfoni di Radio Città Fujiko è Italo Di Sabato dell’Osservatorio Repressione, che per prima cosa constata come quanto avvenuto a Pisa sia solo un tassello di un processo cominciato 23 anni fa a Genova e per il quale è stata persa un’occasione.
«Abbiamo perso l’occasione per una riflessione sulle forze dell’ordine e il loro ridimensionamento – afferma Di Sabato – Questa riflessione non è stata fatta e i responsabili delle violenze sono stati premiati. Quindi è come se si fosse garantita alle forze dell’ordine l’impunità per agire fuori dalle regole in qualsiasi contesto di manifestazione di piazza».
Di Sabato contesta anche la narrazione che è stata fatta di quanto accaduto a Pisa. Evocare parole come “scontri” e “manifestazione non autorizzata” inquina la comprensione, dal momento che non c’è stato alcuno scontro, ma il corteo di studenti e studentesse è stato caricato e che in Italia, da Costituzione, le manifestazioni non sono soggette ad autorizzazione.
Le stesse giustificazioni utilizzate per difendere le violenze poliziesche, come la protezione di obiettivi sensibili, sono state smentite, cartina alla mano, analizzando la direzione assunta dal corteo.
Quanto accaduto a Pisa e Firenze, però, non è un segnale diverso da ciò che è avvenuto in precedenza. «Le stesse parole del presidente Mattarella sono arrivate soprattutto perché c’è stata una risposta democratica a poche ore dalle cariche a Pisa e cinquemila persone sono scese in piazza».
Dopo le torture e le violenze a Genova nel 2001, però, nulla è stato fatto per arginare gli abusi in divisa. Nessuna democratizzazione delle forze dell’ordine, nessuna introduzione del codice identificati, ma anzi: le forze dell’ordine hanno spesso ottenuto maggiori dotazioni, come il taser.
Il problema, però, non è solo creato e alimentato dalla destra. Anche il centrosinistra appare corresponsabile, ad esempio avendo affossato la commissione parlamentare d’inchiesta sui fatti del 2001 nel capoluogo ligure o con i provvedimenti di Marco Minniti quando era ministro degli Interni, sottolinea Di Sabato. «C’è un accordo bipartisan di non toccare o mettere in discussione l’uso della forza da parte delle polizie», aggiunge l’esponente dell’Osservatorio Repressione.
Insomma, questo Paese avrebbe potuto prevenire quello che è accaduto venerdì scorso se avesse cominciato una seria riflessione sulle forze dell’ordine ormai 23 anni fa.
Poiché ciò non è stato fatto, è piuttosto preoccupante e fosco lo scenario che si presenta oggi, col governo Meloni e i provvedimenti che ha già adottato, come la legge anti-rave o il decreto Caivano, e con quelli che si appresta ad adottare.
L’intervista a Italo di Sabato Ascolta o Scarica
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