Menu

Repressione continua in Turchia: Arrestati deputati dell’opposizione

Con l’accusa di «spionaggio e terrorismo» in cella anche Leyla Guven (Hdp), un simbolo della sinistra filo-curda

C’è una costante nella Turchia del post golpe fallito del 2016: la repressione di ogni voce contraria al “Sultano” Erdogan. L’ultimo capitolo è stato scritto due giorni fa quando la polizia turca ha arrestato tre deputati dell’opposizione a cui era già stato tolto poche ore prima lo status di parlamentare (e quindi della relativa immunità).

LE NUOVE VITTIME DEL REGIME turco sono Enis Berberoglu, membro del Partito repubblicano popolare (Chp), Leyla Guven e Musa Farisogullari entrambi appartenenti al Partito di sinistra filo-curdo Hdp. Questi ultimi due sono stati formalmente accusati di «spionaggio e terrorismo» per appartenenza all’Unione delle comunità del Kurdistan (Kck) dov’è dominante il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). Sconteranno rispettivamente 6 e 9 anni in prigione. A Berberoglu, invece, è stata comminata una pena detentiva di 9 anni per la rivelazione di segreti governativi (immagini che dimostrano passaggi di armi dall’Intelligence turca ai jihadisti siriani).

Ma arrestare Guven giovedì vuol dire anche colpire un simbolo: la parlamentare è infatti celebre per il suo sciopero della fame durato 79 giorni tra il 2018 e il 2019 per protesta contro il confinamento solitario del leader del Pkk Ocalan. «Sono stata arrestata. Resistenza significa vivere!» ha commentato al momento del suo arresto avvenuto nella città a maggioranza curda Diyarbakir (sud-est della Turchia). Laconico il commento del suo partito: «Questo governo non ha niente a che fare con il parlamento e la volontà popolare».

GLI ARRESTI DI GIOVEDÌ hanno scatenato le proteste di tutti i parlamentari dell’opposizione che hanno intonato il coro «Akp è nemico della democrazia». Per il leader kemalista Kilicdaroglu il voto parlamentare è stata una continuazione del fallito golpe del 2016. «Continueremo la battaglia per la democrazia, per la giustizia, per i diritti e la legge». Con queste tre espulsioni i numeri dei deputati del Chp passano da 139 a 138 mentre quelli dell’Hdp da 60 a 58.

Questi provvedimenti fanno il paio con i recenti arresti di 118 persone – di cui 94 membri di esercito e polizia – per legami con il religioso Gulen (ex alleato di Erdogan e ora suo nemico giurato perché considerato il responsabile del fallito colpo di stato di quattro anni fa).

LE POLITICHE LIBERTICIDE del regime turco, che in questi ultimi 4 anni hanno condotto finora al licenziamento di circa 150mila dipendenti pubblici e all’arresto di oltre 77mila persone, sono indicative del timore che Erdogan ha sempre più sulla scena interna. Una debolezza che si trasforma in forza all’estero: dalla Somalia alla Siria e soprattutto in Libia. Il suo partito islamista Akp è ormai in calo di consensi: secondo un sondaggio dell’istituto turco Avrasya, alle prossime elezioni otterrebbe solo il 30% dei voti, scendendo per la prima volta sotto il 40%. Un declino apparso palese già alle ultime tornate elettorali, soprattutto alle scorse amministrative quando ha perso la “sua” Istanbul.

E SE I VOTI NON LO SODDISFANO, in aiuto del Sultano c’è la magistratura. Emblematico quanto accade nei territori governati dall’Hdp dove il risultato delle elezioni è da anni rivoluzionato a colpi di decisioni giudiziarie: il mese scorso 5 co-sindaci della formazione di sinistra sono stati accusati di terrorismo e le loro cariche sono passate ai commissari governativi scelti dal ministero dell’Interno. Obiettivo: svuotare la rappresentanza politica delle comunità a maggioranza curde dove l’Hdp vince a mani basse.

AD OGGI 21 SINDACI curdi eletti nel marzo del 2019 restano dietro le sbarre e 5 in custodia. Ankara ha nominato finora amministratori governativi fiduciari in 45 municipalità dalle elezioni locali dello scorso anno accusando i sindaci di legami col Pkk. Ma il «nemico» nella Turchia di Erdogan va anche «neutralizzato»: è quanto è capitato ieri a 4 «terroristi» del Pkk nel sud-est del Paese.

Roberto Prinzi

da il manifesto